Con una sobria cerimonia, lo scorso venerdì 3 maggio l’Amministrazione comunale di Imola, rappresentata dal vicesindaco Fabrizio Castellari, e l’Anpi di Imola, rappresentata da Fulvio Andalò, componente del Comitato direttivo, hanno ricordato gli sminatori civili che nel dopoguerra hanno perso la vita nell’opera di bonifica del territorio.
I combattimenti della seconda guerra mondiale – hanno ricordato Andalò, e Castellari – avevano lasciato sul territorio italiano un’enorme quantità di residuati bellici composti da materiali di vario genere, soprattutto munizioni, proiettili, bombe inesplose e una grande quantità di mine, posate su ampie superfici per ostacolare e rallentare così i movimenti delle truppe nemiche.
Compreso il territorio imolese, immediata retrovia della linea Gotica, l’ultima linea difensiva dell’esercito tedesco prima della pianura Padana. Linea difensiva fortificata che si estendeva dal versante tirrenico dell’attuale provincia di Massa-Carrara fino al versante adriatico della provincia di Pesaro e Urbino, seguendo un fronte di oltre 300 chilometri che si snodava lungo i rilievi appenninici.
Il fronte rimase pressoché fermo dalla fine di dicembre 1944 fino all’aprile 1945, quando gli alleati sferrarono l’offensiva di primavera che avrebbe portato alla fine dell’occupazione nazifascista dell’Italia. Grazie alla stasi invernale, i tedeschi avevano però avuto modo di dedicarsi alla repressione del movimento partigiano e al contempo di predisporre un sistema che rallentasse il più possibile l’avanzata del nemico, sistema di cui i campi minati ne erano parte fondamentale.
Già dallo sfondamento della linea Gotica, a guerra non ancora finita, si pose quindi il problema di bonificare subito i territori liberati eliminando i residuati bellici che potevano costituire un pericolo per la popolazione. Dalla formazione del primo nucleo, organizzato spontaneamente all’indomani della Liberazione, fino all’agosto del 1948, intensa fu quindi l’opera degli sminatori civili imolesi, che instancabilmente prodigarono la loro opera per restituire terreni, strade, case, ponti, acquedotti e quant’altro all’uso sociale, rischiando ad ogni istante la loro vita.
Nel libro «Storia di uno sminatore imolese», così Mario Zanella descriveva come si presentava Imola nei primi giorni di maggio del 1945, dopo la cacciata dei nazifascisti: «C’erano distruzioni ovunque. Poche cose funzionavano. Inoltre la città era circondata da campi di mine, che erano state piazzate un po’ ovunque, persino nel prato della rocca. A levante c’erano mine in tutta la fascia lungo il fiume Santerno. Erano minati tutta la zona dove ora passa l’autodromo nel tratto che costeggia il fiume, il parco delle Acque Minerali, sia al suo interno che all’esterno, e anche sul monte Castellaccio».
«All’altezza della Tosa – continuava nel suo racconto Zanella – il terreno minato si estendeva anche dall’altra parte del fiume, verso ovest, comprendendo la Ca’ Rossa e il podere La Vandina, dove erano state messe anche mine antiuomo. Successivamente, in quest’ultimo luogo morirà il nostro compagno Marino Facchini a causa di una mina. E già in precedenza, il 18 agosto 1945, aveva perso la vita Giulio Scanabissi dentro al parco delle Acque Minerali, nella zona del bar della discoteca. Quella parte del parco erano stata devastata dai bombardamenti alleati ed era piena di mine posate dai tedeschi per impedire l’accesso delle truppe alleate. A monte della strada Montanara, partendo dal piccolo corso d’acqua che scorre poco oltre il ristorante “Il Fagiano”, un’altra striscia di terreno minato si estendeva poi fino al punto dove oggi si trova via Pio La Torre».
Questi uomini, che volontariamente avevano dichiarato «guerra alla guerra», nei 36 mesi di lavoro pagarono un alto tributo di sangue: i feriti furono 6 e ben 11 coloro che persero la vita. Una lapide, posta sulla facciata del palazzo municipale prospiciente piazza Matteotti, ne ricorda i nomi. Eccoli: Gildo Scanabissi, Marino Facchini, Primo Masi, Angelo Monti, Niso Gessi, Antonio Cordaro, Celestino Campomori, Giovanni Catalani, Graziano Rebbeggiani, Mario Serattini, Amleto Baldisserri.
Ed anche nella Pedagna Est, quartiere sorto in una delle aree che nel dopoguerra furono rese nuovamente agibili dagli sminatori, una via («degli Sminatori») e un monumento («Lo Sminatore») al civico 42, dove si è svolta la cerimonia commemorativa, ne perpetuano la memoria.
La statua, opera del professor Armando Salvatore Alaia, riproduce un uomo a figura intera, in piedi, che impugna un metal detector per la ricerca delle mine, strumenti di guerra queste ultime tra i più infidi e letali. La cui pericolosità è indicata dallo scoppio della mina stessa individuata dallo sminatore. E una targa ivi apposta dal Comune di Imola spiega che si tratta di un «Dono della Coop. Ricostruzione in memoria dei Caduti nella Bonifica dei campi minati 1944-1948».
«L’attività eroica di questi concittadini – ha concluso Castellari – è da ricordare tra le pagine di storia da far rivivere e tramandare alle nuove generazioni, tra gli episodi legati alla Resistenza e alla Liberazione». E al termine della cerimonia ha avuto luogo la posa di corone di alloro ed è stato intonato «il Silenzio».