La notte prima della Liberazione di Imola l'eccidio di pozzo Becca

La notte prima della Liberazione di Imola l’eccidio di pozzo Becca

Nell’estate del 1944 le vittorie conseguite dagli angloamericani nell’Italia centro-meridionale facevano pensare che fosse ormai imminente anche la liberazione del resto della penisola. I partigiani passarono pertanto all’offensiva. Ma, nell’autunno, l’avanzata degli alleati perse via via slancio, arrestandosi a pochi chilometri da Bologna, di fronte alla linea Gotica, l’imponente linea difensiva fortificata voluta dal feldmaresciallo Albert Kesselring, comandante supremo di tutte le forze tedesche in Italia, che andava dal fiume Magra, tra Le Spezia e Massa Carrara, fino a Pesaro.

Il partigiano «Sole», l’imolese Elio Gollini, racconta nel suo diario: «I giorni più belli sono stati quelli in cui gli alleati hanno occupato Faenza, spingendosi fino al Senio; ci siamo illusi che presto sarebbero arrivati anche qui, ma poi tutto è tornato calmo. I tedeschi ora hanno fatto di Imola una città di immediata retrovia, protetta da sbarramenti e mine».

La decisione di interrompere lo sforzo bellico per raggiungere Bologna era stata presa il 27 ottobre congiuntamente dai comandanti della V armata statunitense e dell’VIII britannica. Il 13 novembre il generale Harold Alexander, comandante delle truppe alleate nel Mediterraneo, dichiarò conclusa la campagna estiva degli eserciti alleati e invitò quindi i partigiani a ritirarsi su posizioni difensive in attesa della primavera. Il movimento resistenziale, privato di rifornimenti e di ogni tipo di aiuto, si sentì abbandonato e l’inverno 1944-1945 si tramutò nel periodo più difficile fino ad allora affrontato dalle forze partigiane e dalle popolazioni del nord Italia.

In seguito al proclama di Alexander ed ai successivi sviluppi bellici, come lo spostamento di divisioni angloamericane dall’Italia alla Francia e all’Europa occidentale, i nazifascisti compresero che il nemico non avrebbe tentato, almeno per il momento, di oltrepassare la linea Gotica e così utilizzarono il periodo di stasi per intensificare i rastrellamenti, in particolare nelle immediate retrovie del fronte, come avvenne a Villa Fontana di Medicina, Castel Guelfo e ad Imola. I prigionieri venivano poi portati alla rocca sforzesca, allora adibita a carcere, ove venivano sottoposti a brutali interrogatori.

Racconta ancora Gollini: «L’attività dell’organizzazione clandestina è divenuta più che mai difficoltosa. I compagni migliori sono nascosti qua e là ed è molto difficile mantenere il collegamento tramite staffette, in quanto vi è il pericolo che anch’esse siano conosciute e seguite. Dopo il proclama di Alexander dobbiamo stare sulla difensiva, cosa pure non facile, perché tutte le forze nazifasciste sono scatenate alla caccia dei partigiani con il terrore, le blandizie, i compensi economici ai delatori. Ormai è palese che prima della primavera, cioè marzo/aprile, gli alleati in Italia non si muoveranno».

L’offensiva primaverile iniziò al crepuscolo del 9 aprile, preceduta da intensi bombardamenti e cannoneggiamenti. Il 12 aprile il II corpo polacco del generale Wladyslaw Anders attraversò il fiume Santerno. Dopo lo sfondamento alleato, le truppe nazifasciste iniziarono ad abbandonare Imola, non senza compiere ulteriori efferatezze. Nella notte tra il 12 ed il 13 aprile i fascisti della Brigata nera, prima di fuggire, prelevarono gli ultimi detenuti rimasti nelle celle della rocca sforzesca, che già avevano subito interrogatori, torture e pestaggi, e li condussero presso lo stabilimento ortofrutticolo Becca, in via Vittorio Veneto, nella periferia di Imola. E lì, nel corso della notte, infierirono nuovamente sulle loro vittime. Poi le finirono a colpi di arma da fuoco e con le bombe a mano. Infine, per celare il loro crimine, i brigatisti neri gettarono i corpi martoriati nel pozzo artesiano della fabbrica e poi fecero brillare il muretto del pozzo stesso per impedire il recupero delle salme. Nel primo pomeriggio del 14 aprile gli ultimi soldati tedeschi abbandonarono Imola. Alle 14 circa la città era ormai in mano partigiana.

Mentre i soldati statunitensi della V armata scendevano lungo la valle del Santerno, affiancati dai gruppi di combattimento italiani, attorno alle ore 17 le avanguardie polacche facevano il loro ingresso in città accolti dai partigiani gappisti e sappisti, da rappresentanti del Comitato di liberazione, dalla popolazione festante e dal suono delle campane. La mattina seguente entrarono in città anche i combattenti della 36ª brigata Garibaldi «Alessandro Bianconcini», protagonisti di eroiche battaglie in Appennino e inquadrati, dopo il passaggio del fronte, nei contingenti dell’VIII armata britannica. Ricorda Venerio Montevecchi: «La mattina del 15 aprile entrarono da porta Bologna i reparti partigiani del battaglione Libero. Coperti di polvere, fazzoletto rosso al collo, rappresentavano l’esercito della liberazione alla quale, purtroppo, non avevano potuto partecipare in seguito a un ordine perentorio del comando alleato che li aveva fermati, il pomeriggio del giorno prima, a Ponticelli».

Imola era finalmente libera, ma gli orrori della guerra non erano ancora finiti. Le urla dei torturati, i colpi di mitraglia, i botti delle granate provenienti dallo stabilimento Becca erano stati uditi. «Fummo avvertiti il giorno dopo la liberazione che dentro al pozzo dello stabilimento ortofrutticolo erano stati gettati dei corpi umani – racconterà poi Antonio Emiliani, tra i vigili del fuoco che intervennero -. Fu difficilissimo recuperare i cadaveri perché erano sepolti dalle pietre e talmente massacrati che andavamo cauti a tirarli fuori, per non renderli ancor più irriconoscibili».

Grande fu l’orrore non solo della popolazione e dei partigiani, ma anche degli stessi militari alleati. Alla vista dei corpi orrendamente martoriati il governatore polacco, che comandava la piazza di Imola, svenne. Il maggiore Reid, della polizia militare dell’VIII armata britannica, dopo aver esaminato i resti, affermò: «Non ho mai visto in vita mia uno spettacolo così orrendo; è incredibile che esseri umani siano stati capaci di tanta crudeltà». Il 17 aprile si svolsero funerali solenni. Una lapide, coi nomi dei 16 martiri «massacrati dai fascisti», ne perpetua il ricordo alle generazioni future.

LE 16 VITTIME

Baldazzi Bernardo, nato il 31 dicembre 1923 a Medicina, ha militato nella 5ª brigata Matteotti «Otello Bonvicini»;

Bernardi Dante, nato il 7 marzo 1926 a Castel San Pietro Terme, ha militato nella 66ª brigata Garibaldi «Pietro Jacchia»;

Bersani Gaetano, nato il 21 marzo 1909 a Medicina, ha militato nella 5ª brigata Matteotti «Otello Bonvicini»;

Broccoli Duilio, nato il 17 febbraio 1920 a Castel San Pietro Terme, ha militato nella 66ª brigata Garibaldi «Pietro Jacchia»;

Cassani Antonio, nato il 29 settembre 1909 a Mordano, ha militato nella 5ª brigata Matteotti«Otello Bonvicini»;

Facchini Guido, nato il 16 ottobre 1895 a Medicina, ha militato nella 5ª brigata Matteotti «Otello Bonvicini»;

Felicori Mario, nato l’8 settembre 1918 a Castel San Pietro Terme, ha militato nella 66ª brigata Garibaldi «Pietro Jacchia» della quale fu uno degli organizzatori;

Filippini Paolo, nato il 4 luglio 1927 a Medicina, ha militato nella 5ª brigata Matteotti «Otello Bonvicini»;

Gabusi Cesare, nato il 9 maggio 1907 a Budrio, ha militato nella 5ª brigata Matteotti «Otello Bonvicini»;

Grassi Secondo, nato il 6 ottobre 1924 a Castel San Pietro Terme, ha militato nella 66ª brigata Garibaldi «Pietro Jacchia»;

Martelli Ciliante, nato il 30 ottobre 1925 a Medicina, ha militato nella 5ª brigata Matteotti «Otello Bonvicini»;

Martelli Mario, nato il 2 maggio 1920 a Castel San Pietro Terme, ha militato nella 5ª brigata Matteotti «Otello Bonvicini»;

Masina Corrado, nato il 7 novembre 1921 a Bologna, economo dell’ospedale civile di Castel San Pietro Terme, aiutò il movimento partigiano fornendo viveri, medicinali e nascondendo partigiani ricercati, fece parte del Comitato di liberazione nazionale di Castel San Pietro, riconosciuto partigiano nella 66ª brigata Garibaldi «Pietro Jacchia»;

Rivalta Domenico, nato l’11 maggio 1910 a Imola, durante la lotta di liberazione ha militato nel battaglione «Rocco Marabini» della brigata Sap Imola. Gli è stata conferita la medaglia d’oro alla memoria al valor militare con la seguente motivazione: «Patriota di pura fede, abile organizzatore delle prime forze partigiane della sua zona, le conduceva brillantemente, in venti mesi di dura lotta, in numerose vittoriose azioni. Pur sapendosi ricercato per la sua fama di capo audace e tenace svolgeva intensamente la sua attività partigiana, sempre presente ove maggiore era il pericolo con la parola e l’azione. Catturato e sottoposto a dure sevizie e snervanti interrogatori, nulla rivelava che potesse tradire commilitoni e reparti partigiani resistendo con ferrea volontà ai patimenti più atroci finché, all’alba dell’insurrezione generale, veniva barbaramente trucidato. Nobile esempio di profondo amor patrio e di alto eroismo»;

Roncarati Giovanni, nato il 18 aprile 1922 a Ferrara, ha militato nella 5ª brigata Matteotti «Otello Bonvicini»;

Ronzani Augusto, nato il 16 giugno 1917 a Castel San Pietro Terme, ha militato nella 5ª brigata Matteotti «Otello Bonvicini».