Imola Medaglia d’oro al valor militare per attività partigiana

Alla fine della Seconda guerra mondiale, la neonata Repubblica italiana sentì «l’obbligo di segnalare come degni di pubblico onore gli autori di atti di eroismo militare», ricompensando, con delle decorazioni al valor militare, non solo i singoli combattenti, militari o partigiani, ma anche quelle istituzioni territoriali e non (comuni, città, province, regioni, università) a cui era stato riconosciuto un ruolo rilevante nella guerra di Liberazione.

Tra queste anche la Città di Imola, insignita il 12 giugno 1984 con decreto firmato da Sandro Pertini, l’allora Presidente della Repubblica italiana, della Medaglia d’oro al valor militare per attività partigiana con la seguente motivazione:

«Forte di tradizioni popolari e democratiche, dava vita, subito dopo 1’8 settembre 1943, ad un attivo movimento di resistenza costituendo i primi nuclei partigiani di montagna. Nonostante perdite iniziali e dure rappresaglie nazifasciste, la popolazione dell’imolese continuava fieramente la lotta, rivendicando, con il sangue versato anche dalle sue indomite donne, pace e libertà e difendendo il patrimonio agricolo e industriale della propria terra.

Reparti della 36ª brigata Garibaldi “A. Bianconcini” costituirono una continua minaccia alle spalle del nemico e, durante l’offensiva anglo-americana contro la linea gotica, cedettero agli alleati importanti postazioni strategiche. Raggiunta dalla linea del fuoco, Imola subiva, durante cinque mesi, il martirio dei bombardamenti aerei e terrestri, delle vessazioni nemiche, delle deportazioni e dei massacri. Il 14 aprile 1945, partigiani delle brigate GAP e SAP, presidiata la città, la consegnavano agli alleati, mentre, combattendo nei gruppi di combattimento del nuovo Esercito italiano “Cremona” e “Folgore”, altri suoi figli continuavano la lotta fino alla liberazione dell’Italia settentrionale». Imola, 8 settembre 1943 – 14 aprile 1945

Un riconoscimento per tutti coloro che hanno sofferto, resistito, combattuto contro il nazifascismo

Il come si è giunti a tale riconoscimento è raccontato nel libro «Imola medaglia d’oro», edito nel 1985 a cura del Comune di Imola.

«La pratica avviata da questa Amministrazione comunale – raccontava nel libro l’allora sindaco Bruno Solaroli – fin dal 1970 era già sfociata, nel giugno ’79, da parte della competente Commissione unica nazionale presso il Ministero della Difesa, nel riconoscimento della medaglia d’argento. Il Comune di Imola ritenne però di insistere per quella d’oro, viste le particolari condizioni in cui era stata presa la decisione (Commissione incompleta e alcuni dei commissari d’accordo per la massima onorificenza), ma soprattutto perché lo esigeva la gente imolese, i protagonisti di quei duri anni, il rispetto e la riconoscenza per coloro che diedero la vita.

Siamo pertanto grati soprattutto all’avvocato Armando Izzo che, nella Commissione di seconda istanza, dopo essere venuto fra noi a rendersi conto, incontrandosi con le forze politiche costituzionali e resistenziali, delle reali condizioni, entità, importanza di quella lotta e del passato storico imolese, ha saputo brillantemente perorare la causa nella sua relazione, condizione essenziale per la votazione favorevole dei commissari.

Il riconoscimento non va, per noi, soltanto ai valorosi partigiani e al periodo della “guerra di liberazione”, ma a tutti coloro che dall’avvento del fascismo al 1945 hanno duramente sofferto, resistito, combattuto, prima contro la dittatura e i suoi metodi, indi contro il fascismo di Salò coalizzato con il nazismo. Né deve intendersi ristretto all’ambito del comune di Imola, ma a tutto l’imolese, cioè agli abitanti dei capoluoghi comunali che gravitano attorno a Imola, dei paesi, dei casolari di montagna e pianura. E a coloro che sono stati costretti all’esilio o volontariamente hanno scelto la lotta internazionale. Non solo un riconoscimento ai combattenti armati, ma agli affiancatori della Resistenza, alle famiglie, ai civili.

Nei lunghi anni che ci separano dagli avvenimenti il popolo ha saputo custodire e conservare le caratteristiche, i valori, le doti morali, l’operosità, la volontà di azione e di sacrificio che ben lo contraddistinguono. Le organizzazioni della Resistenza e dell’Antifascismo, quelle combattentistiche e sindacali, i partiti dell’arco costituzionale, la stampa, gli istituti culturali mai hanno tralasciato di attingere, vivificare, additare ad esempio e alla conoscenza dei giovani quell’impegno unitario per conquistare la libertà, contribuire alla cessazione della tragedia bellica. Anche a loro va il ringraziamento della Amministrazione comunale e mio personale.

Significativo – concludeva Solaroli – che il decreto che concede questo riconoscimento, che onora Imola e la sua storia, porti la firma di Sandro Pertini, il partigiano che allora dirigeva il Comitato di liberazione nazionale Alta Italia e oggi è Presidente della Repubblica italiana. Miglior collegamento non poteva esserci, né più palese evidenza che, nonostante tutto, le lotte e gli ideali di allora si sono positivamente proiettati e continuano ad incidere tutt’ora nelle sorti dell’Italia».

Ma sarà solo Francesco Cossiga, successore di Pertini nella carica di Presidente della Repubblica italiana, ad appuntare la Medaglia d’oro al valore militare per attività partigiana sul gonfalone della Città di Imola. La cerimonia si svolse la mattina del 12 aprile 1986 nella piazza intitolata a Giacomo Matteotti.

Atterrato con l’aereo presidenziale all’aeroporto di Bologna, Cossiga giunge al palazzo comunale di Imola attorno alle ore 11, dove venne accolto dal sindaco della città, Bruno Solaroli. Il Capo dello Stato raggiunge quindi piazza Matteotti ove, accompagnato dal ministro della Difesa, dal consigliere militare e dal comandante della Regione militare, passò in rassegna un reparto d’onore schierato con bandiera al suono della fanfara. Al termine della rassegna, il Presidente incontrò i rappresentanti del Senato, della Camera e della Corte costituzionale, il presidente del Consiglio regionale, il rappresentante del presidente della Giunta regionale ed il Commissario del Governo nella Regione Emilia Romagna.

Il Capo dello Stato raggiunse quindi la tribuna e prese posto nella poltrona centrale, dopo di che ebbe inizio la cerimonia col saluto del sindaco di Imola, Bruno Solaroli, ed i discorsi del presidente dell’Anpi, Arrigo Boldrini, del rappresentante della Federazione italiana volontari della libertà, Benigno Zaccagnini, del Ministro della Difesa, Giovanni Spadolini. Infine la consegna della Medaglia d’oro per attività partigiana, appuntata dal Presidente della Repubblica sul gonfalone del Comune di Imola.

Proposta di Medaglia d’oro al valor militare per attività partigiana al Comune di Imola

Note storiche. L’Ente locale, a differenza delle persone fisiche, ha sempre alle sue spalle secoli di storia, dai quali poter attingere i valori, i caratteri, i motivi ideali che hanno spinto tutto un popolo a determinate scelte; scelte che mai sono state il frutto di facili conquiste od improvvisazioni.

Imola, pur appartenendo alla Regione emiliana, ha sangue romagnolo e fino all’unità d’Italia faceva parte della Romagna. I romani la definirono: terra ferax populusque ferox. La sua storia si perde nella notte dei tempi, ma sono i romani che, nel loro espansionismo verso nord, ne consacrarono ufficialmente la fondazione nel II secolo a.C. allorquando, con la costruzione della via Emilia, insediarono il nuovo borgo posto vicino al fiume Santerno nel suo sbocco nella pianura.

Posizione felicissima che la proietta verso l’Adriatico, mentre alle sue spalle la valle del Santerno rappresentava, attraverso l’Appennino, il più facile accesso alla Toscana, la terra dei metalli, ed al mar Tirreno. Per questa sua posizione geografica acquistò subito una grande importanza politica, culturale, commerciale e militare; vestigia storiche di eccezionale rilievo lo testimoniano tuttora.

Sul Gonfalone della Città è incisa a grandi lettere la parola «Libertas»; e quanto sangue, quanti sacrifici sono costate la libertà e l’autonomia comunale attraverso i secoli, contro i signori, contro il vescovo e contro il legato pontificio. La rivoluzione francese ed il risorgimento italiano trovarono qui l’humus più fecondo ed è storicamente accertato che Giovanni Maria Mastai Ferretti – nominato vescovo di Imola nel 1832 – rimase anche egli contagiato in loco dalle istanze liberali, per cui, eletto nel 1846 Papa col nome di Pio IX, incominciò una politica apertamente riformatrice, che contrastava con tutti gli altri governi europei reazionari ed assolutistici.

Nell’imolese la lotta dei braccianti agricoli, per il riscatto da condizioni di lavoro e di vita disumane, incominciò nel secolo scorso e si protrasse fino all’avvento del fascismo con tutta una serie di rivolte e di scioperi contro il governo e contro il padronato, che costò un tributo di sangue e di sacrifici che non trova riscontro in nessuna altra regione d’Italia, neanche in Meridione. Il Meridione credette infatti di trovare la soluzione dei suoi problemi nell’emigrazione, impoverendosi ancora di più.

I braccianti e i mezzadri dell’imolese compresero che gli artefici della conquista della «giustizia sociale» dovevano essere loro stessi e su quella stessa terra, per cui la lotta si radicalizzò. Terra di contrasti e di spiriti generosi, Imola è stata la città più rossa e più anticlericale d’Italia. La famiglia di Giovanni Battista Acquaderni che nel 1897 fondò l’Azione cattolica italiana, che si riproponeva, tra l’altro, anche azione sociale, proviene dal territorio comprensoriale imolese. Fu ad Imola che don Romolo Murri ebbe i suoi più accesi sostenitori – i guelfisti -, che lo seguiranno anche quando si sganciò dalla Chiesa con la conseguente scomunica.

Ma è l’imolese Andrea Costa, il tribuno, che fece segnare alla zona una svolta decisiva con la sua azione catalizzatrice verso il socialismo. Ed Andrea Costa nel 1882 fu il primo rappresentante socialista eletto alla Camera dei deputati, mentre la stessa Imola nel 1889 è il primo dei Comuni italiani ad avere una amministrazione socialista.

Resistenza e fascismo. Le statistiche dimostrano che, proporzionalmente al numero degli abitanti, Imola è la città italiana che ha pagato il più alto tributo di sangue e di sacrifici nella lotta contro la dittatura fascista durante il ventennio; dittatura che non riuscì ad abbattere del tutto uomini e strutture sociali, che vigorose erano sorte nella zona, specialmente quelle della cooperazione:

  • 21 imolesi vennero uccisi o moriranno per violenze fasciste;

  • 209 furono i processati dal Tribunale speciale fascista e riportarono le seguenti condanne: 396 anni di carcere; 282 anni di confino; 65 anni di vigilanza speciale; per un totale di 643 anni di pena, con oltre 64 ammoniti e 38 esiliati, di questi due morirono in carcere ed uno in esilio.

Massiccia fu la partecipazione degli imolesi alla guerra di Spagna contro Franco; 30 di essi militarono nelle brigate internazionali con due caduti in combattimento, di altri due uno fu fucilato dai tedeschi e l’altro decedette in Francia in un campo di concentramento. Tutti i superstiti li troviamo nelle formazioni partigiane.

Resistenza al nazifascismo. La resistenza, quindi, per l’imolese non rappresenta altro che la continuazione naturale di un filone ideale che trova profonde radici in un processo storico maturato nei secoli passati e specialmente nella lotta al fascismo. L’apporto alla Resistenza dei partiti politici fu tanto maggiore quanto più incisiva era stata la lotta al fascismo stesso e ciò anche per l’esperienza acquisita nella clandestinità.

La lotta al nazifascismo fu totale, nel senso della partecipazione di tutto il popolo: ingaggiata dagli operai nelle fabbriche, dai contadini e coloni nelle campagne e da tutti gli altri ceti sociali, nessuno escluso, ed il tutto fu coronato dall’azione armata delle formazioni partigiane e non furono, certamente, gli arresti, le deportazioni, le torture, i saccheggi, le uccisioni, le rappresaglie, i massacri a rallentarne l’intensità.

Le donne ebbero un ruolo importantissimo con manifestazioni di piazza, partecipazione agli scioperi ed alla stessa lotta armata. Il 29 aprile 1944 scesero per le vie della città chiedendo alla fine della guerra e nella piazza del municipio due di esse – Maria Zanotti e Livia Venturini, la prima madre di sette figli – caddero sotto il fuoco della guardia repubblicana fascista. Il 1° maggio successivo, in segno di protesta e di lutto, nonostante lo stato d’assedio, tutta la città ed il contado parteciparono allo sciopero generale.

L’opera del clero, regolare e secolare, fu superiore ad ogni aspettativa ed immaginazione. Il relatore ha visitato, tra l’altro, il complesso della chiesa del Carmine – il quadrato – ed il rettore senza ostentazione, sotto voce, con gesti appena accennati indicava i sotterranei, le intercapedini, le doppie pareti, le botole di cui è ricco il secolare edificio con la chiesa e il campanile, nei quali avevano trovato ospitale sicuro rifugio giovani renitenti alla leva, perseguitati, membri del Comitato di liberazione, ebrei, partigiani, militari alleati sfuggiti alla cattura tedesca, eccetera, nonché nascondigli per le armi.

Il relatore deve esprimere tutto il proprio rammarico per non aver potuto incontrare e conoscere, per le precarie condizioni di salute, don Giulio Minardi, rettore all’epoca dei fatti, la cui modestia fu pari alla grandezza delle opere ed ai pericoli corsi.

Il 25 luglio 1943 sorge il primo Comitato cittadino dei partiti antifascisti composto in maggioranza da comunisti e socialisti, ma vi partecipano anche due repubblicani, un azionista, un sacerdote e un democristiano, mettendosi subito all’opera. Due giorni dopo, il 27 luglio, auspice il Comitato, ad una grande manifestazione di piazza partecipano oltre diecimila persone.

Il 1° agosto il Comitato lancia un manifesto alla popolazione nel quale è indicata chiaramente la strada da battere contro il nazifascismo e, a dimostrazione che si vuole subito la lotta armata, sorge la Guardia nazionale con compiti non del tutto ben definiti, ma che deve essere considerata il primo nucleo delle formazioni partigiane.

Con l’8 settembre anche ad Imola l’esercito si sfalda. Il Comitato tentò di convincere alcuni ufficiali a cedere le armi, ma invano; ed allora cercò di raccoglierne e nasconderne il più possibile sottraendole a depositi sorvegliati e valida fu l’opera della Guardia nazionale. Con l’8 settembre il Comitato cittadino dei partiti antifascisti divenne Comitato imolese di liberazione nazionale.

Il 15 settembre altro manifesto che chiama il popolo alle armi. Per la dotta Bologna la Resistenza armata tarda ad avviarsi, per cui, di quei bolognesi che voleva subito iniziarla, alcuni emigrarono al nord presso le formazioni della bassa bellunese, mentre altri, scendendo al sud, si fermarono proprio nell’imolese, ove la lotta armata era già incominciata.

Per motivi di tempo e di spazio riteniamo di non dover menzionare la cronologia degli avvenimenti di lotta armata dell’imolese, che è ormai consacrata nella «Storia della Resistenza» e ad esso intendiamo fare riferimento e dalla quale risulta che qui la Resistenza si è svolta ad un livello eccezionale.

Pietro Secchia nella «Storia della Resistenza» dedica due capitoli alla Resistenza imolese: uno con la 36ª Brigata Garibaldi e l’altro con la liberazione di Imola, oltre ad altri numerosi riferimenti.

Nella documentazione agli atti, tra l’altro, c’è un fascicolo – «Imola: cronistoria di 20 mesi» – interessantissimo e nel quale sono elencati cronologicamente azioni, imboscate, battaglie, eccetera, nonché le perdite inflitte al nemico in uomini, armi, equipaggiamenti, eccetera. Ma saranno le risultanze numeriche a testimoniare l’eccezionalità di questa lotta armata.

L’aspetto più eccezionale è la lotta delle formazioni partigiane a fianco delle forze alleate e la partecipazione volontaria delle formazioni stesse integrate nel Corpo italiano di liberazione, perché fu lì, sulla prima linea, che sorse il nuovo Esercito italiano.

Imola, posta sulla grande arteria emiliana con alle spalle l’altra grande rotabile della valle del Santerno, che col passo della Futa la collega alla Toscana, rappresentava per i tedeschi una posizione chiave per la conduzione della guerra. Quando il fronte si stabilizzò oltre la Linea gotica, l’imolese divenne l’immediata retrovia del fronte tedesco, per cui i nazifascisti si accanirono ancora di più contro le formazioni partigiane e la popolazione, perché volevano avere le spalle al sicuro, ma non riuscirono nel loro intento, perché i partigiani continuarono la lotta con maggiore determinazione.

Le formazioni partigiane che hanno operato nell’imolese sono la 36ª Brigata Garibaldi «Alessandro Bianconcini», la Brigata Sap «Santerno» e la Brigata Gap «Fratelli Ruscello». La storia della 36ª Brigata, che nell’agosto 1944 aveva raggiunto una forza effettiva di circa 1.250 uomini, è del tutto singolare perché si è trovata a combattere anche fuori dalla propria circoscrizione territoriale del Comune – in una visione più ampia ricca di risultati – nelle immediate retrovie dello schieramento tedesco, a fianco degli alleati ed integrata nel Corpo italiano di liberazione.

La Brigata Sap Santerno – con il battaglione di città, il battaglione di pianura e il battaglione montano (le denominazioni specifiche stanno ad indicare i luoghi in cui operavano) – aveva un effettivo di oltre 1.000 uomini, mentre la Brigata Gap Fratelli Ruscello era composto da circa 250 elementi. Un totale, quindi, di quasi 2.500 partigiani, di cui circa 1.500 erano imolesi come la maggior parte dei comandanti ed organizzatori.

I partigiani caduti nella zona sono circa 320, ma è difficile indicarne il numero esatto, di cui circa la metà sono imolesi. 4 Medaglie d’oro al valor militare alla memoria, 16 Medaglie d’argento al valor militare, 8 medaglie di bronzo al valor militare testimoniano l’indomito valore dei figli di Imola nella lotta al nazifascismo.

Nell’imolese i civili morti per causa di guerra sono circa 500; per scoppi di mina 145; trucidati dai nazifascisti 42; i deportati 151. Circa il 50% delle abitazioni furono danneggiate dalla guerra con una percentuale ancora maggiore nelle campagne, mentre le fabbriche andarono quasi del tutto distrutte.

Le perdite inflitte ai tedeschi ed ai fascisti furono enormi: 1.210 morti fra tedeschi e fascisti; 225 feriti; 118 prigionieri tedeschi consegnati agli alleati; 565 fucili; 40 mitra; 12 mitragliatori; 80.000 colpi; 330 bombe a mano; 3 mortai; 3 lanciagranate presi ai nazifascisti; 61 automezzi catturati o distrutti.

Dalle pagine eroiche. Il primo battaglione della 36ª Brigata nel settembre 1944, dopo avere inflitto gravi perdite ai tedeschi, li scacciò dalla cresta del monte La Fine e la consegnò agli americani della del 329° Reggimento di fanteria che, a riconoscimento del valore della formazione partigiana, la posero alla loro diretta dipendenza, per cui la stessa continuò a combattere a fianco delle truppe alleate operanti sul fronte della valle del Santerno.

Il terzo battaglione nell’ottobre 1944, dopo aspri combattimenti e sconfiggendo le truppe tedesche, conquistava le importanti quote di monte Carnevale, monte Battaglia, monte Cappello, che vennero consegnate agli alleati. Il secondo e il quarto battaglione, sempre della stessa Brigata, dopo duri scontri con le forze tedesche, incominciati a fine settembre 1944, riuscirono ad oltrepassare la linea del fronte e si congiunsero agli alleati.

Dopo diverse peripezie – nelle quali dimostrarono ancora una volta che l’unica loro aspirazione era di combattere contro i nazifascisti fino al totale annientamento – gran parte di essi col comandante Bob entrarono volontari nel Corpo italiano di liberazione, arruolandosi col Gruppo di combattimento Cremona, col quale continuarono la guerra fino alla liberazione e furono i primi reparti che entrarono a Comacchio, ad Adria, a Chioggia ed a Venezia.

Una compagnia composta da elementi dei predetti battaglioni, su mandato dell’8ª Armata inglese e dalla stessa equipaggiata, nel febbraio 1945 riconquistò Borgo Tossignano, che con Tossignano era stato perduto dagli inglesi, e lo difese contro i tedeschi fino alla liberazione. Borgo Tossignano tenuta dai partigiani inseriti nel Gruppo Folgore fu la punta più avanzata di tutto lo schieramento alleato sulla Linea Gotica.

Il 14 aprile 1945 le truppe polacche entrarono a Imola trovandola già liberata dai partigiani ed in quello stesso giorno il Comitato di liberazione nazionale lanciava un manifesto nel quale invitava i giovani ad arruolarsi nei reparti combattenti partigiani e nell’esercito regolare. Dal testo del manifesto, partigiani ed esercito sono una sola forza, perché nell’imolese fin dal settembre 1944 era già sorto il nuovo Esercito italiano.

Ca’ di Guzzo. I partigiani imolesi hanno scritto una pagina del più puro eroismo nella storia della Resistenza italiana ed europea: la battaglia di Ca’ di Guzzo.

La prima compagnia del quarto battaglione della 36ª Brigata, nel tentativo di infrangere le linee tedesche e congiungersi con gli alleati, restò isolata ed accerchiata in un casolare di montagna: Ca’ di Guzzo, quota 550. Gli assedianti erano circa 500 paracadutisti ed SS tedeschi, che per la loro ritirata dovevano eliminare il non previsto fortilizio.

Per due giorni, il 26 e 27 settembre 1944, i partigiani, che sono circa un’ottantina, respingono gli attacchi nemici che, con mortai ed armi automatiche, stringono sempre più il cerchio intorno al casolare ridotto ormai ad un cumulo di macerie. Poi la decisione eroica: uscire allo scoperto e contrattaccare il nemico per cercare di rompere l’accerchiamento. I tedeschi vengono travolti e l’accerchiamento è rotto, ma 26 partigiani cadono sul campo.

Il 29 settembre giungono sul posto gli americani della 5ª armata e restano sgomenti, gli stessi veterani di tante battaglie, per lo spettacolo che ai loro occhi offre il terreno fangoso attorno alla casa diroccata: ovunque brandelli di carne umana, vistose tracce di sangue, fasce di medicazione insanguinate, munizioni, nastri e caricatori vuoti, bossoli e tanti tanti morti.

La trasmittente americana della 5ª Armata il giorno successivo, alle ore 13, e la sera stessa «Radio Italia libera» trasmettevano il seguente comunicato: «I partigiani di una Brigata Garibaldina hanno combattuto una eroica battaglia contro le truppe tedesche in ritirata, resistendo per due giorni a Ca’ di Guzzo, trasformata in fortino. Il nemico ha lasciato sul terreno centoquaranta morti».

Conclusioni. Per quanto sopra esposto, riportandomi alla documentazione allegata, propongo che il Gonfalone della Città di Imola venga decorato di Medaglia d’oro al valor militare per eccezionali meriti acquisiti dalla popolazione nella lotta contro il nazifascismo. La Medaglia d’oro sul Gonfalone della Città illuminerà di nuova luce la «Libertas», da secoli radicata sul Gonfalone stesso: guida sicura per generazioni future e specialmente per i giovani.

Avv. Armando Izzo
relatore alla commissione di II grado del Ministero Difesa
per ricompense al valor militare