Nella primavera del 1944 il movimento antifascista e partigiano del bolognese e dell’imolese organizzò una serie di scioperi nelle fabbriche contro i tentativi di trasferimento di manodopera e macchinari in Germania. A questi scioperi in diversi centri della provincia si affiancarono manifestazioni di piazza «contro la fame e la guerra», di cui furono protagoniste le donne.
A Imola lo sciopero delle maestranze della Cogne e delle altre fabbriche era previsto per l’1 maggio 1944. La mattina del 29 aprile, giorno di mercato, donne di Imola e provenienti dalle frazioni di San Prospero, Pontesanto, Sasso Morelli, Sesto Imolese e Osteriola confluirono nella piazza principale (oggi piazza Matteotti) e si riunirono davanti il municipio per reclamare dalle autorità comunali la distribuzione di generi razionati. In un primo momento carabinieri e poliziotti cercarono di disperdere la folla con getti d’acqua diretti prima verso gli uomini che si trovavano sotto il portico, per paura che intervenissero in aiuto delle donne, e poi sulle donne stesse.
Ma fu l’intervento dei militi repubblichini a far precipitare la situazione. Questi, per impedirne l’accesso al palazzo, non esitarono ad aprire il fuoco contro le manifestanti. Due donne, colpite dai proiettili, si abbatterono sul selciato: Maria Zanotti, detta Rosa, vedova e madre di sei figli, che spirò mentre la stavano portando all’ospedale su un carretto trainato a mano; e Livia Venturini, ferita gravemente alla colonna vertebrale.
Appena si diffuse la notizia di quanto accaduto in piazza gli operai delle fabbriche imolesi entrarono in sciopero. L’agitazione si protrasse fino all’1 maggio, quando lo sciopero vide la partecipazione oltre che dei lavoratori delle fabbriche anche dei lavoratori delle campagne, nonostante le minacce e le misure repressive messe in atto da tedeschi e fascisti.
Livia Venturini morirà dopo una penosa agonia a Bubano, nella casa di una sorella che l’aveva ospitata con la piccola figlia Vanda. Era il 13 giugno 1944. Aveva trentun anni. Al funerale, che si tenne in forma civile, partecipò una gran folla, con tanti fiori, bianchi e rossi (malgrado fossero stati vietati dalle autorità fasciste).
Nascosto tra la gente c’era anche Livio Poletti, il marito di Livia, che quattro mesi dopo cadrà colpito a morte nella battaglia di Ca’ di Malanca combattendo contro i tedeschi coi partigiani della 36ª brigata Garibaldi. Le loro salme riposano, l’una accanto all’altra, nel cimitero del Piratello, nel Sacrario dei Caduti della Resistenza. Nella centralissima via Emilia, al numero 284, sulla casa dove Livia e Livio avevano abitato, una piccola lapide li ricorda (NELLA FOTO).