Monte Battaglia, il vano eroismo dei partigiani della 36ª brigata

Monte Battaglia, il vano eroismo dei partigiani della 36ª brigata

Tra il 9 e il 10 luglio 1943 le truppe alleate erano sbarcate in Sicilia. E nell’estate del 1944 le vittorie conseguite dagli anglo-statunitensi nell’Italia centro-meridionale facevano pensare che fosse ormai imminente anche la liberazione del resto della penisola. «Erano giorni di grandi speranze e illusioni», commenterà lo storico imolese Nazario Galassi in un suo libro.

Il 25 agosto 1944, preceduta da un intenso cannoneggiamento, l’esercito alleato lancia l’offensiva contro la linea Gotica, l’imponente linea difensiva fortificata voluta dal feldmaresciallo Albert Kesselring, comandante supremo di tutte le forze tedesche in Italia.

La linea Gotica tagliava in due la penisola, sfruttando al meglio la conformazione naturale del territorio: se verso il Tirreno erano le catene montuose delle Apuane e degli Appennini a fungere da ostacolo, verso l’Adriatico si sfruttavano i fiumi e i terreni paludosi.

L’organizzazione difensiva era basata inoltre su un sistema di fasce fortificate successive, profonde qualche chilometro, tant’è che si parla di linea Gotica Uno e di una linea Gotica Due proprio per distinguere la prima linea dalla seconda, posta mediamente circa una ventina di chilometri più a nord della prima, ben organizzata e difesa nel settore adriatico e con un andamento meno evidente nel settore appenninico, dove peraltro verrà ricostruita di continuo dai tedeschi sfruttando i lunghi tempi concessi dalla lenta avanzata alleata.

I partigiani, in base alle direttive emanate dal comando generale, passarono pertanto all’attacco. E la 36ª brigata Garibaldi Bianconcini non fece eccezione, anche perché la zona collinare imolese era ormai diventata l’immediata retrovia del fronte. Il 12 settembre le truppe statunitensi avevano infatti attraversato con successo il passo del Giogo, a Scarperia, sorprendendo i tedeschi attestati sul passo della Futa, e sembrarono avanzare verso Imola.

In previsione dell’arrivo delle truppe alleate, il comandante partigiano Carlo Nicoli ebbe l’incarico di liberare Tossignano e aprire la strada ai soldati statunitensi, i quali, una volta sfondata la linea Gotica, avrebbero dovuto scendere verso Imola lungo la statale Montanara.

Il borgo di Tossignano viene liberato dai partigiani il 13 settembre e tenuto per dieci giorni, nonostante i ripetuti contrattacchi portati dai tedeschi, ma poi deve essere abbandonato perché gli alleati procedevano lentamente e perché il 18 settembre il comando regionale aveva ordinato alla 36ª brigata di applicare il piano studiato in previsione di quella che si riteneva l’ormai imminente insurrezione popolare.

La brigata venne pertanto divisa in quattro battaglioni, ognuno dei quali avrebbero dovuto dirigersi verso una città da liberare. Nicoli ebbe il comando del battaglione che avrebbe dovuto partecipare alla liberazione di Imola. Ma poiché l’avanzata alleata continuava a procedere con estrema lentezza, decise di favorirne l’avanzata occupando monte Battaglia, l’ultima difesa naturale tra Casola Valsenio e Castel del Rio che le truppe statunitensi avrebbero dovuto superare prima di Imola.

Così il 3° battaglione della 36ª, composto da poco meno di 300 partigiani, in gran parte imolesi, guidati dal comandante Carlo Nicoli e dal commissario Guido Gualandi, la notte del 22 settembre si trasferì nel triangolo orografico costituito dai monti Battaglia, Carnevale e Cappello.

Ma anche l’attenzione dei tedeschi si era concentrata su monte Battaglia che, per l’altitudine, per la sua conformazione e per la presenza dei resti della rocca con mura spesse anche un metro, costituiva l’ultimo baluardo per fermare l’avanzata dell’esercito alleato verso Bologna. Su quelle montagne si sarebbe quindi giocato l’esito dell’offensiva alleata d’autunno e della campagna d’Italia!

La battaglia ebbe inizio il 26 settembre. Quel giorno due battaglioni germanici da nord e una colonna di 150 armati che ripiegava incalzata dalle truppe alleate conversero su monte Carnevale, entrando in contatto con le forze partigiane che lo presidiavano. Le compagnie di Fausto, di Simì e di Amilcare, attestate su posizioni favorevoli, sorpresero il nemico che avanzava allo scoperto, infliggendo gravi perdite e costringendolo al ripiegamento.

A sera inoltrata i tedeschi lanciarono un nuovo assalto. Il combattimento si protrasse lungamente nell’oscurità. Pur vittoriosi, i partigiani furono però costretti ad abbandonare la quota perché bersagliati dal violento fuoco di artiglieria scatenato dagli alleati, che non si erano accorti anche della loro presenza.

Posizioni sul monte Carnevale che i partigiani però riconquistarono la mattina del giorno dopo, 27 settembre, costringendo il nemico nuovamente alla ritirata. Intanto sull’altro versante stavano avanzando gli uomini del 350° reggimento della 88ª divisione Blue Devils, una delle migliori unità statunitensi. Il congiungimento avvenne nel pomeriggio, su un prato tra quota 578 e la cima di monte Carnevale.

L’incontro fu all’insegna del cameratismo, con strette di mano e pacche sulle spalle. Grazie al supporto che la 36ª Garibaldi Bianconcini aveva fornito all’avanzata degli alleati nel tratto di fronte compreso tra Senio e Santerno era stato così aperto un varco verso la pianura Padana, mentre i fanti americani proprio quel giorno entravano a Castel del Rio, primo comune della provincia di Bologna ad essere liberato dagli alleati.

I monti Battaglia, Carnevale e Cappello erano parte integrante della linea Gotica. Il generale Kesselring, allarmato per la perdita di un’area di così grande importanza strategica, e per il conseguente rischio di vedere le proprie armate accerchiate, chiese nuovamente a Berlino di poter arretrare la propria linea difensiva. Ma il fuhrer, che non voleva privare la Germania delle preziose risorse agricole ed industriali del nord Italia, diede ordine di resistere a tutti costi. Cosicché al feldmaresciallo non rimase altro da fare che tentare la difesa ad oltranza nella vallata del Santerno, facendovi confluire reparti di ben cinque divisioni della Wehrmacht.

Nel frattempo il comandante Nicoli, consapevole della necessità di mantenere il controllo della strategica area montana, aveva ordinato alle compagnie attestate sul monte Carnevale di concentrarsi su monte Battaglia, malgrado gli uomini fossero esausti, senza abiti pesanti e a corto di cibo e munizioni. Appena presa posizione sulla cima del monte, tra i resti dell’antica fortezza medievale, i partigiani vennero investiti da un massiccio attacco dei tedeschi, favorito dalla presenza di una fitta nebbia, ma anche stavolta il nemico venne costretto a ripiegare confusamente tra i boschi e i castagneti che coprivano il fianco di nord-est del monte.

Il combattimento era appena terminato quando giunsero di rinforzo i primi fanti statunitensi. Mezz’ora dopo, sotto una pioggia torrenziale, i tedeschi scatenarono un secondo massiccio attacco. I ruoli ormai si erano invertiti: gli americani, da attaccanti, ora si ritrovavano costretti in posizione difensiva. Ma fanti statunitensi e partigiani, combattendo fianco a fianco, riuscirono a mantenere il possesso delle posizioni, malgrado la forte pressione subita.

La notte tra il 27 e il 28 trascorse tranquilla, benché la fame e il freddo non favorissero il riposo. Il 28 settembre fu una delle più cruente giornate di guerra che furono combattute su quelle montagne. Preceduta da un intenso cannoneggiamento, le posizioni difese dai fanti statunitensi e dai partigiani vennero infatti investite da un’offensiva in grande stile lanciata su tre direttrici. Ma i tedeschi, nonostante i rinforzi richiamati dal fronte adriatico, furono respinti per tutto il giorno, subendo ingenti perdite.

All’imbrunire una compagnia di fanti statunitensi, guidata da due partigiani, si palesò sul crinale. Erano i rinforzi. Finalmente, dopo tre giorni di continui combattimenti, sotto la pioggia e nel fango, avvolti in coperte umide e lacere, gli uomini di Nicoli poterono ritirarsi nelle retrovie.

I partigiani raggiunsero la chiesa di Valmaggiore per trascorrervi la notte. Il giorno dopo scesero nell’abitato di Valsalva per rifocillarsi. Da qui verranno trasportati a Coniale, dove la polizia militare (con loro disappunto e malgrado le rimostranze) tolse loro quelle armi che erano costate così tanti sacrifici, per poi avviarli al centro di raccolta di Firenze. Finiva qui la lotta dei partigiani della 36ª in difesa dei monti Battaglia, Carnevale e Cappello, costata undici caduti e parecchi feriti. Sul loro eroismo, però, calò la censura e vennero ignorati dai bollettini militari alleati.

Ma la carneficina non era ancora finita. Nei giorni successivi i combattimenti continuarono, con massicci bombardamenti, furiosi corpo a corpo ed anche l’uso di lanciafiamme. Le posizioni vennero perse e riconquistate più volte.

Nella notte tra il 4 e il 5 ottobre l’esercito statunitense lasciò il posto alle guardie gallesi e scozzesi che, fino all’11 ottobre, dovranno fronteggiare gli ultimi assalti tedeschi. Quando, a novembre, i tedeschi posizioneranno la loro linea difensiva lungo la vena dei Gessi, circa otto chilometri più a nord, a ridosso di Tossignano, a metà della valle del Santerno, su monte Battaglia calerà finalmente il silenzio.

Ma il sacrificio di così tante vite umane (oltre 4 mila fra morti e feriti delle due parti) non portò effetti immediati: malgrado la conquista di monte Battaglia avesse aperto la strada verso la pianura Padana, e quindi per la liberazione del nord dell’Italia, l’avanzata degli anglo-statunitensi si arrestò. Dopo lo sbarco in Normandia, infatti, un’avanzata troppo rapida verso le Alpi non rientrava più nei piani degli alleati, in quanto era diventato fondamentale tenere impegnate in Italia quante più divisioni germaniche possibili.

Le operazioni vennero così arrestate in attesa della ripresa bellica primaverile ed il generale inglese Harold Alexander, comandante in capo delle forze alleate nel Mediterraneo, con un comunicato letto via radio il 13 novembre invitò i partigiani a sospendere le azioni e a rimanere in difesa durante l’inverno. Gli alleati sferreranno l’offensiva finale soltanto il 9 aprile 1945, costringendo le forze tedesche in Italia prima a ritirarsi verso i valichi alpini, poi alla resa il successivo 2 maggio.

Su monte battaglia i partigiani della 36ª avevano scritto una delle loro pagine più belle, ma avevano fallito l’obiettivo principale della loro lotta: essere artefici della liberazione della città di Imola. Per poter continuare a combattere Carlo Nicoli e altri componenti della brigata Garibaldi Bianconcini si arruolarono poi come volontari nel rinnovato esercito italiano, inserito con due divisioni nelle armate alleate.

Per i meriti e per le capacità dimostrate sul campo, Nicoli fu insignito di medaglia d’argento al valor militare con la seguente motivazione: «Distintosi organizzatore e bravo comandante nella guerra partigiana, quando le truppe liberatrici stavano avviandosi alla linea gotica, occupava di iniziativa e teneva più giorni, ributtando ripetuti attacchi nemici, le importanti posizioni di Tossignano e di Borgo Tossignano. Costretto a sgombrare occupava la posizione montana di monte Battaglia che riusciva a mantenere sino a passarla in consegna alle truppe amiche avanzanti. In ripetute circostanze forniva sicure prove di decisione, di iniziativa, di capacità di comando e di personale valore».

NELLE FOTO: MONTE BATTAGLIA,
CON LA SUA CARATTERISTICA ROCCA,
PRIMA CHE VENISSE PRESSOCHÉ DISTRUTTA
DAI COMBATTIMENTI TRA WEHRMACHT
ED ESERCITO ALLEATO