L'assedio di Ca' di Guzzo

L’assedio di Ca’ di Guzzo

Il 19 settembre 1944 la 5ª armata americana era riuscita a conquistare il passo del Giogo, sull’Appennino tosco-romagnolo. A completamento dello sfondamento della linea Gotica da parte degli eserciti alleati, il successivo 22 settembre i fanti statunitensi avevano conquistato anche il munitissimo passo della Futa e il giorno dopo la 1ª divisione britannica aveva occupato il passo della Colla di Casaglia. I reparti tedeschi allora avevano iniziato un lento ripiegamento verso una nuova linea di difesa da approntare tra monte Canda e monte Oggioli, per sbarrare il passo della Raticosa e la valle del Sillaro. Ritirata – come ammisero gli stessi tedeschi nei loro rapporti – attuata sotto la costante minaccia delle numerose formazioni partigiane che operavano tra Lizzano in Belvedere e l’alto imolese.

Dal 18 settembre sulle pendici meridionali del monte La Fine si era acquartierato il 1° battaglione della 36ª brigata Garibaldi “Bianconcini”, comandato da Edmondo Golinelli (“Libero”), che secondo le direttive del comando regionale avrebbe dovuto concorrere alla liberazione di Castel San Pietro e poi marciare su Bologna appena preso contatto con le altre formazioni patriottiche che agivano nel territorio. Mentre la 62ª brigata Garibaldi “Camicie Rosse” si era accantonata nella vicina zona dei Casoni di Romagna (con il comando alla Casa dei Gatti), per coprire il territorio di Sassoleone e della valle del Sillaro.

Una compagnia della 36ª, comandata da Umberto Gaudenzi (subentrato a Guerrino De Giovanni, proprio in quei giorni nominato comandante del quarto battaglione) e composta da una cinquantina di uomini, dopo una lunga marcia di trasferimento aveva trovato rifugio a Ca’ di Guzzo, un casolare isolato (oggi ridotto ad un rudere, ma allora abitato) che si trova sul crinale che separa le valli del rio di Zafferino e del rio del Valletto, due affluenti di sinistra del Sillaro, quasi all’altezza dell’abitato di Belvedere, frazione di Castel del Rio. Vale a dire proprio sulla linea ideale di difesa tedesca per arginare un possibile sfondamento da parte delle truppe alleate nella valle del Sillaro in direzione di Castel San Pietro e della via Emilia.

La sera del 27 settembre, mentre la zona era avvolta da una fitta nebbia e minacciava pioggia, un nutrito reparto di paracadutisti tedeschi e uno di SS provenienti da Sassoleone (dove pochi giorni prima, il 24 settembre, i nazisti avevano trucidato per rappresaglia 23 persone, compreso il parroco don Settimio Pattuelli) si avvicinarono alla casa e, anziché aggirarla e proseguire la ritirata, la accerchiarono, venendo subito attaccati dalle vedette appostate attorno al fabbricato. Visto l’alto numero di attaccanti, la situazione si presentò subito disperata: la compagnia ormai era assediata. Ma i partigiani decisero di resistere per non lasciare scoperto il fianco della 62ª brigata Garibaldi e, approfittando della nebbia, inviarono alcune staffette a chiedere aiuto.

La battaglia iniziò poco dopo la mezzanotte e durò tutta la notte, con scontri ravvicinati. I tedeschi sferrarono quattro attacchi, sostenuti da un intenso fuoco di mortaio e di mitraglia pesante, tutti respinti con pesanti perdite per gli assalitori; sparando razzi incendiari tentarono di dare fuoco alla casa, ma il pesante nebbione tramutatosi in pioggia neutralizzò i loro propositi.

Dopo ore ed ore di combattimento, la situazione all’interno del fabbricato era ormai divenuta insostenibile: il tetto era in parte crollato e i muri erano pieni di buchi, dappertutto scoppi, urla, gemiti, crolli, puzzo di esplosivo bruciato. Un tentativo di rompere l’accerchiamento dall’esterno, portato da un pugno di uomini della 62ª (anch’essa sotto attacco), non sortì l’effetto sperato a causa della confusione e del fuoco intenso dei tedeschi. Stremati e ormai a corto di munizioni, all’alba del 28 settembre i partigiani assediati decisero di tentare una sortita in due tempi. Alle prime luci un primo gruppo uscì dal casolare sparando all’impazzata e lanciando bombe a mano, seguito subito dopo da un secondo gruppo. Lo sganciamento si svolse con estrema difficoltà. Gli uomini si precipitarono giù per la china verso il rio di Valletto, costantemente bersagliati dalle mitragliatrici. Quando, al di là del corso d’acqua, rimontando l’altro versante verso Ca’ dei Gatti, si contarono, erano appena una quindicina.

Gli altri erano rimasti tra le rovine di Ca’ Guzzo o giacevano sul pendio del Valletto. I nazisti entrarono nel casolare e assassinarono uno dopo l’altro i partigiani feriti con un colpo di pistola alla nuca. Poi spinsero gli altri prigionieri nel letamaio e li mitragliarono assieme ad alcuni civili che non avevano potuto abbandonare la casa e si erano nascosti nell’ovile (vennero risparmiati solo donne, bambini e anziani). Altri partigiani agonizzanti vennero uccisi nei dintorni.

Gli americani della 5ª armata arrivarono sul luogo della battaglia il 30 settembre e contarono sul terreno i corpi di 140 tedeschi e di 32 partigiani. Lo stesso giorno la radio dell’8ª armata britannica dette la seguente notizia: «I partigiani di una brigata garibaldina hanno combattuto una eroica battaglia contro truppe tedesche in ritirata, resistendo due giorni a Ca’ di Guzzo trasformata in fortino. Il nemico ha lasciato sul terreno 140 morti».

L’alpino Giovanni Battista Palmieri (Gianni), studente bolognese di medicina, rimasto nel casolare per curare i compagni feriti, venne catturato. I tedeschi lo portarono con loro perché curasse i loro feriti e due giorni dopo, finita l’opera di assistenza, lo uccisero. Il suo cadavere verrà ritrovato in località Le Piane. Sepolto nel cimitero di Piancaldoli, per onorarne la memoria gli sarà intitolato un plotone di ex partigiani delle brigate 36ª e 62ª che, dopo il passaggio del fronte, si arruolarono nel gruppo di combattimento Legnano e che entrerà a Bologna con gli alleati il 21 aprile 1945. La salma, riesumata nell’ottobre 1945, venne portata ad Imola dove il giorno 20 si svolsero i funerali e le solenni onoranze, concluse con la tumulazione nel cimitero della Certosa a Bologna. Nel dopoguerra gli verrà concessa la medaglia d’oro al valor militare alla memoria quale “fulgido esempio di spirito del dovere e di eroica generosità” e l’università di Bologna gli conferirà la laurea honoris causa in Medicina. Bologna gli ha intitolato una strada, mentre in località Croda da Lago di Cortina d’Ampezzo gli è stato intestato un rifugio alpino del Cai.

Un monumento eretto in memoria dei partigiani caduti nel sanguinoso scontro di Ca’ di Guzzo si trova sulla provinciale che da Sassoleone porta a Giugnola (Sp 21 valle del Sillaro) in prossimità di Belvedere, in un punto panoramico dal quale, con un’ampia veduta, si scorge la valle del Sillaro con la cresta dove si trova il casolare diroccato. Una stele nelle vicinanze della località Le Piane, invece, ricorda il sacrificio di Gianni Palmieri. Ogni anno, nei giorni della ricorrenza si tiene una cerimonia organizzata dall’Anpi.