Purocielo, l'ultima battaglia della 36ª brigata Garibaldi

Purocielo, l’ultima battaglia della 36ª brigata Garibaldi

Il 9 ottobre 1944, nella zona di Santa Maria di Purocielo (oggi Santa Maria in Gorgognano), in territorio di Brisighella, tra le valli del Sintria e del Lamone, due battaglioni (il secondo e il quarto) della 36ª brigata Garibaldi «Alessandro Bianconcini», per un totale di circa 700 effettivi, guidati da Luigi Tinti («Bob»), avevano preso posizione alle spalle della linea Gotica per tentare lo sfondamento delle linee tedesche verso Fornazzano e ricongiungersi così con le forze alleate, attestate a meno di due ore di cammino. L’avvicinarsi del fronte aveva infatti ridotto le possibilità di manovra della brigata, presa com’era ormai tra due fuochi, rendendo la situazione molto critica. Criticità aggravata anche dalla scarsità di viveri e dalla mancanza di abbigliamento adatto alle basse temperature visto l’approssimarsi della cattiva stagione.

Così il mattino del 10 ottobre, mentre era calata una fitta nebbia, partendo da Ca’ di Malanca i partigiani attaccarono le linee nemiche. Ma lo sfondamento non riuscì a causa dell’armamento pesante di cui disponevano i tedeschi e dell’efficienza dei loro reparti mandati in combattimento. Così i partigiani dovettero subire un violento contrattacco, che nei tre giorni successivi provocherà feroci combattimenti in varie località (Ca’ di Malanca, monte Colombo, Poggio Termine di sopra), con ingenti perdite da ambo le parti.

All’alba dell’11 ottobre i tedeschi, guidati dai fascisti, arrivarono di sorpresa a Ca’ di Gostino, ove si era insediato il comando della brigata Garibaldi, seminando la morte tra i partigiani e uccidendo diversi componenti del comando. Dopo una strenua resistenza il comandante Bob riuscì però a rompere l’assedio e a mettersi in salvo assieme ai superstiti.

I combattimenti andranno avanti per tutta la giornata. «Della mia compagnia erano con me solo sedici uomini – ricorda in un suo libro il partigiano Nazario Galassi, nome di battaglia “Rullo” -. Un cavo di un torrentello ci protesse durante la difesa e ci rese evidente la gravità della situazione: sparavano da tutti i lati, alcuni tratti erano scoperti e si dovevano fare a carponi poiché erano battuti dalle “raganelle”. A metà della china incontrammo i tedeschi in una macchia poco distante dal torrente. Essi ci videro, ma “Bruno” sparò prima di loro e noi lo imitammo. Qualcuno cadde, ma ancora non si decisero a lasciare il posto e spararono coi fucili e con le machinenpistole. Non potevamo fermarci. Gettammo le bombe e avanzammo sparando. Ricordo di aver cambiato più volte il caricatore prima che potessimo trovare via libera e raggiungere il fondo di rio di Cò. Poi la salita faticosa per una macchia fitta. A mezzogiorno raggiungemmo la nostra infermeria divenuta il baluardo di difesa più avanzata».

Solo grazie al sacrificio delle squadre partigiane attestate a Ca’ monte Colombo e sulla cima di monte Colombo la maggior parte dei garibaldini riuscirà ad attraversare il rio di Cò e a raggiungere Poggio Termine di sopra, dove si trovava anche l’infermeria di brigata. E da quella posizione e dalle posizioni del crinale e di Torre di Calamello i partigiani riusciranno poi a respingere nella notte e nella successiva giornata del 12 ottobre tutti gli assalti nemici.

Ma la situazione era ormai divenuta insostenibile. Le munizioni cominciavano a scarseggiare, mentre i caduti e i feriti erano decine. La brigata rischiava l’annientamento. Così, dopo essersi consultato coi comandanti dei reparti, Tinti decise di uscire dalla valle a nord, cioè dalla parte opposta alle linee alleate che erano la loro meta.

Nella notte tra il 13 e il 14 il grosso della brigata (circa 500 uomini guidati da Sesto Liverani, «Palì», e con l’aiuto dei partigiani della brigata «Celso Strocchi») iniziò una difficile manovra di sganciamento verso monte Tesoro. «Per tre notti camminammo al buio, in silenzio, in mezzo ai tedeschi – ricorda ancora Galassi -. Sembravamo ombre. Non si sentiva né alcuna parola, né lo scalpiccio dei piedi. Gli ordini dal comando, davanti, venivano passati, secondo il nostro uso, dall’uno all’altro, lungo la fila, fino all’ultimo. Così, presso il Muraglione, sulla strada Forlì-Firenze, trovammo gli inglesi ma non senza aver avuto altre perdite».

Passando da monte Melandro, la brigata aveva raggiunto Modigliana ove, nella frazione di Fiumane, si scontrò col presidio tedesco perdendo il commissario Andrea Gualandi («Bruno»), lo slovacco Stefano Svesch e la staffetta Angelina Giovannini. Gualandi verrà poi decorato con la Medaglia d’oro alla memoria.

Nella battaglia di Purocielo, l’ultima sostenuta dalla 36ª brigata Garibaldi, persero la vita 57 partigiani. I restanti, giunti alle linee alleate, verranno disarmati e poi inviati al centro profughi di Firenze, dove potranno abbracciare i compagni reduci da monte Battaglia. Luigi Tinti («Bob») e Guido Gualandi («il Moro») cercheranno di mantenere uniti gli uomini e di prepararli per un ritorno in prima linea. Il 22 febbraio 1945 entreranno quasi tutti nei gruppi di combattimento del nuovo esercito italiano.

NELLE FOTO: ALCUNI DEI PARTIGIANI CADUTI NELLA BATTAGLIA
DI PUROCIELO; CA' DI MALANCA, DOVE ERANO ACQUARTIERATI
I PARTIGIANI DELLA 36ª BRIGATA GARIBALDI E DA DOVE
IL 10 OTTOBRE 1944 PARTÌ L'ATTACCO ALLE LINEE TEDESCHE;
CA' DI GOSTINO, SEDE DEL COMANDO DI BRIGATA,
CHE FU CIRCONDATA E ATTACCATA DAI TEDESCHI