La morte tragica del capo partigiano Andrea Gualandi

La morte tragica del capo partigiano Andrea Gualandi

Subito all’inizio del libro «Imola Medaglia d’oro al valor militare per attività partigiana», a pagina 7, c’è l’elenco delle decorazioni al «valor militare» concesse dai Presidenti della Repubblica italiana a partigiani della zona imolese. Sono 30 in tutto, in maggioranza concesse «alla memoria».

Quattro le medaglie d’oro al valor militare. Una di queste a stata concessa (nel 1970, dall’allora Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat) ad Andrea Gualandi, nome di battaglia «Bruno», caduto a Fiumane di Modigliana durante la marcia notturna che i superstiti della brigata Garibaldi «Bianconcini» avevano intrapreso dopo la battaglia di Purocielo per uscire dall’accerchiamento nemico e giungere alle linee alleate.

Figlio di Enrico e Maria Chiarini, Andrea Gualandi era nato il 23 dicembre 1911 a Dozza. Operaio idraulico, nel marzo 1932 fu chiamato dall’esercito per l’assolvimento degli obblighi di leva. Assegnato al 2° reggimento Minatori del Genio fu posto in congedo nell’agosto del 1933.

Due anni dopo, nell’agosto del 1935, venne richiamato presso il 7° reggimento Genio e subito dopo partì per l’Eritrea, allora colonia italiana, con la compagnia speciale Genio. E proprio dall’Eritrea, nella notte del 2 ottobre 1935, duecentomila soldati del Regio esercito italiano attaccarono il regno di Abissinia, l’attuale Etiopia.

La capitale Addis Abeba cadde il 5 maggio 1936. E il successivo 7 maggio l’Italia annunciò l’annessione dell’Etiopia e il re Vittorio Emanuele III fu proclamato Imperatore. Le province di Eritrea, Somalia e Etiopia furono unite nella neocostituita Africa orientale italiana. Decorato con la Croce al merito di guerra concessagli dal Regio esercito italiano il 21 dicembre 1936, Gualandi venne rimpatriato lo stesso mese e poi collocato in congedo. Esperienza, quella militare, che gli tornerà utile qualche anno più tardi.

Seguendo le orme del fratello maggiore Guido, Andrea diviene un militante comunista. Arrestato sul finire del 1938 quale membro dell’organizzazione attiva in alcuni comuni della provincia e all’interno dell’Azienda tranviaria bolognese, con sentenza istruttoria del 16 giugno 1939 viene rinviato al Tribunale speciale. Tribunale che il 25 luglio 1939 lo condanna a 5 anni di carcere per ricostituzione del Partito comunista, appartenenza allo stesso e propaganda.

Dopo l’8 settembre 1943, con la fine delle ostilità contro gli alleati e la conseguente fine dell’alleanza con la Germania nazista, Andrea Gualandi è tra coloro che maggiormente si impegnano nella costituzione della 4ª brigata Garibaldi, che poi diventerà la 36ª brigata Garibaldi «Alessandro Bianconcini», ricoprendo in entrambe le fasi le importantissime funzioni di capo di stato maggiore, cioè di colui che ha il compito di tradurre in pratica le decisioni del comandante, redigendo gli ordini e verificando che le operazioni si sviluppino come pianificato.

Peraltro, non mancandogli il coraggio, senza disdegnare il comando diretto delle operazioni militari sul campo. Il 5 febbraio 1944 è infatti lui a guidare il gruppo di partigiani imolesi aggregati all’8ª brigata Garibaldi che prende parte all’occupazione di Premilcuore, cittadina a circa 50 chilometri da Forlì, durante la quale viene presa d’assalto la locale caserma della Guardia nazionale repubblicana, allo scopo di procurarsi armi e munizioni, e durante la quale vengono perquisite alcune abitazioni delle famiglie più ricche (in particolare quella di Edvige Mussolini, sorella del duce).

Andrea Gualandi prende parte anche alla battaglia di Purocielo, venendosi a trovare nel cuore dei combattimenti quando Ca’ di Gostino, dov’è acquartierata la compagnia comando, viene investita da ingenti truppe tedesche avvicinatesi nottetempo. Ma, in quell’occasione, riusce a far salva la vita. Cosa che, purtroppo, non gli riuscirà due giorni dopo, durante la marcia notturna di sganciamento intrapresa dalla brigata che porterà i superstiti in salvo.

La notte tra il 14 e il 15 ottobre 1944, dovendo superare la rotabile tra Modigliana e Lutirano (Marradi), Luigi Tinti invitò i componenti del comando ad attestarsi dietro «una vegetazione che, nel buio, sembrava una siepe». In realtà erano «arbusti posti sul ciglio di un precipizio formato da una breve ansa del torrente della valle». Per il buio e la fitta nebbia nessuno se ne accorse. Andrea Gualandi morì precipitando nel burrone assieme ad Angelina Giovannini, staffetta di Castel del Rio. Entrambi sono lì ricordati con una targa posta su un cippo assieme al partigiano slovacco Stefano Svesch, catturato dai tedeschi e poi fucilato.

NELLE FOTO: ESTATE DEL 1944 SULL’APPENNINO IMOLESE: ANDREA GUALANDI
ASSIEME ALLE STAFFETTE CONSIGLIA FANTI (ALLA SUA DESTRA) E GINA FRANCINI;
SULLO SFONDO ALTRI PARTIGIANI DELLA 36ª BRIGATA GARIBALDI