Vittorina Dal Monte: «E noi donne buttammo giù il busto di Mussolini»

Vittorina Dal Monte: «E noi donne buttammo giù il busto di Mussolini»

Nella notte tra il 24 e il 25 luglio 1943, nel corso di una riunione drammatica, il Gran Consiglio del Fascismo esautora Benito Mussolini e, a seguito di ciò, il duce viene deposto e fatto arrestare dal re Vittorio Emanuele III. Per tutta la giornata del 25 luglio viene mantenuto uno strettissimo riserbo su quanto accaduto e soltanto alle 22.45 viene data per radio la notizia della sostituzione del capo del Governo.

E subito nel paese esplose una gioia incontenibile, con manifestazioni, cortei spontanei, canti e sventolii di bandiere e lo smantellamento dei simboli del regime. «Furono giornate veramente campali», ricorda Vittorina Dal Monte, partigiana, poi funzionaria del Pci, sindacalista e militante dell’Udi, in una lunga intervista autobiografica raccolta dalla storica Elda Guerra tra il novembre e il dicembre del 1991 e ora divenuta un libro («Attraverso il Novecento – Vittorina Dal Monte tra Partito comunista e movimento delle donne (1922-1999)», promosso dalla Fondazione Gramsci ed edito da Viella.

Vittorina dal Monte era nata il 18 gennaio 1922 da una famiglia di braccianti, a Sesto Imolese, terra di forti tradizioni anarchiche, socialiste e comuniste. «Sono nata nel 1922, anno della marcia su Roma, da due braccianti poverissimi della bassa imolese, di Sesto, entrambi fondatori del Pci, che si era costituito un anno prima». Così inizia il racconto di una storia di vita che si snoda lungo i passaggi cruciali del XX secolo, con le sue illusioni e suoi disinganni, tra perseguimento della giustizia sociale e ricerca di una differente libertà delle donne.

Vittorina segue i propri genitori, Romeo Dal Monte e Maria Quattrosoldi, fondatori della locale sezione del Partito comunista, al confino nell’isola di Lipari, dove lei bambina frequenta la casa del filosofo Carlo Rosselli. Per sfuggire alle persecuzioni fasciste, la famiglia emigra clandestinamente in Francia, dove rimane fino all’invasione tedesca. Qui frequenta la scuola fino all’equivalente della terza media. Inizia a lavorare a 13 anni in sartoria, poi, dal ’39 al ’40, lavora come ambulante e dal ’42 al ’43 come mondina. Si iscrive al Partito comunista francese. Poi la fuga dalla Parigi occupata, il ritorno in Italia, dove il padre viene immediatamente arrestato, e l’entrata nella Resistenza, militando nel battaglione Pianura della brigata Sap Imola.

«Il 25 luglio del ’43 – racconta Vittorina Dal Monte in quell’intervista – ero già tornata a Sesto Imolese. E ricordo benissimo quelle giornate perché furono veramente campali. Eravamo felici per la caduta di Mussolini e volevamo buttare giù tutti i simboli del fascismo. Così ci radunammo. Eravamo soprattutto donne e dei ragazzini che non erano ancora di leva, perché gli uomini non c’erano mica. C’erano anche dei vecchi, ma i vecchi non vennero con noi. Prima ci siamo dirette verso la Casa del fascio di Sesto Imolese, che era in piazza, dove abbiamo buttato giù un pesante busto. E poi, in bicicletta, ci siamo dirette verso Castel Guelfo, per fare la stessa cosa. Era un codazzo incredibile. Un codazzo di donne in bicicletta tutte arrabbiate. Da filmare! Davanti alla Casa del fascio di Castel Guelfo, però, abbiamo trovato schierata una compagnia di soldati con un tenentino fetente che aveva già fatto piazzare le mitragliatrici e ci stava aspettando. Ma noi non siamo mica andate via. Non siamo riuscite ad entrare nell’edificio, però siamo rimaste fino a sera tardi e siamo tornate a Sesto che era già buio. Magari non ci avrebbero sparato addosso, ma comunque il nostro esempio ha poi spinto la gente di Castel Guelfo, il giorno dopo, a fare quello che avevamo fatto noi a Sesto».

Dal 1946 al 1952 Vittorina Dal Monte è a Bologna, dove fa parte della Commissione femminile del Pci. Nel 1951 viene eletta nel Consiglio provinciale e nella Giunta, all’interno della quale ricopre la carica di assessore. Successivamente, a Roma, entra nella Commissione di organizzazione del Pci della quale è responsabile Pietro Secchia. Nel 1953 è a Torino, dove rimane fino al 1956, come responsabile femminile del Pci; rientrata a Roma nello stesso anno, diviene membro della segreteria nazionale dell’Udi, l’Unione donne in Italia.

Nel 1958 entra nella Cgil, la Confederazione generale italiana del lavoro, nel settore dei tessili, e, tra il 1963 e il 1965, assume incarichi all’interno della segreteria nazionale ed è segretaria provinciale del sindacato del settore abbigliamento a Milano.

Tornata nel 1967 a lavorare nella Federazione bolognese del Pci, si occupa fino al 1979 delle fabbriche che impiegano manodopera femminile e delle tematiche connesse ai diritti delle donne e alle politiche per le pari opportunità; la sua attività politica e lavorativa prosegue e una volta in pensione continua l’impegno per i diritti delle donne collaborando sia con l’Udi di Bologna (1979-89) sia con il Centro di documentazione delle donne di Bologna.

Si spegne a Bologna l’11 dicembre 1999.

Il Comune di Bologna le ha intitolato il giardino contiguo al centro culturale e sociale Villa Paradiso, in via Emilia Levante 138, nel quartiere Savena, mentre il Comune di Imola nel 2018 le ha dedicato l’area verde posta a fianco di via Capelli, nella frazione di Sesto Imolese.

NELLE FOTO: LA FAMIGLIA DAL MONTE E VITTORINA DURANTE IL SUO PERCORSO
POLITICO CHE L'HA PORTATA AD INCONTRARE GRANDI PERSONALITA' DELLA STORIA,
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