Landini (Cgil): «Ricordare il 25 aprile significa tenere vive le radici più profonde della nostra democrazia»

Landini (Cgil): «Ricordare il 25 aprile significa tenere vive le radici più profonde della nostra democrazia»

Ricordare il 25 Aprile non vuole dire solo rendere onore a una ricorrenza, che quest’anno vede il suo settantanovesimo anniversario. Significa ripercorrere e tenere vive le radici più profonde della nostra democrazia, della nostra Repubblica. Radici che trovano il loro fondamento nella Resistenza, nelle stesse lotte delle lavoratrici e dei lavoratori contro l’oppressione nazifascista.

Proprio gli scioperi del 1943 e del 1944, infatti, rappresentarono un fatto di straordinaria importanza e significato per la Resistenza italiana. In quegli anni a Torino, Milano, Genova, incrociarono le braccia tante lavoratrici e lavoratori per chiedere, insieme a migliori condizioni di vita, la fine della guerra e dell’occupazione nazifascista. Tante e tanti di loro furono deportati nei lager nazisti, molte e molti non fecero più ritorno.

Il mondo del lavoro questa storia ha contribuito a scriverla sia nella lotta per la liberazione dalla dittatura fascista sia nella ricostruzione di una società libera e democratica. Sono le lotte delle lavoratrici e dei lavoratori che hanno segnato profondamente il contenuto e il valore straordinario della nostra Costituzione. Libertà e dignità del lavoro sono tra i suoi tratti essenziali. Un mondo del lavoro, quindi, che ha preso nelle sue mani gli ideali di democrazia e libertà e che, affermando i propri diritti e le proprie rivendicazioni, ha aperto spazi di protagonismo e partecipazione a tutta la società.

Non è stato un cammino facile. Libertà, diritti, dignità non li ha regalati nessuno. Sono stati il frutto di lotte, di sacrifici che hanno segnato fasi importanti della storia del nostro Paese. È un nesso indivisibile quello tra lavoro e democrazia. Quando il lavoro è forte la democrazia si sviluppa e cresce.

Al contrario, quando il lavoro viene colpito a risentirne è la qualità stessa della democrazia. Ad esempio, le lotte operaie degli anni ’60-‘70 del secolo scorso su contenuti straordinariamente innovativi trasformarono la società italiana e costituirono il retroterra importante per riforme fondamentali: l’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale, la chiusura dei manicomi con la legge 180, il divorzio, la legislazione sull’interruzione di gravidanza, il nuovo diritto di famiglia, gli asili nido e la scuola a tempo pieno. Una fase importante della storia del nostro Paese durante la quale lavoro, diritti, democrazia sono cresciuti insieme.

Oggi viviamo una condizione diversa. Veniamo da anni durante i quali si è fatto credere che lasciando mano libera al mercato e abbassando l’asticella dei diritti del lavoro si aprisse una nuova fase di crescita e di benessere. Non solo questo non è successo, ma si è prodotto un peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro. Sono state approvate leggi che lo hanno reso precario, in particolare per i giovani e le donne. Il lavoro, da luogo di identità e occasione di emancipazione, è sempre più percepito come fattore di solitudine e alienazione e spesso le persone, per poter lavorare, sono messe in competizione tra loro.

A risentirne è la qualità stessa della democrazia e della partecipazione. Ne è una evidente dimostrazione l’astensionismo elettorale. Nel nostro Paese – e non solo – la metà dei cittadini aventi diritto non partecipa al voto. E assai spesso sono donne e uomini, ragazze e ragazzi costretti a lavori precari, insicuri, sottopagati. Persone che non si sentono più rappresentate.

Disagio sociale e crisi della partecipazione democratica sono due facce della stessa medaglia. Ci sarebbe bisogno di politiche capaci di cambiare questa deriva. Il governo, invece, alimenta precarietà e insicurezza sul lavoro, liberalizza la catena degli appalti e subappalti, sottrae risorse alla sanità pubblica e all’istruzione, con il premierato e l’autonomia differenziata impone riforme costituzionali che accentrano il potere e dividono il Paese.

Si colpiscono così principi fondamentali della nostra Costituzione, si riduce la coesione sociale, si modifica la partecipazione democratica. Noi non solo contrastiamo questo disagio ma ci battiamo per una prospettiva e un futuro diverso. E vogliamo farlo dando nuovamente voce e protagonismo al mondo del lavoro. È un percorso difficile e irto di ostacoli ma per noi irrinunciabile.

A differenza degli anni ‘60 del secolo scorso oggi prevale un mondo del lavoro frammentato e diviso. In tanti posti di lavoro convivono persone che, pur svolgendo le stesse mansioni, hanno condizioni e diritti diversi. La riunificazione del mondo del lavoro è, quindi, il grande tema che il sindacato deve affrontare.

Il contratto nazionale, la contrattazione aziendale, di sito, di filiera, la costruzione di nuove forme di democrazia e rappresentanza che diano voce alle lavoratrici e ai lavoratori, diventano oggi strumenti irrinunciabili proprio per unire ciò che si vuole dividere.

Nella nostra iniziativa intendiamo utilizzare tutti gli strumenti che la democrazia consente, comprese leggi di iniziativa popolare e referendum contro l’autonomia differenziata, il premierato e per abrogare quelle norme che nel corso degli anni hanno colpito i diritti del lavoro. Per noi la bussola, la “via maestra”, è la nostra Costituzione. Essa non solo ha cancellato la pagina più oscura della storia del nostro Paese, quella della dittatura fascista, ma ha posto la persona, il lavoro, la dignità, i diritti sociali e civili, la pace e il ripudio della guerra quali valori costitutivi della nostra Repubblica. E ci ha detto che la democrazia vive e si nutre di partecipazione attiva, di protagonismo del mondo del lavoro e delle reti associative.

Il 25 Aprile oggi per la Cgil vuole dire tutto questo: difendere e attuare la nostra Costituzione nata dalla Resistenza e dalla lotta antifascista. Una Costituzione che non ha bisogno di richiami rituali ma di vivere nella lotta quotidiana per affermare una società diversa.

Maurizio Landini