13 gennaio 1945, Borgo Tossignano in mano partigiana

13 gennaio 1945, Borgo Tossignano in mano partigiana

Nell’inverno del 1944 i partigiani acquartierati sull’Appennino tosco-romagnolo erano ormai centinaia, dislocati un po’ ovunque presso Castel del Rio, lungo la Bordona, da Piancaldoli a Visignano, ansiosi di riprendere le armi e combattere i nazifascisti. E presto venne l’occasione.

Verso la fine dell’anno i soldati inglesi che avevano conquistato l’altura di Tossignano, in seguito ad un contrattacco tedesco erano stati fatti prigionieri. Gli alleati accusarono il colpo e decisero di abbandonare la zona attestandosi nei pressi di Fontanelice. «Allora noi ci offrimmo di occupare Borgo Tossignano e tenerlo come caposaldo avanzato di tutto il fronte alleato, anche se Tossignano, cento metri più in alto, era in mano nemica», racconta Neo Cicognani, commissario politico nel 3° battaglione Carlo della 36ª Brigata Garibaldi Bianconcini.

«Ci recammo al comando alleato di Fontanelice per iniziare le trattative», continua Cicognani. L’accoglienza non fu delle migliori: dietro all’impeccabile sorriso anglosassone albergava la diffidenza, che contrastava enormemente col carattere schietto e sincero dei giovani partigiani. «Noi intendevamo ricostruire alcune compagnie partigiane, chiedemmo quindi che fossero riconosciuti i gradi e che ci venissero consegnate le stesse armi che loro avevano in dotazione. Invece ci dovemmo accontentare di formare una squadra di soli tredici partigiani, armati con armi italiane raccogliticce, per lo più arrugginite, tra cui anche una mitragliatrice senza otturatore. E la notte del 12 gennaio lasciammo Fontanelice diretti a Borgo Tossignano».

Nevicava, la temperatura era gelida e i partigiani non avevano cappotti o mantelli per proteggersi. La tormenta ne sferzava il viso e il freddo penetrava nei loro corpi intirizzendoli. Arrivarono così a Ca’ Cogalina, l’ultimo avamposto inglese: al di là c’era la terra di nessuno. «Pernottammo in una casa in fondo al rio. Al mattino un capitano inglese, che parlava abbastanza bene l’italiano, mi diede le ultime istruzioni: dovevamo sgombrare il paese dagli ultimi abitanti e quindi attestarci; tutte le notti, con un mulo, loro ci avrebbero mandato i viveri. Disse pure che se avevamo paura potevamo anche tornare indietro. Non ci conoscevano ancora e pensavano che non facessimo sul serio».

Borgo era il banco di prova. «Se avessimo saputo operare bene, con impegno, se avessimo dimostrato che i partigiani sapevano combattere, allora probabilmente avrebbero concesso quello che noi avevamo chiesto».

Alle ore 15 del 13 gennaio 1945, dopo avere indossato le tute mimetiche bianche, i partigiani entrarono nell’abitato di Borgo Tossignano. «Vi trovammo solo donne, bambini, vecchi e invalidi. L’accoglienza fu delle più commoventi, tanto più che tra noi c’erano giovani del luogo. Ci furono abbracci a non finire; da mesi quei disgraziati non vedevano una faccia amica. I tedeschi li avevano spogliati di tutto e ciò che erano riusciti a salvare si trovava sotto le macerie delle abitazioni distrutte».

Nonostante questo, quella povera gente se ne stava ancorata al paese, che li aveva visti nascere poiché tra mura diroccate era rimasto ogni loro ricordo. «All’euforia dei primi abbracci seguirono le lacrime; non volevano capire che a Borgo non potevano restare, che era il punto più avanzato, ove si incrociava il tiro continuo di tutte le armi».

La sera dello stesso 13 gennaio, alle otto, tutto fu pronto. Iniziava così per la popolazione di Borgo Tossignano un altro triste calvario. «Ci incamminammo attraverso i campi diretti a Ca’ Cogalina. Un partigiano si mise in spalla un vecchio senza una gamba, un altro partigiano sorreggeva un cieco. Tutti portavano qualcosa, quel poco che quella povera gente aveva raccattato per prendere la dolorosa strada dell’esilio».

I tedeschi, messi in allarme dal trambusto, per quanto attutito dalla neve che ricopriva la campagna, non tardarono a farsi sentire, prima con la mitragliatrice, poi col mortaio. «Fortunatamente eravamo già fuori dal paese. Raggiungemmo il caposaldo inglese incolumi e consegnammo i profughi a un capitano. Quando gli dissi che saremmo tornati a Borgo, l’ufficiale rimase sorpreso e per la prima volta mi tese la mano. I soldati ci diedero da bere qualcosa di molto forte e delle sigarette, dopo di che tornammo nell’abitato. Feci piazzare una mitragliatrice efficiente in un punto cruciale della strada, in direzione di Tossignano, e disposi per i primi turni di guardia». Da quel momento, 13 gennaio 1945, Borgo Tossignano era in mano partigiana.

II 18 gennaio il gruppo di Borgo ebbe il battesimo di fuoco. «Eravamo di pattuglia in cinque lungo il greto del Santerno, presso il ponte completamente distrutto, quando ci imbattemmo in una grossa pattuglia tedesca che, dalla riva opposta, tentava di passare dalla nostra parte, ignara evidentemente della presenza di partigiani. Ci disponemmo subito a ventaglio per coglierli di sorpresa, due dentro una casa diroccata, altri due in un abitacolo e io in mezzo, dietro un muretto».

L’attesa parve interminabile. Poi l’azione. «Feci tutto d’intuito, perché non c’era tempo da perdere; aprii il fuoco, seguito immediatamente dagli altri compagni. Caddero i primi tedeschi e il resto della pattuglia si sparpagliò sulla neve; il combattimento si prolungò e i minuti trascorsero interminabili».

Entrò poi in azione anche l’artiglieria alleata, subito dopo i mortai tedeschi e così si scatenò l’inferno. «Ad un tratto sentii un colpo secco alla spalla e percepii un gran caldo lungo la schiena. Era sangue e mi resi conto di essere rimasto ferito, seppure non gravemente, pensavo, perché non avvertivo alcun dolore. Restai perciò al mio posto finché, essendosi fatta insostenibile la nostra posizione, ripiegammo nell’abitato, dove ci vennero in aiuto gli altri compagni del gruppo che si appostarono nei punti di passaggio obbligati per evitare ogni possibile sorpresa».

La perdita di sangue però era copiosa. «I compagni intendevano trasportarmi a Fontanelice. Non volevo però distogliere troppi uomini dall’esiguo gruppo che difendeva il paese per cui, dopo avermi medicato alla meglio, solo mio fratello Sergio mi accompagnò a Ca’ Cogalina, dove mi visitò un medico inglese. La ferita era profonda e bisognava, disse l’ufficiale, fare un intervento chirurgico. Da Ca’ Cogalina venni allora accompagnato alla chiesa di San Lorenzo e qui un automezzo della Croce rossa mi trasportò a Borgo San Lorenzo, dove fui operato la notte stessa. Due giorni dopo mi trovavo nell’ospedale di Carreggi, presso Firenze, dove il professor Valdoni mi sottopose ad un nuovo intervento».

Il bollettino di guerra del 20 gennaio citava lo scontro avvenuto sul fronte del Santerno durante il quale forze patriottiche avevano respinto il nemico infliggendogli gravi perdite. «Quel comunicato mi riempì di orgoglio: i partigiani avevano vinto il primo scontro a Borgo e ora gli alleati avrebbero dovuto tenerli in debita considerazione. Infatti, dopo circa venti giorni, cioè quando feci ritorno a Borgo Tossignano, le cose erano cambiate di molto da come le avevo lasciate. Non c’era più un gruppetto sparuto di uomini a presidiare il paese, bensì il battaglione Libero, formato da partigiani armatissimi, vestiti con divise inglesi, un battaglione autonomo, con propri ufficiali, operai e contadini che si erano guadagnati i gradi e la fiducia dei loro compagni attraverso la dura lotta sulle montagne nell’estate. Avevamo finalmente ottenuto quanto ci era stato negato prima e il rischio corso dal gruppo, quindi, non era stato vano. Era valso a fare cambiare opinione ai comandi alleati l’opinione che i partigiani fossero un’accozzaglia disordinata di gente senza guida e senza idee. Vennero così il rispetto, la stima e la piena considerazione dell’importanza della nostra partecipazione alla guerra di liberazione», conclude Neo Cicognani.

Per tutto l’inverno il battaglione tenne la difficile posizione e quasi quotidianamente si scontrò coi tedeschi, i quali invano tentarono di rioccupare il caposaldo. Nelle ultime settimane del conflitto il battaglione passò alle dipendenze dei reparti italiani «Folgore», «Nembo» e «Friuli». Il 14 aprile entrò nella città di Imola e proseguì per Argenta, sino al Po. A San Nicolò (Fe) fu smobilitato.

(testo tratto dalla raccolta di scritti «La Resistenza a Imola e nel suo circondario», Bacchilega Editore, e dal sito internet «Storie dimenticate»)

NELLA FOTO: UNO SCORCIO DEL BORGO DEVASTATO DI TOSSIGNANO

Tossignano, pressoché totalmente distrutto, venne liberato il 13 aprile 1945