Nasce il fascismo
Nel dopoguerra 1915/’18, il popolo, dopo il tanto sangue versato nelle trincee, esige dalle classi dominanti il rispetto delle promesse e il riconoscimento dei propri diritti ad un vivere civile. Si organizzano leghe, cooperative, case del popolo e numerosi comuni vengono conquistati dalle sinistre. Il grande capitale, per opporsi all’avanzata popolare e frenare rivendicazioni e scioperi, organizza squadre armate.
Nascono i “fasci di combattimento” finanziati dagli industriali più reazionari e dagli agrari padani.
La violenza fascista dilaga contro sedi, organizzazioni operaie e con la più spietata caccia all’uomo.
Il fascismo si impone
Il movimento imolese di resistenza antifascista affonda le radici nelle idee progressiste di repubblicani e liberali, nelle lotte libertarie anarchiche, nell’incisiva azione emancipatrice di Andrea Costa e dei socialisti. La resistenza antifascista è tenace, ma le divisioni e il settarismo indeboliscono la lotta.
Nell’ottobre 1922, dopo aver provocato il caos nel Paese, i fascisti organizzano la “marcia su Roma”. Il re, invece di fermarli, chiama Mussolini a formare il governo.
Il fascismo processa, condanna, confina, costringe all’esilio gli oppositori ed elimina tutte le libertà politiche e sindacali. Molti esponenti antifascisti sono uccisi o muoiono in carcere.
Violenza, guerra e lutti
Negli anni ’30 l’Italia è caserma e carcere. Mussolini invia gli italiani a combattere in Cirenaica, Etiopia, Spagna e Albania. Dopo la conquista dell’Abissinia si fonda il sedicente impero di Roma.
Arresti e condanne si susseguono nell’Imolese. L’opposizione in Italia è limitata, ma tenace.
Nel ’40 Mussolini conduce l’Italia, impreparata, in guerra contro Francia e Inghilterra, fidando in una facile e rapida vittoria. Non sarà così: dopo iniziali successi, arrivano su tutti i fronti disastrose sconfitte.
Antifascismo a Imola
Il movimento imolese di resistenza antifascista è attivo già al sorgere del fascismo alla cui violenza fermamente si oppone. Sono 33 gli imolesi volontari in Spagna nel fronte antifranchista. I militanti antifascisti durante la dittatura mussoliniana pagano con persecuzioni, esilio, confino, carcere, morte.
Le persecuzioni agli imolesi |
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Uccisi dalla reazione regio fascista | 24 | |
Carcere inflitto dal tribunale speciale | 475 | anni |
Domicilio coatto (confino) | 484 | anni |
Condannati dal tribunale speciale | 84 | |
Confinati | 110 | |
Esiliati | 55 | |
Morti in carcere o confino | 3 | |
Morti in esilio | 3 | |
Caduti in Spagna | 5 |
Dopo il 25 luglio 1943 e la caduta di Mussolini, grandi manifestazioni popolari risvegliano il Paese che spera in una vicina pace, ma le speranze presto svaniscono di fronte all’incerto comportamento del nuovo governo.
Dopo l’8 settembre, l’occupazione tedesca e la costituzione della Repubblica Sociale di Salò fanno sì che solo con le armi e l’azione ci si possa opporre agli oppressori.
La Resistenza a Imola
I GAP
A Imola come in altre località italiane, i patrioti costituiscono la guardia nazionale per recuperare armi, assistere i militari fuggiaschi e organizzare squadre armate. Nasce il CLN (Comitato di Liberazione Nazionale).
I GAP (Gruppi di azione patriottica) attaccano fascisti e caserme, disarmando repubblichini e tedeschi, che a loro volta inaspriscono coprifuoco e vigilanza.
Primi tentativi di costituire bande in montagna (Brasimone e Faggiola) non riescono per l’inclemenza del tempo e la difficoltà nei collegamenti. Nel febbraio del 1944 a Cortecchio sul Monte Faggiola, la milizia fascista circonda ed attaccala base partigiana a “l’albergo”, un casolare isolato. Cadono due giovanissimi partigiani, non prima di aver ucciso il comandante della GNR imolese.
Dopo alcuni giorni partigiani dello stesso gruppo, insieme con altri, si trasferiscono sul Falterona, dove operano le Brigate romagnole.
Nei primi mesi del 1944 si estende l’azione dei GAP in città e in pianura e si consolidano le prime esperienze dei gruppi imolesi sull’Appennino tosco romagnolo.
I fascisti applicano la regola della rappresaglia nazista del “dieci per uno”.
La Resistenza a Imola
Le SAP
Le Squadre di difesa diventano SAP (squadre armate patriottiche), a Imola suddivise nei battaglioni di pianura, città e collina e costituiscono il serbatoio di reclutamento della 36.a
In pianura sono costituite dai contadini che lavorano normalmente e combattono al momento opportuno. Quando il governo repubblichino fascista impone la trebbiatura e invia i militi sulle aie, i sapisti sabotano le trebbie.
Il SAP montano che controlla le dirette vie di accesso dell’alto Appennino si organizza come una tipica formazione partigiana permanente di montagna. Per tutta l’estate i sapisti, sostenuti dai contadini si battono per la difesa del raccolto, attaccano le trebbie, disarmano i presidi fascisti.
In città il nerbo delle SAP è costituito da operai, da artigiani e dai ragazzi del Fronte della gioventù. In particolare agiscono in forma organizzata per impedire lo smantellamento delle fabbriche e l’asportazione delle macchine (Cogne in testa).
In tutta la zona si estende una rete capillare di centri di smistamento per la stampa antifascista attivati particolarmente da coraggiose partigiane che sfidano continuamente rastrellamenti e posti di blocco.
La Resistenza a Imola e la 36.a Brigata Garibaldi
La Faggiola – Casetta di Tiara – Monte Battaglia
Dopo il rientro dal Falterona, dall’incontro con altri partigiani imolesi e bolognesi a fine aprile 1944, fra la Faggiola e il Carzolano, viene costituita la IV Brigata Garibaldi “Romagna”.
Il 10 maggio una squadra comandata da “Caio” è sorpresa all’Otro di Casetta di Tiara e dopo strenua difesa è totalmente annientata. Il parroco don Rodolfo Cinelli si prodiga invano per salvare l’unico sopravvissuto ferito. Come don Cinelli furono moltissimi i parroci ed i preti che aiutarono popolazione e partigiani nella lotta antifascista e antinazista.
In luglio la IV Brigata diventa la 36.a “Bianconcini”. Le zone controllate dai partigiani si allargano a macchia d’olio. In agosto la 36.a è forte di 1200 uomini, fra i quali anche numerosi partigiani di altre nazionalità. In settembre la 36.a viene suddivisa in quattro Battaglioni, largamente autonomi nel territorio loro assegnato (Bologna, Imola, Faenza). Il 25 settembre 1944 i partigiani del III Battaglione nella zona di Monte Battaglia e Monte Cappello conquistano e tengono l’importante zona e sollecitano gli americani ad avanzare. Fra il 27 e il 28 si combatte duramente con partigiani e americani fianco a fianco, con grande tributo di sangue, ma la postazione resta in mano alleata.
Ca’ di Guzzo – Purocielo – Ca’ Malanca
Il 23 settembre il I Battaglione collabora all’occupazione alleata di Monte La Fine, Giugnola e Piancaldoli. Il 27 una compagnia avanzata, accantonata a Ca’ di Guzzo nella notte viene circondata dai tedeschi. Nell’accanita battaglia muoiono 25 partigiani, ma le perdite dei tedeschi sono alte: oltre 140 morti. I partigiani riescono a sganciarsi.
Il II Battaglione non riesce a scendere a Faenza ed allora si unisce al IV. Sono circa 700 partigiani nella zona di Purocielo.
I partigiani tentano inutilmente, dal 10 al 13 ottobre, di spezzare il fronte a Ca’ di Malanca per congiungersi agli alleati. I combattimenti investono anche il comando di Ca’ di Gostino. I partigiani contano 54 caduti, fra i quali numerosi comandanti.
A metà febbraio 1945 avviene il riconoscimento ufficiale e il regolare inquadramento del Battaglione “Sirio” (formato nel frattempo dai partigiani imolesi) nella 6.a Divisione Britannica e poi viene aggregata al Gruppo di combattimento Folgore.
La Liberazione di Imola
Superate le diffidenze e le difficoltà iniziali, le componenti del CLN coordinano unitariamente l’azione politica resistenziale, diffondendosi in luoghi di lavoro e villaggi ed intervenendo anche per alleviare le dure condizioni di vita delle popolazioni e nascondendo e assistendo militari alleati ex prigionieri. Si occupano anche di reperire rifugi e basi per i partigiani affluiti in città.
Nasce nel settembre 1944 il Comando di piazza, per approntare i piani e coordinare l’azione delle forze partigiane. Diverrà prezioso nel periodo invernale, fino alla definitiva liberazione. Nell’inverno Imola è stretta nella morsa delle retrovie in tragiche condizioni di esistenza per tutta la popolazione, compresi i numerosi profughi. I nazifascisti intensificano la caccia al partigiano e promettono ricompense con soldi e sale per le spie e i delatori. Sono numerosi gli arresti dei patrioti e le torture nella Rocca si alternano agli assassinii e agli eccidi ed alle deportazioni nel lager nazisti. Una ventina di giovani imolesi periranno in quelle spaventose “città della morte”.
Nell’inverno e ormai di là dal fronte la 36.a Brigata, si unificano in un’unica brigata i tre battaglioni SAP «Città», «Pianura» e «Montano». Vengono compilati e poi via via modificati i piani di occupazione della città e si affrontano i difficilissimi mesi invernali.
Infine, arrivarono i giorni di metà aprile 1945. Già dalla serata del 13 i partigiani imolesi ricevettero l’ordine di stare pronti e poi, il 14 verso mezzogiorno, venne finalmente l’ordine della insurrezione. I partigiani occuparono militarmente all’interno i punti di accesso ed i luoghi strategici della città, mentre i tedeschi e i fascisti fuggivano. Alle ore 17,15 entrarono in piazza Maggiore, presidiata dai partigiani, reparti polacchi, accolti festosamente. Imola era finalmente liberata.