Gli eserciti alleati erano sbarcati in Sicilia nella notte tra il 9 e il 10 luglio 1943. Quindici mesi dopo, il 27 settembre 1944, i soldati statunitensi entrano a Castel del Rio, primo comune della provincia di Bologna ad essere liberato dall’occupazione nazifascista. Tanto hanno impiegato la 7ª Armata statunitense e l’8ª Armata britannica per risalire la lunga e stretta penisola italiana ed arrivare fino alle porte della pianura Padana e del nord industrializzato.
Intanto a pochi chilometri di distanza da Castel del Rio, nel territorio del comune di Casola Valsenio, un battaglione della 36ª Brigata Garibaldi, comandato da Carlo Nicoli, da giorni sta contendendo ai tedeschi il controllo sul triangolo orografico costituito dai monti Carnevale, Cappello e Battaglia. E in quello stesso 27 settembre i partigiani consegnano ai fanti statunitensi le posizioni da loro conquistate su quest’ultimo monte.
Altura strategica, monte Battaglia, che per altitudine, per la sua conformazione e per la presenza dei resti della storica rocca con mura spesse anche un metro, costituisce per la Wehrmacht il baluardo ideale per fermare l’avanzata dell’esercito alleato. Attacchi e contrattacchi andranno poi avanti in un bagno di sangue fino all’11 ottobre, quando i tedeschi, definitivamente sconfitti, si ritireranno su una nuova linea difensiva.
E’ chiaro (anzitutto ai tedeschi, che hanno fatto di tutto per riconquistarlo) che il possesso di monte Battaglia rappresenta per gli anglo-statunitensi la chiave di volta per superare l’Appennino tosco-romagnolo e puntare su Imola e poi su Bologna e la pianura Padana. Di fatto gli eserciti alleati, grazie al prezioso aiuto dei partigiani, hanno aperto un varco nella linea difensiva nemica. Un’opportunità non preventivata, insperata, che potrebbe porre fine rapidamente alla campagna d’Italia iniziata l’anno precedente.
Ma non succede nulla. Dopo avere sfondato da linea gotica, le forze statunitensi superano, sia pure con fatica, il crinale appenninico, poi rallentano ed il fronte si stabilizza ad una quarantina di chilometri da Bologna.
Nella valle del Santerno vengono liberati Fontanelice l’8 dicembre e Borgo (ma non Tossignano, che resta in mani tedesche) il successivo 13 gennaio 1945, quest’ultimo conquistato dai partigiani di Libero Golinelli con un colpo di mano notturno e poi tenuto fino all’offensiva di primavera. Nello stesso tempo gli inglesi rallentano la marcia verso Ravenna e Forlì.
Il mistero dell’improvviso arresto dell’avanzata statunitense e della lenta marcia degli inglesi si chiarisce il 13 novembre quando «Italia combatte», la stazione radio del comando anglo-statunitense in Italia, trasmette il proclama del generale Harold Alexander, col quale il comandante supremo delle truppe alleate nel Mediterraneo annuncia la fine della campagna estiva e la sospensione delle operazioni sino a primavera. Di fatto, è un «tutti a casa» rivolto ai partigiani, anche se per questi ultimi il tornare a casa, essendo ricercati da nazisti e fascisti, non è possibile.
I dirigenti della Resistenza apprendono la notizia della sospensione dell’avanzata degli eserciti alleati dalla radio, così come l’apprendono i nazifascisti, che ora sanno con certezza di avere davanti alcuni mesi di tregua, durante i quali potranno rivolgere tutte le loro energie e risorse contro l’esercito partigiano per distruggerlo.
E cosa succederà nelle settimane a venire, lo si si è già capito. Spie e informatori prezzolati pullulano. Ed è proprio grazie alle delazioni che fascisti e nazisti già da ottobre hanno iniziato a scoprire le basi partigiane, una dopo l’altra.
La prima base a venire scoperta, il 20 ottobre, è stata quella dell’università, dove la maggioranza dei partigiani è riuscita a mettersi in salvo dopo uno scontro durato un paio d’ore, ma 6 sono stati catturati e trucidati.
Il 21 ottobre successivo è stata la volta di una base di transito dei partigiani diretti a Bologna per l’insurrezione, posta nella bassa, a Vigorso di Budrio, ad essere individuata, circondata ed attaccata. Tragico il bilancio finale: 23 morti, tra partigiani e civili, caduti in battaglia o messi al muro e brutalmente fucilati.
Il 30 ottobre stessa sorte per il distaccamento comando della 63ª Brigata Garibaldi, scoperto e circondato tra Tripoli (Casalecchio di Reno) e Casteldebole mentre sta convergendo verso Bologna. E’ un massacro. Fra partigiani e civili sono ben 35 le persone che quel giorno vengono uccise.
Novembre si rivelerà altrettanto tragico. Il giorno 7 viene attaccata la base del macello comunale, a porta Lame. A sera, dopo una giornata di feroci combattimenti, i partigiani riescono a mettersi in salvo scendendo nel canale Cavaticcio. Portano con sé 15 feriti; i caduti sono 12.
Il 15 novembre è la volta della base della Bolognina, con 6 morti e 8 feriti, alcuni dei quali moriranno in seguito. Due giorni prima il comando alleato aveva trasmesso per radio il proclama di Alexander.
Di fronte a tanti tragici avvenimenti i dirigenti della Resistenza decidono di smobilitare il dispositivo insurrezionale, peraltro solo in parte. Anche perché si è consapevoli della difficoltà di fare uscire dalla città e trovare una sistemazione alle centinaia di partigiani che vi sono entrati in previsione dell’insurrezione.
Non possono risalire in montagna, perché l’Appennino è stato quasi completamento liberato dagli alleati. I partigiani vengono così dispersi nella pianura, zona poco adatta per la guerriglia e dove, tra l’altro, è dislocato il grosso delle forze nazifasciste. L’operazione «pianurizzazione» riuscirà, ma il costo in termini di vite umane sarà altissimo.