Lo stabilimento «Becca» oggi non esiste più. Nell’area che occupava sono sorti in tempi recenti eleganti condominii. Ma un cippo monumentale posto su via Vittorio Veneto, a lato della strada, ricorda ai passanti che quello fu luogo di tragedia. Lì, infatti, nella notte tra il 12 e il 13 aprile 1945, i sicari neri compirono la loro ultima nefandezza nella città del Santerno, prima di darsi alla fuga di fronte alle avanzanti truppe alleate.
Fattisi consegnare dai guardiani della rocca sforzesca, allora adibita a carcere, 16 partigiani e prigionieri politici ancora detenuti, li portarono nella fabbrica di conserve alimentari. Non paghi di quanto avevano già fatto loro subire, spietatamente li torturarono ancora e ancora, per ore. Poi li trucidarono spietatamente.
Dopo la liberazione della città, gli abitanti della zona riferirono alle autorità alleate di avere udito urla terribili. E fu scoperto l’orrore: 16 corpi orrendamente martoriati erano stati gettati entro un pozzo. I nomi di quei martiri sono scolpiti sul cippo perché nessuno possa dimenticare o dire «non sapevo».
LA ROCCA SFORZESCA DI IMOLA
La rocca sforzesca è un castello di età medievale che sorge nel centro della città di Imola. L’edificio, costruito sui resti di un torrione preesistente, durante il XV secolo assunse la struttura attuale, caratterizzata dai quattro torrioni perimetrali e dal mastio. Oltre agli scopi difensivi, quelle mura già allora servirono anche come prigione.
Funzione di prigione che divenne predominante dopo il passaggio di Imola sotto il diretto dominio pontificio, quando la rocca perse la sua originale funzione difensiva, divenendo carcere. Funzione che fu mantenuta anche dopo il passaggio al Regno d’Italia.
Durante il secondo conflitto mondiale, e in particolare dopo l’8 settembre del 1943, le celle della rocca sforzesca furono utilizzate per incarcerare partigiani e oppositori politici e come luogo di tortura. Da qui vennero prelevati decine di prigionieri che furono poi uccisi a Imola, presso il podere «La Rossa» e nello stabilimento «Becca», e a Bologna, presso il poligono di tiro cittadino e la stazione ferroviaria di San Ruffillo. La rocca rimase in funzione come carcere fino al 1958.
LO STABILIMENTO «BECCA»…
Lo stabilimento alimentare «Becca», posto in via Vittorio Veneto, nell’immediata periferia di Imola, venne ridotto in rovine dai bombardamenti alleati. Qui, nella notte tra il 12 e il 13 aprile 1945, i brigatisti neri portarono 16 partigiani e oppositori politici prelevati dalla vicina rocca sforzesca, allora utilizzata come carcere. Poi infierirono su di loro, tanto da renderne quasi impossibile la successiva identificazione dei corpi martoriati. Poi li uccisero e gettarono i cadaveri entro un pozzo lì presente, facendolo poi saltare con cariche esplosive per nascondere il misfatto.
… E IL POZZO DEL MASSACRO
Imola venne liberata il giorno 14 aprile 1945. Le autorità militari alleate, allertate dagli abitanti della zona, che riferirono delle urla tremende udite durante quella notte, non tardarono a scoprire il massacro. Il rinvenimento dei corpi avvenne il 15 aprile tra l’orrore non solo della popolazione civile e dei partigiani, ma anche degli stessi militari alleati. Alla vista dei corpi orrendamente martoriati il governatore polacco, che comandava la piazza di Imola, svenne. Il maggiore Reid, della polizia militare dell’VIII Armata britannica, dopo aver esaminato i resti, affermò: «Non ho mai visto in vita mia uno spettacolo così orrendo. E’ incredibile che esseri umani siano stati capaci di tanta crudeltà».
La foto documenta l’inizio del recupero delle salme, operazione che risulterà complicata dall’acqua presente e dalle macerie cadute nel pozzo dopo le esplosioni. «Fummo avvertiti il giorno dopo la liberazione che dentro al pozzo dello stabilimento ortofrutticolo erano stati gettati dei corpi umani – racconterà poi Antonio Emiliani, tra i vigili del fuoco che intervennero –. Fu difficilissimo recuperare i cadaveri perché erano sepolti dalle pietre e talmente massacrati che andavamo cauti a tirarli fuori, per non renderli ancor più irriconoscibili».
I 16 corpi orrendamente mutilati vennero adagiati su delle cassette, in attesa dell’ispezione per l’identificazione. La maggior parte degli uccisi risulterà non essere imolese, ma proveniente da comuni limitrofi: Castel San Pietro e Medicina.
UNA GRANDE FOLLA PRESE PARTE AL FUNERALE
Dell’efferato eccidio diede notizia un manifesto del Cln di Imola che invitava i cittadini a rendere omaggio alle salme dei caduti e a partecipare al corteo funebre. Il funerale delle vittime dell’eccidio del pozzo «Becca» si svolse il 17 aprile 1945. La camera ardente fu allestita in municipio.
Le foto testimoniano la grande partecipazione popolare, col corteo funebre che transitò sotto il voltone del centro cittadino tra due ali di folla silenziosa, per poi imboccare via Mazzini. Le bare dei martiri trasportate su automezzi, seguite dai parenti e scortate da partigiani e pompieri, transitarono in via in via Mazzini, nell’attuale viale Rivalta e in viale Saffi.
Poi il corteo svoltò verso il prato della rocca sforzesca, per imboccare infine viale Caterina Sforza.
Dalla folla assiepata lungo il percorso, in tanti, uomini e donne, salutarono i feretri alzando il braccio col pugno chiuso, saluto antifascista. Un reparto del Battaglione «Libero» (già 36ª Brigata Garibaldi) prese parte al corteo. E sul viale Caterina Sforza vi fu l’ultimo saluto della popolazione commossa alle bare, coi partigiani schierati. Poi gli automezzi partirono verso il cimitero per la sepoltura.
UN CIPPO MONUMENTALE PER NON DIMENTICARE
Oggi un cippo monumentale posto in via Vittorio Veneto ricorda ai passanti che lì, in quel luogo, furono «massacrati dai fascisti» Bernardo Baldazzi, Dante Bernardi, Gaetano Bersani, Duilio Broccoli, Antonio Cassani, Guido Facchini, Mario Felicori, Paolo Filippini, Cesare Gabusi, Secondo Grassi, Ciliante Martelli, Mario Martelli, Corrado Masina, Domenico Rivalta (il solo imolese del gruppo, poi decorato con la Medaglia d’oro al Valor militare alla memoria), Giovanni Roncarati, Augusto Ronzani.