Nell’ambito delle iniziative per ricordare la Resistenza e la Liberazione dell’Italia dall’oppressione del regime fascista e dall’occupazione militare nazista, nella mattinata di lunedì 29 aprile si è svolta la cerimonia in ricordo di Livia Venturini e Maria Zanotti, le due partigiane che vennero uccise dai militi repubblichini il 29 aprile 1944 mentre, assieme ad altre donne, manifestavano nella piazza grande di Imola (oggi piazza Matteotti) per rivendicare «pane e pace».
L’assessora Elisa Spada, ricordando le lotte di ieri e di oggi delle donne, ha riproposto uno stralcio del discorso che la partigiana Teresa Mattei (nome di battaglia «Chicchi»), la più giovane eletta nell’Assemblea costituente (aveva solo 26 anni), pronunciò il 18 marzo del 1947. Stralcio che riproponiamo qui di seguito:
«Vorrei solo sottolineare in questa Assemblea – disse allora Teresa Mattei – qualcosa di nuovo che sta accadendo nel nostro Paese. Non a caso, fra le più solenni dichiarazioni che rientrano nei 7 articoli di queste disposizioni generali, accanto alla formula che delinea il volto nuovo, fatto di democrazia, di lavoro, di progresso sociale della nostra Repubblica, accanto alla solenne affermazione della nostra volontà di pace e di collaborazione internazionale, accanto alla riaffermata dignità della persona umana, trova posto, nell’articolo 7, la non meno solenne e necessaria affermazione della completa eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di condizioni sociali, di opinioni religiose e politiche.
Questo basterebbe, onorevoli colleghi, a dare un preminente carattere antifascista a tutta la nostra Costituzione, perché proprio in queste fondamentali cose il fascismo ha tradito l’Italia, togliendo all’Italia il suo carattere di Paese del lavoro e dei lavoratori, togliendo ai lavoratori le loro libertà, conducendo una politica di guerra, una politica di odio verso gli altri Paesi, facendo una politica che sopprimeva ogni possibilità della persona umana di veder rispettate le proprie libertà, la propria dignità, facendo in modo di togliere la possibilità alle categorie più oppresse, più diseredate del nostro Paese, di affacciarsi alla vita sociale, alla vita nazionale, e togliendo quindi anche alle donne italiane la possibilità di contribuire fattivamente alla costituzione di una società migliore, di una società che si avanzasse sulla strada del progresso, sulla strada della giustizia sociale.
Noi salutiamo quindi con speranza e con fiducia la figura di donna che nasce dalla solenne affermazione costituzionale. (…) È purtroppo ancora radicata nella mentalità corrente una sottovalutazione della donna, fatta un po’ di disprezzo e un po’ di compatimento, che ha ostacolato fin qui grandemente e ha addirittura vietato l’apporto pieno delle energie e delle capacità femminili in numerosi campi della vita nazionale. (…) Per questo noi chiediamo che nessuna ambiguità sussista, in nessun articolo e in nessun parola della Carta costituzionale, che sia facile appiglio e chi volesse ancora impedire e frenare alle donne questo cammino liberatore. (…) Per questa ragione io torno a proporre che sia migliorata la forma del secondo comma dell’articolo 7 nel seguente modo: “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli d’ordine economico e sociale che limitano “di fatto” – noi vogliamo che sia aggiunto – la libertà e l’eguaglianza degli individui e impediscono il completo sviluppo della persona umana».
E l’Assemblea accolse la sollecitazione ad inserire quel «di fatto» come sicurezza che l’impegno dell’intero popolo italiano fosse profuso nell’eliminazione degli ostacoli che potessero rendere impossibile il godimento delle libertà, e che fu inserito soprattutto per evitare che le donne dovessero essere costrette a vivere in uno stato di inferiorità.
Articolo 7 che quindi così recita nella sua forma compiuta:
«Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipa- zione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».
NELLA FOTO: La targa affissa del centro cittadino di Imola che ricorda le 21 donne elette nell’Assemblea costituente che poi promulgò la Costituzione della Repubblica italiana.
Come membro del Comitato direttivo dell’Unione donne italiane, incaricata specificamente di curare i rapporti fra l’Unione ed il Partito comunista, Teresa Mattei partecipò alla decisione di introdurre anche in Italia, sul modello francese, l’8 marzo quale festa delle donne. E fu sua l’idea di utilizzare la mimosa, un fiore povero delle campagne, come simbolo della festa. All’interno dell’Udi si impegnò soprattutto nella campagna per l’estensione alle donne del diritto di votare ed essere elette.
Per effetto delle nuove norme Teresa Mattei poté quindi essere candidata nel collegio di Firenze e Pistoia, nelle liste del Partito comunista, ed entrò a far parte dell’Assemblea costituente, insieme ad altre venti donne, risultando, a soli venticinque anni, la più giovane componente di quel prestigioso consesso.