La 4ª Brigata d'assalto Garibaldi, poi 36ª Garibaldi «Alessandro Bianconcini»

La 4ª Brigata d’assalto Garibaldi, poi 36ª Garibaldi «Alessandro Bianconcini»

Tra il 1943 e il 1944 gli antifascisti imolesi, in particolare i comunisti, puntarono sulla creazione di formazioni combattenti sull’Appennino imolese, in disaccordo con quanto stabilito dai vertici del Pci di Bologna, che ritenevano la regione inadatta allo sviluppo della Resistenza e che quindi preferirono inviare i futuri partigiani bolognesi sulle Prealpi venete.

Il comitato di Imola, invece, individuò come luogo adatto all’insediamento di gruppi combattenti la zona del monte Faggiola, al confine tra Emilia Romagna e Toscana, e dopo l’8 settembre 1943 vi inviò un primo contingente di uomini guidato da Giovanni Nardi («Caio»), che scelse come propria base un casolare semidiroccato posto in località Cortecchio, nel fianco nord-est della montagna, che la gente del posto chiamava l’Albergo.

A questo primo manipolo di uomini, male equipaggiati ed ancor peggio armati e in via di organizzazione, si sarebbero via via uniti altre centinaia di combattenti che andranno a costituire la futura 8ª Brigata Garibaldi Romagna, attiva nel forlivese, e la 36ª Brigata Garibaldi «Alessandro Bianconcini», attiva tra l’imolese e la Toscana.

Ma l’avvio dell’attività partigiana in montagna fu veramente terribile. Nel febbraio del 1944 i repubblichini di Imola e di Faenza organizzarono infatti un rastrellamento proprio nella zona di Cortecchio dove, in base alla segnalazione avute da alcuni informatori, ritenevano che si trovassero dei gruppi armati di oppositori. Verso sera del 22, quattro colonne, composte da una sessantina di uomini ognuna, partirono da Palazzuolo sul Senio, Castel del Rio, Coniale e Badia di Susinana verso l’Albergo.

A causa della neve alta solo una delle colonne riuscì a raggiungere effettivamente la località e la mattina del 23 febbraio 1944 attaccò la casa. Caio era sceso a Imola per ricevere ordini, mentre alcuni dei partigiani lì acquartierati erano usciti per prelevare viveri. Dopo le prime raffiche altri riuscirono ad uscire ed a sganciarsi, ma quattro giovani – Dante Cassani («Gario») di Bubano, i bolognesi Germano Giovannini («il Biondo») e Rossano Mazza («Franco») e Luigi Zauli di Riolo Terme – restarono all’interno tentando di resistere.

Per farli uscire i fascisti incendiarono il fienile adiacente alla casa. Nello scontro a fuoco caddero colpiti a morte Cassani e Zauli, mentre i partigiani uccisero il caposquadra della Guardia nazionale repubblicana di Imola, Primo Brini. I corpi dei due poveri ragazzi, entrambi diciassettenni, furono poi raccolti dai contadini del luogo, disobbedendo agli ordini dei fascisti, e tumulati nel cimitero di Badia di Susinana. La salma di Cassani verrà poi traslata al cimitero di Bubano.

Gli altri due partigiani rimasti nell’Albergo – Mazza, ferito, e Giovannini – vennero catturati, picchiati e costretti a trasportare a valle il corpo del caposquadra Brini camminando scalzi nella neve. Furono poi incarcerati a Imola e successivamente trasferiti a Bologna e poi a Castelfranco Emilia, da dove riuscirono a fuggire approfittando di un bombardamento aereo. Continuarono a combattere nelle formazioni partigiane ed entrambi furono uccisi in circostanze diverse: Giovannini nello scontro di Rasiglio (monte San Pietro) dell’8 ottobre 1944, mentre Mazza, ferito nella battaglia di Porta Lame, fu catturato e poi fucilato al poligono di tiro di Bologna il 13 dicembre 1944.

Dopo il rastrellamento, il gruppo di partigiani acquartierati all’Albergo si era sbandato. Alcuni erano riusciti a sottrarsi alla cattura risalendo i contrafforti della Faggiola e trovando rifugio in un paio di casolari sul versante sud della montagna, mentre altri erano tornati alle basi di pianura. Ma un gruppo sparuto di giovani, tutti di Sesto Imolese, si era fermato sulle colline tra Riolo e Casola Valsenio, per poi nascondersi nella parte più impervia della montagna. L’intesa coi partigiani di Palazzolo permise loro di guadagnare la fiducia e l’aiuto degli abitanti del luogo e con la fine dell’inverno giunsero altri uomini di rinforzo.

Da Bologna arrivò un gruppo consistente guidato da un giovane ufficiale, Libero Lossanti, che si faceva chiamare «capitano Lorenzini», già organizzatore dei partigiani inviati in Veneto dal Partito comunista clandestino. Con lui Ernesto Venzi («Nino») e Guido Gualandi («il Moro»). I nuovi arrivati si amalgamarono presto con gli altri gruppi che scorrazzavano per la montagna. Poi tornarono Luigi Tinti («Bob») e Giovanni Nardi coi loro compagni sfuggiti al grande rastrellamento del Falterona che tra il 5 e il 12 aprile aveva decimato le brigate romagnole. Così, verso la fine di quella primavera del 1944, si poteva affermare che gli incerti tentativi di costituire una formazione armata nell’alto Appennino imolese avevano avuto successo: le piccole bande che avevano vissuto alla macchia per alcuni mesi erano diventate una formazione militare efficiente e combattiva, costituendo quella che venne chiamata 4ª Brigata Garibaldi.

Il 13 giugno i partigiani occuparono militarmente Palazzuolo sul Senio, distruggendo i registri di leva e distribuendo alla popolazione il grano che era stato requisito dai fascisti. Ma il giorno dopo, durante il rientro da una missione ai Prati della Faggiola, il comandante Lorenzini (medaglia d’oro al valor militare alla memoria) venne catturato e ucciso dai nazisti. Il comando della brigata venne allora assegnato, per unanime consenso, a Luigi Tinti, mentre Guido Gualandi ne sarà il commissario politico. In luglio la 4ª Brigata Garibaldi diventò 36ª e venne intitolata all’imolese Alessandro Bianconcini, professore di violoncello, antifascista e volontario in Spagna, fucilato per rappresaglia dai fascisti al poligono di tiro di Bologna il 27 gennaio 1944.

Operante sull’Appennino imolese e faentino, tra il passo Casaglia e il Giogo di Scarperia, la formazione partigiana imolese arriverà ad inquadrare circa 1.200 uomini, divisi in venti compagnie, divenendo una delle più numerose e agguerrite dell’Emilia. Rifornita di armi dagli alleati attraverso due lanci sui monti Faggiola (23 giugno) e Carzolano (19 luglio), sarà capace di tenere sotto controllo alcune arterie di importanza strategica, come la Faentina, la Montanara e la Casolana.

La brigata – inquadrata nella Divisione Bologna montagna «Lupo» – sostenne combattimenti quasi quotidiani per tutta l’estate, che vennero intensificati dopo il 10 settembre con l’inizio dell’offensiva alleata da Firenze verso Bologna. In previsione di quella che si riteneva la battaglia finale, la brigata fu riorganizzata in quattro battaglioni: il 1° comandato da Edmondo Golinelli («Libero»); il 2°, «Ravenna», comandato da Ivo Mazzanti («Ivo»); il 3° comandato da Carlo Nicoli («Carlo»); il 4° comandato da Guerrino de Giovanni («Guerrino»).

Fu deciso che il 2° battaglione avrebbe dovuto puntare su Faenza; Tinti, con il grosso della brigata, su Imola e Guido Gualandi, con il 1°, su Bologna. Ma causa l’andamento della campagna bellica, i piani non poterono essere realizzati e la brigata dovette sostenere feroci combattimenti a Ca’ di Guzzo, monte Battaglia, Santa Maria di Purocielo.

Col fronte ormai vicino i quattro battaglioni della 36ª Brigata tentarono, con varia fortuna, di attraversarlo. I reparti del 1° battaglione, comandati da Libero Golinelli, incontreranno gli americani il 24 settembre sul monte La Fine, nell’alta valle del Sillaro, e continueranno ad operare accanto ad essi. Il 14 aprile 1945 parteciperanno alla liberazione di Imola e proseguiranno poi oltre il Po.

Nell’ottobre 1944 i reduci di Ca’ di Guzzo, al comando di Guerrino De Giovanni, assumeranno il controllo militare e politico della zona di Monterenzio, nella valle dell’Idice, affiancando le autorità alleate.

Gli uomini del 2° e del 4° battaglione, dopo la battaglia di Purocielo e l’incontro con i soldati inglesi il 16 ottobre, saranno sistemati prima in un convento a San Benedetto in Alpe e poi trasferiti con autocarri a Firenze e ricoverati nel centro di raccolta partigiani di via della Scala.

Il 3° battaglione, dopo i combattimenti di monte Battaglia, sarà disarmato a Moraduccio e condotto a Scarperia, nel Mugello. Rispondendo ad un appello dell’ex comandante della 36ª, Luigi Tinti, il gruppo si riunirà a quello di Firenze e parteciperà a un corso di addestramento a Cesano, presso Roma.

Il 4 marzo 1945 i garibaldini della 36ª saranno inquadrati nel Gruppo di combattimento «Cremona». Il 10 aprile entreranno ad Alfonsine e proseguiranno poi per Bologna, Comacchio e Chioggia.

La 36ª Brigata Garibaldi ha avuto 1.597 partigiani riconosciuti, 102 patrioti e un numero imprecisato di benemeriti. I morti sono stati 172 e 121 i feriti.

NELLA FOTO: LA TARGA BRONZEA DEDICATA ALLA 36ª BRIGATA GARIBALDI «ALESSANDRO BIANCONCINI
POSTA SUL MONUMENTO AI CADUTI DELLA RESISTENZA DEL MONTE FAGGIOLA