Rastrellato a Toranello e portato in rocca, Guido Bianconcini morì per le terribili torture lì subite
Il 5 febbraio 1945 i nazifascisti avevano effettuato un rastrellamento nella zona collinare di Toranello, tra i territori comunali di Riolo Terme e di Borgo Tossignano, catturando una ventina di uomini, tra i quali alcuni partigiani delle Sap.
Andarono a colpo sicuro, probabilmente grazie alle informazioni ricevute da un delatore: Antonio Buganè e Sergio Ragazzini furono catturati sulla via di Codrignano; Paolo Farolfi a Ca’ del Volo; Lorenzo Baldisserri alla Canovaccia; Nello e Alviso Valli a Ca’ Spessa; Guido Bianconcini e suo fratello alla Bassotta; Paolo Roncassaglia al Serraglio e suo cugino, Antonio Roncassaglia, alla Collina di Sopra; Attilio Visani alla Zampona; Dante Giorgi alla Ca’ Nuova; Fernanda Nannoni a Orsano; Sandrini, suo figlio e il cognato a Ca’ Lama; i fratelli Benedetti al Poggio di Toranello.
In un primo tempo i rastrellati furono portati al podere Fontana Vezzola, dove i tedeschi il 20 dicembre 1944 avevano fucilato i due mezzadri Giovanni e Paolo Capirossi, entrambi partigiani della 36ª Brigata Garibaldi «Bianconcini». Gli uomini catturati furono picchiati, poi parecchi di loro vennero trasferiti a Imola per essere rinchiusi nelle celle della rocca sforzesca, allora utilizzata come carcere, ove nei giorni seguenti subirono ulteriori pestaggi e torture. Guido Bianconcini (nato l’1 gennaio 1910 a Borgo Tossignano da Domenico e Anna Meluzzi, ma residente a Riolo) non resistette e il 12 febbraio 1945 morì per le terribili sevizie che gli erano state inflitte. Riconosciuto partigiano dal 24 giugno 1944 al 12 febbraio 1945, giorno della sua morte.
Altri otto partigiani, tutti giovani riolesi – Lorenzo Baldisserri, Emilio Benedetti, Paolo Farolfi, Dante Giorgi, Sergio Ragazzini, Antonio Roncassaglia, Paolo Roncassaglia e Attilio Visani – verranno prelevati il successivo 10 marzo dai militi fascisti e portati nel podere «La Rossa», nei pressi dell’allora fornace Gallotti, nella periferia di Imola. E lì, ancora «grondanti di sangue per le torture subite», verranno barbaramente uccisi e i loro cadaveri gettati «uno sull’altro» in un grande cratere di bomba d’aereo colmo d’acqua.
I corpi verranno ritrovati soltanto un mese e mezzo dopo, a guerra ormai finita. Il verbale redatto dalla squadra che effettuò il recupero evidenziò che i volti delle vittime erano orrendamente sfigurati a causa dei pestaggi subiti, con fratture al viso e al cranio, ovunque segni lasciati da corpi contundenti e fori da arma da fuoco alla testa. I restanti compagni rastrellati ancora detenuti nella rocca vennero invece trasferiti al carcere di San Giovanni in Monte, a Bologna, e in parte furono deportati in territorio austriaco.
SACRARIO DI PIAZZA NETTUNO
Riconosciuto partigiano dal 24 giugno 1944 al 12 febbraio 1945, giorno della sua morte, Guido Bianconcini e gli otto compagni trucidati nel podere «La Rossa» sono ricordati nel memoriale dedicato ai partigiani caduti a Bologna e provincia durante la guerra di Liberazione dal nazifascismo.
Il sacrario, composto da tre grandi cornici contenenti più di duemila formelle in vetroceramica, è collocato sulla parete di palazzo d’Accursio, sede del Comune di Bologna, che affaccia su piazza del Nettuno, sul fronte della biblioteca Salaborsa. Ciascuna delle formelle riporta il nome di un partigiano caduto, il più delle volte accompagnato dalla fotografia.
I tre riquadri, inframezzati dalle finestre del palazzo comunale, sono raccordati dalla seguente scritta in bronzo posta superiormente: «Bologna 8 settembre 1943 – 25 aprile 1945 / Caduti della Resistenza per la libertà e la giustizia, per l’onore e l’indipendenza della Patria».
MONUMENTO PODERE «LA ROSSA»
Ad Imola, in via Emilia Ponente, sul luogo dell’eccidio dei partigiani riolesi oggi si trova il monumento progettato dall’architetto Gian Piero Martinoni, costituito da 8 steli metallici (uno per ogni partigiano ucciso) che, uscendo dal tappeto erboso e protendendosi verso il cielo, simboleggiano l’anelito di libertà che portò quei giovani alla lotta contro la barbarie e l’oppressione, fin all’estremo sacrificio.
Inaugurato nel 1988, al monumento che ricorda la strage del podere «La Rossa» è stata aggiunta nel 1995 una lapide riportante i nomi degli otto martiri, che qui ricordiamo: Lorenzo Baldisseri, Emilio Benedetti, Paolo Farolfi, Dante Giorgi, Sergio Ragazzini, Antonio Roncassaglia, Paolo Roncassaglia e Attilio Visani.
LA ROCCA LUOGO DI TORTURA
L’antica rocca sforzesca di Imola nella sua lunga storia è stata anche carcere mandamentale. Durante il secondo conflitto mondiale, ed in particolare dopo l’8 settembre del 1943 e fino alla liberazione della città, le sue celle sono state utilizzate per incarcerare gli oppositori politici e come luogo di tortura.
Per molti patrioti le celle della rocca furono solo una tappa intermedia in percorso di martirio e di morte, perché poi, dopo le botte e le torture loro inflitte sadicamente dagli aguzzini nazifascisti, furono avviati «a fine atroce» in altri luoghi. Ma per cinque di essi, ricordati da una lapide, la rocca sforzesca fu anche il luogo della loro morte.
Il nome di Guido Bianconcini figura sulla lapide posta su un muro della rocca sforzesca dedicata a coloro che lì vi morirono per le torture subite. Accanto, un’altra lapide ricorda che «in questa rocca, allora carcere, 278 uomini e donne per mani nazifasciste subirono persecuzioni e torture o furono avviati a fine atroce al poligono di tiro e a San Ruffillo di Bologna, al podere “La Rossa” e al “pozzo Becca” di Imola, nei lager di sterminio».
MONUMENTO CADUTI SAP MONTANO
Su un cocuzzolo erboso a poca distanza dalla strada, alla biforcazione di via Ghiandolino in via Caduti di Toranello e via Sabbioni, in territorio di Riolo Terme, si erge il monumento commemorativo dei partigiani del Sap Montano morti durante la guerra di Liberazione dal nazifascismo.
Il monumento dedicato ai caduti del Sap Montano è costituito da tre grandi figure stilizzate in ferro che poggiano su un ampio basamento in cemento. Sulla faccia frontale vi è una lastra in marmo con la scritta «Qui la libertà, la speranza in una Italia nuova vissero con la lotta il sacrificio e l’eroismo del S.a.p. Montano e delle popolazioni tutte – Ca’ Genasia, 1944-1974».
Nel retro del monumento, sulla faccia superiore vi è una seconda grande lastra con i nomi dei 35 caduti del «Sap Montano», tra cui quelli di Guido Bianconcini e degli 8 patrioti trucidati nel podere «La Rossa», ad Imola.