Se il Presidente della Repubblica è costretto ad intervenire, vuol dire che la situazione è veramente preoccupante. L’hanno sottolineato un po’ tutti, pur con toni diversi, coloro che hanno preso la parola durante la cerimonia commemorativa in ricordo dei partigiani della frazione imolese di Osteriola caduti durante la guerra di Liberazione dal nazifascismo, svoltasi domenica 25 febbraio.
Il riferimento è a quanto detto da Mattarella nella telefonata fatta a Piantedosi, il ministro dell’Interno, dopo quanto accaduto a Firenze e Pisa, con gli studenti picchiati dai poliziotti coi manganelli e immobilizzati a terra come fossero pericolosi delinquenti. «L’autorevolezza delle forze dell’ordine – ha detto il Presidente – non si misura sui manganelli ma sulla capacità di assicurare sicurezza tutelando, al contempo, la libertà di manifestare pubblicamente opinioni. Con i ragazzi i manganelli esprimono un fallimento».
Poi, a voler essere pignoli, anche senza che debba intervenire il Presidente della Repubblica, basterebbe leggersi la Costituzione della Repubblica italiana, la quale spiega chiaramente che il poter manifestare in pubblico rivendicazioni, proposte, dissenso, rappresenta un diritto essenziale per una democrazia che voglia definirsi tale, in quanto la democrazia vive del pluralismo.
Invece succede che il loggionista che grida «Viva l’Italia antifascista» alla prima della Scala venga identificato dalla Digos, così come succede che siano state identificate alcune persone che stavano deponendo fiori in ricordo del dissidente russo Alexei Navalnyn, morto in carcere, davanti alla targa dedicata a Anna Politkovskaja (la giornalista russa assassinata a Mosca il 7 ottobre 2006).
«Tremo quando uno viene identificato perché ha gridato “Viva l’Italia antifascista” – ha commentato il vicesindaco di Imola, Fabrizio Castellari – e tremo quando vedo una piazza di braccia tese derubricata a semplice atto commemorativo. Così come mi ha fatto tremare vedere tutto quell’accanimento su dei ragazzi che manifestavano pacificamente. Coi ragazzi si parla, si discute. Come ha detto il Presidente Mattarella usare i manganelli sui ragazzi rappresenta invece un fallimento. Ma tremo anche quando avverto calare una cappa di silenzio su quanto sta accadendo. Un silenzio che non è innocente, è colpevole».
Certo – ha aggiunto subito dopo Daniele Bassi, sindaco uscente di Massa Lombarda – «a noi tutti spetta il compito di continuare a veicolare valori e principi fondamentali per il vivere democratico quali l’antifascismo, la Liberazione dal nazifascismo, la Resistenza. Principi e valori che non sono negoziabili. In questo momento dichiararsi antifascisti è dirimente, ma non basta più. Ci hanno mostrato centinaia di braccia tese riunite ad Acca Larentia, ci hanno mostrato dei ragazzi presi a manganellate perché manifestavano il loro pensiero, costringendo il Presidente della Repubblica ad intervenire… Ma quando il Presidente della Repubblica è costretto ad intervenire – ha rimarcato Bassi – vuol dire che il segno è stato superato. E’ evidente che è in atto una deriva autoritaria. Quindi l’antifascismo bisogna non solo dirlo ma anche manifestarlo, praticarlo. Come? Denunciando, tutti quanti e con con forza, quanto sta succedendo e mostrando pubblicamente il proprio dissenso», come hanno fatto migliaia di cittadini di Pisa, riempiendo la piazza (quella che era stata negata ai ragazzi) in solidarietà verso gli studenti picchiati dalle forze dell’ordine.
Concetti questi ultimi rafforzati da Paola Pula, sindaca uscente di Conselice: «Stiamo vivendo un momento storico veramente molto molto complicato. E il silenzio, il tacere, lo stare zitti, il non dire nulla, il voltarsi dall’altra parte può diventare molto pericoloso per la democrazia». Così come – ha avvertito – «noi cittadini dobbiamo avere un approccio critico verso la disattenzione creata ad arte, verso chi sposta l’attenzione delle persone su fatti secondari, marginali. E’ evidente che è in atto una “distrazione di massa” dai contenuti veri, dalle questioni importanti, di cui si dovrebbe essere informati correttamente e di cui, poi, poter discutere liberamente e in maniera trasparente».
E invece – ha stigmatizzato la sindaca – «l’assalto all’Emilia Romagna sta passando attraverso una narrazione non corretta dell’alluvione, dando la colpa ai sindaci a livello locale e alla Regione di non essere intervenuta tempestivamente. E’ una narrazione doppiamente distorta perché politicamente di parte e perché non tiene conto della gravità e della assoluta straordinarietà di quanto avvenuto nel maggio dello scorso anno».
E, approssimandosi le elezioni amministrative in molti Comuni, l’invito è a chiedere ai candidati alla carica di sindaco di riconoscersi pubblicamente nella Costituzione italiana nata dalla guerra di Liberazione e nelle leggi che vietano la ricostituzione del disciolto Partito nazionale fascista.