E’ il 26 febbraio 1945. Nei campi dell’azienda agricola Ghina di mezzo, a ovest della frazione imolese di Osteriola, qua e là si vede ancora un po’ di neve, ma il cielo è terso e il sole risplende. La casa colonica consiste di due appartamenti. Uno piccolo, di due stanze, in cui risiedono il bracciante Ugo Gherardi, sua moglie Anselma Benati e il loro figlio Adriano. Nell’altro, più grande, vi abitano il bracciante Ugo Dosi, sua moglie Luisa Landi, con le loro figlie Dina, Loredana ed Edera, il padre Vittorio Dosi e Rina, sorella di Ugo. Quella brava gente dà aiuto e riparo ai partigiani combattenti, correndo grandi rischi. Se infatti i nazifascisti scoprissero il covo, la rappresaglia sarebbe terribile: pagherebbero tutti con la vita.
Seduti al sole, su una panca appoggiata al lato della casa che guarda verso Osteriola, Vittorio Gardi, Dante e Angelo Volta e il nipote di Dosi, Zelino Frascari, venuto da Conselice, stanno pulendo le armi: quelle armi che vengono imbracciate ogni notte quando si va a tagliare i fili delle linee telefoniche usate dai tedeschi, a spargere chiodi a quattro punte sulle strade dove transitano automezzi militari, a recuperare materiale bellico o a raccogliere generi alimentari da mandare ai compagni che stanno su in montagna.
Poi la calma viene interrotta. E’ trascorso tanto tempo, ma Vittorio Gardi, classe 1930: ricorda quel momento come fosse oggi e un brivido gli corre lungo la schiena. «Arrivò trafelato Attilio Volta, che insieme a mio padre Armando aveva appena macellato una mucca, come faceva ogni settimana, per distribuire parte della carne alla popolazione e la restante destinarla ai partigiani. Attilio ansimava per la corsa e ci disse concitato: “A Osteriola un ufficiale tedesco ha lasciato trapelare che reparti della Gestapo, provenienti da Bologna, faranno un grande rastrellamento nella zona”».
Dante Volta ripartì subito. «Noi – ricorda ancora Vittorio – andammo a nascondere le armi mettendole, come al solito, nella stalla, sotto la mangiatoia delle mucche. Quando uscimmo, vedemmo in lontananza la sagoma di una persona che camminava sulla cavedagna che attraversa tutta l’azienda, da sud a nord, partendo dalla casa Ghina sulla San Vitale. Poi dalla San Vitale apparve un gruppo di persone che, a causa della distanza, non si capiva chi fossero. E pensammo fossero altri civili in fuga dal rastrellamento».
Invece erano della Gestapo. «Il gruppo proveniente dalla San Vitale, arrivato alla Ghina di mezzo, ci circondò. Ci perquisirono e iniziarono ad interrogarci. Volevano sapere dove erano i partigiani, dove erano le armi, dov’era Aldo (Aldo Afflitti, comandante delle Sap, Ndr). Zelino, Angelo e io rispondemmo di non sapere niente. Allora i tedeschi ci spinsero a piedi verso Osteriola, scortandoci con le armi in pugno».
I nazisti, tra urla e spinte, stavano infatti radunando nella piccola frazione imolese tutta la popolazione locale e le persone arrestate durante il rastrellamento. I prigionieri vennero rinchiusi per la notte all’ultimo piano di una casa di Osteriola. «La mattina successiva venimmo caricati su due carrette trainate da cavalli e portati in una casa colonica di Cantalupo, dove aveva sede un comando della Feldgendarmerie. Tra questi c’eravamo io e mio padre, e poi Zelino Frascari e Otello Cardelli, mentre Angelo Volta venne inviato direttamente a Bologna, alle carceri di San Giovanni in Monte».
I giorni successivi furono terribili. «Ci chiusero in due stanze al pianterreno. I primi due giorni ci lasciarono senza bere e mangiare. Poi cominciarono gli interrogatori. A turno, quasi tutte le notti, ci portavano di sopra. Prima le domande, sempre quelle: dov’è Aldo, chi sono i capi, dove sono le armi… Poi le botte e le cinghiate».
Un supplizio che pareva non avesse mai fine. Finché – continua Vittorio – «il pomeriggio dell’undicesimo giorno vennero a prelevare mio padre ed Otello Cardelli. Babbo mi abbracciò dicendomi: “Se vai a casa stai vicino alla mamma”. Dopo di che li trascinarono via. Quella fu l’ultima volta che vidi mio padre, vivo».
Sorte diversa per chi era rimasto, ma non per tutti. «Verso sera ci caricarono su un camion militare e ci portarono a Imola, al carcere della rocca sforzesca. Dopo altri otto giorni, verso le dieci del mattino, aprirono le porte e ci lasciarono andare. Tutti, meno Zelino Frascari, che fu caricato su un’automobile e portato pure lui a Bologna».
Salirono così a quattro i partigiani di Osteriola che furono tradotti prima alla caserma Masini, poi al comando della Gestapo in via Santa Chiara, dove subirono ancora torture atroci, infine a San Giovanni in Monte: Angelo Volta, Otello Cardelli, Armando Gardi e Zelino Frascari. Non fecero più ritorno.
Finita la guerra, i familiari iniziarono le ricerche. «Si rincorrevano tante voci, per lo più infondate. Un giorno – ricorda Vittorio – ci riferirono che a Bologna, nei pressi della stazione ferroviaria di San Ruffillo, avevano trovato dei corpi che affioravano dal terreno e che non erano stati ancora identificati. Mia madre, Attilio Volta e altri partirono. Visionando gli oggetti personali rinvenuti su quei poveri resti mia madre riconobbe un pezzo di velluto scuro della giacca di mio padre e fu chiara la terribile sorte toccata ai quattro di Osteriola: erano stati uccisi».
In seguito le salme, una volta identificate, vennero portate a Imola dove, assieme a tanti altri caduti della Resistenza, furono allineate in piazza Matteotti e onorate con lo storico funerale del 21 ottobre 1945. Ogni anno, in loro ricordo e di altri partigiani di Osteriola caduti per la libertà, viene posata una corona sulla lapide collocata sulla parete esterna della casa che si trova in prossimità dell’incrocio tra le vie San Vitale e Correcchio Inferiore.
Zelino Frascari era nato il 5 aprile 1925 ad Imola da Anselmo e Stella Dosi. Nel 1943 Zelino aveva solo 17 anni quando, dopo la caduta del fascismo e l’avvento della Repubblica sociale italiana, molti giovani furono costretti a scegliere se arruolarsi nell’esercito della neonata repubblichina fascista oppure darsi alla macchia. Non fu una scelta facile: «Era il maggiore di quattro figli orfani del padre, avrebbe voluto aiutare la mamma. I tempi erano difficili ma tali da non dare retta al cuore bensì alla propria coscienza antifascista», racconterà suo fratello Giulio.
Zelino dapprima si rifugiò nel podere di Alvisi assieme ad altri renitenti alla leva tra cui Pasquale Tarlazzi, Carnevali detto «Nutri» e Matulli. Poi, con l’arrivo dei tedeschi a Conselice, quel posto non era più sicuro perciò decise di spostarsi a Osteriola, con tutta la famiglia, nella casa dello zio Ugo. Divenuto partigiano del Battaglione «Ruscello» della 7ª Gap, nell’autunno del ‘44 partecipò alla sanguinosa battaglia di porta Lame, a Bologna. Poi l’arresto a Osteriola, le torture nella rocca di Imola e la tragica fine nelle fosse di San Ruffillo con altri compagni di lotta. E’ stato riconosciuto partigiano dall’1 luglio 1944 al 16 marzo 1945.
SACRARIO DI CONSELICE
Nella foto: il sacrario che il Comune di Conselice ha «dedicato ai Caduti per la Libertà», posto nell’area cimiteriale, costituito da una struttura a semicerchio con pavimento in granito. Al centro un monumento a forma di altare sormontato da tre croci bianche composte in modo stilizzato. Al centro e ai lati lastre di marmo con le iscrizioni in bronzo e le fotografie in bianco e nero. Tra i 26 partigiani qui ricordati anche Zelino Frascari.
LA LAPIDE DEL PALAZZO COMUNALE
Nel loggiato del palazzo comunale di Conselice c’è una grande lapide in memoria dei 42 partigiani caduti durante la guerra di Liberazione, lì posta il 14 aprile 1995, nel 50° anniversario della cacciata dei nazifascisti dalla città. Al centro la bandiera italiana, con lo stemma in bronzo della Repubblica Italiana. Ai lati il lungo elenco dei patrioti conselicesi caduti, tra cui Zelino Frascari.
SEDE ANPI DI IMOLA
All’esterno della sede di Anpi Imola, in piazzale Giovanni dalle Bande Nere, a lato dell’ingresso c’è una lapide dedicata a partigiani e antifascisti imolesi che «caddero combattendo o furono barbaramente fucilati a Bologna». Tra questi i dieci patrioti che furono trucidati in due date nella stazione ferroviaria di San Ruffillo, tra i quali il conselicese Zelino Frascari.
LAPIDE OSTERIOLA
Il nome di Zelino Frascari compare anche nella lapide commemorativa che si trova nella frazione imolese di Osteriola, sulla parete esterna della casa (numero civico 190) posta in prossimità dell’incrocio tra le vie San Vitale e Correcchio Inferiore. Inaugurata il 26 febbraio 2017, in sostituzione di precedenti lapidi lì poste, ricorda i partigiani di Osteriola, o caduti in tale frazione imolese, durante la guerra di Liberazione dal nazifascismo.
MONUMENTO DI SAN RUFFILLO
A Bologna, in piazza Caduti di San Ruffillo, si erge il cippo monumentale che ricorda le vittime delle fucilazioni avvenute sul finire della seconda guerra mondiale tra le rovine della vicina stazione ferroviaria di San Ruffillo. Monumento lì collocato nel 1967 in sostituzione di quello che, dal 1946, sorgeva sul terrapieno della ferrovia nei pressi della stazione e che è stato dismesso.
Sulla faccia principale del monumento attuale si legge l’iscrizione: «Da queste fosse rosse di sangue risuona la voce dei partigiani trucidati dai nazifascisti ad ammonire i vivi che non c’è civile grandezza senza libertà ed amore».
Sugli altri lati del monumento sono riportati i nominativi delle vittime divisi per comune di provenienza: Castelfranco Emilia; Imola e Bondeno; Bologna, Malalbergo e Anzola dell’Emilia.
LAPIDE IN VIA MURRI
Nella foto la lapide che si trova a Bologna, in via Augusto Murri 158, murata nella parete esterna della scuola statale «Clotilde Tambroni». Lapide che «i compagni di lotta» hanno dedicato «ai gloriosi martiri caduti per la libertà dei popoli». Tra i nomi lì ricordati anche quelli di undici partigiani imolesi, tra i quali Zelino Frascari.