Tra le tombe – anzi l’ultima, prima dell’uscita – su cui si è soffermata l’attenzione durante le visite guidate al cimitero monumentale del Piratello, organizzate dall’Anpi di Imola, vi è quella della famiglia Minguzzi (purtroppo ora mancante della bella scultura che l’ornava), ove dal 2004 si trovano le spoglie di Luciano Minguzzi, il più importante scultore bolognese del Novecento.
Luciano Minguzzi era nato il 24 maggio 1911 a Bologna, da Armando, proveniente da una famiglia benestante di mugnai, e da Violante Fiorini, figlia di lavandai. Il padre si era trasferito a Bologna per seguire la sua passione artistica e aveva frequentato i corsi d’intaglio presso la scuola d’arte e i corsi regolari di scultura presso l’Accademia di belle arti. Sue le due opere monumentali per i caduti in guerra che si trovano a Castello d’Argile e nella frazione borghigiana di Tossignano, considerate dal figlio, «nelle sculture di quel genere, fra le più significative di tutta la regione».
Luciano compì i primi passi artistici sotto la sapiente guida del padre, continuando poi gli studi presso l’Accademia di belle arti di Bologna, seguendo i corsi di incisione tenuti da Giorgio Morandi, quelli di scultura sotto la guida di Ercole Drei, frequentando all’università le lezioni di Roberto Longhi. Grazie ad una borsa di studio, soggiornò a Parigi e a Londra, iniziando ad esporre nel 1933.
La sua carriera artistica, intensa e fin da subito costellata di prestigiosi premi e riconoscimenti nazionali e internazionali, terminerà solo con la sua morte, avvenuta a Milano il 30 maggio 2004. Le sue opere sono conservate nelle collezioni private e nei musei di tutto il mondo.
Nel 1940 lo scoppio della guerra e la morte del padre lo segnarono profondamente. Durante il secondo conflitto mondiale, nel suo studio di palazzo Bentivoglio a Bologna si svolsero incontri clandestini fra intellettuali e dirigenti del Pci, afferenti alle attività del gruppo intellettuale «Antonio Labriola».
Durante la lotta di liberazione fu incaricato dal Comando unico militare Emilia Romagna (Cumer) di raccogliere informazioni sulla dislocazione e gli spostamenti dei comandi e dei reparti militari tedeschi. Attività che gli ha valso lo status di partigiano dall’1 luglio 1944 alla Liberazione.
Nell’immediato dopoguerra l’Anpi di Bologna lo incaricò di forgiare le statue «Il Partigiano e la Partigiana». Queste sculture costituiscono un episodio di assoluto rilievo nella ricostruzione della memoria della Resistenza, sia per il tema dell’opera, sia per l’importanza dell’autore, sia perché realizzate col bronzo fuso della statua equestre di Benito Mussolini, che il modenese Giuseppe Graziosi aveva realizzato utilizzando a sua volta il metallo di alcuni cannoni che i bolognesi avevano sottratto agli austriaci durante i moti risorgimentali del 1848. Statua del «Duce a cavallo» posta sul piedistallo antistante la Torre di Maratona del Littoriale (l’attuale stadio comunale di Bologna) e che era stata abbattuta dalla folla festante il 26 luglio 1943, giorno successivo alla caduta del fascismo e all’arresto del dittatore.
«Il Partigiano e la Partigiana» inizialmente collocati nel 1947 accanto alla palazzina della direttissima, alla Montagnola, allora sede dell’Anpi, dal 7 novembre 1986 si trovano nella piazza posta accanto al cassero di porta Lame, zona della città dove i partigiani nel novembre 1944 avevano combattuto un’epica battaglia contro gli occupanti nazifascisti.
NELLE FOTO: LE STATUE «IL PARTIGIANO E LA PARTIGIANA» COLLOCATE VICINO A PORTA LAME, A BOLOGNA, E LA TOMBA DELLA FAMIGLIA MINGUZZI AL CIMITERO DEL PIRATELLO, A IMOLA