Si è svolta ieri, sabato 25 maggio, a Bologna, la cerimonia a ricordo delle vittime degli eccidi perpetrati dai nazifascisti presso le rovine della stazione ferroviaria di San Ruffillo, ove nel febbraio-marzo 1945 furono uccise decine e decine di persone prelevate a più riprese dalle carceri cittadine, i cui corpi furono poi occultati nei vicini campi devastati dalle bombe.
«Siamo qui oggi per ricordare coloro che scelsero di opporsi a due regimi totalitari, fascismo e nazismo, e che per questa loro scelta furono uccisi. E’ importante ricordare ciò che accadde allora perché il loro sacrificio non vada dimenticato, ma soprattutto perché non vada perso il portato di quello che è il significato pieno dell’antifascismo e della resistenza: ovvero lottare contro tutte le forme autoritarie e totalitarie che limitano i diritti individuali e collettivi», ha spiegato Simona Salustri, vicepresidente di Anpi Bolgna, presso la targa che nella stazione ferroviaria ricorda ai viaggiatori che lì, in quei luoghi, furono trucidate oltre novanta persone.
Poi il corteo – aperto dai gonfaloni istituzionali di Regione, Città metropolitana e dei Comuni da cui provenivano le vittime (tra cui quello di Imola, città insignita di medaglia d’oro al valor militare per attività partigiana) e dalle bandiere delle sezioni Anpi – ha raggiunto la vicina piazza intitolata ai Caduti di San Ruffillo, dove, dopo gli interventi delle autorità, hanno avuto luogo deposizioni di corone e fiori al cippo monumentale su cui sono scritti, divisi per Comune di provenienza, i nomi dei caduti di cui fu possibile l’identificazione dopo il ritrovamento e la riesumazione dei corpi avvenuta a guerra finita.
A San Ruffillo il primo eccidio di prigionieri prelevati da San Giovanni in Monte avvenne il 10 febbraio 1945, quando – secondo i registri del carcere – 55 detenuti furono consegnati alle SS. Altre esecuzioni di massa ebbero poi luogo ancora lì, con le stesse modalità, il 20 febbraio, l’1, il 2, il 16 e il 21 marzo.
Tra le vittime anche dieci imolesi, uccisi in due date. Rocco Marabini, fucilato l’1 marzo insieme ad altri nove compagni di sventura. Mentre il 16 marzo vennero fucilati e seppelliti in un cratere di bomba altri dieci partigiani, di cui nove imolesi: Otello Cardelli, Ugo Coralli, Zelino Frascari, Armando Gardi, Vladimiro Gollini, Valter Grandi, Enea Loreti, Angelo Volta e Vittorio Zotti.
Presenti alla cerimonia, come ogni anno, molti parenti delle vittime. Tra questi Vittorio Gardi, allora giovanissimo partigiano. Vittorio fu arrestato il 25 febbraio 1945 nella frazione imolese di Osteriola assieme al babbo, Armando Gardi, durante un rastrellamento. Entrambi vennero torturati, poi il babbo venne trasferito a Bologna e infine ucciso a San Ruffillo. Storia che Vittorio a raccontato alle troupe delle emittenti E’-Tv e Teleromagna.
«Ci chiusero in due stanze al pianterreno. I primi due giorni ci lasciarono senza bere e mangiare. Poi cominciarono gli interrogatori. A turno, quasi tutte le notti, ci portavano di sopra. Prima le domande, sempre quelle: dov’è Aldo (Aldo Afflitti, comandante delle Sap), chi sono i capi, dove sono le armi… Poi le botte e le cinghiate. Più volte io e mio padre dovemmo assistere alle torture l’uno dell’altro. Poi quando erano stanchi ci riportavano giù, pesti e sanguinanti».
Un supplizio che pare non avere mai fine. Finché – continua Vittorio – «il pomeriggio dell’undicesimo giorno vennero a prelevare mio padre ed Otello Cardelli. Babbo mi abbracciò dicendomi: “Se vai a casa stai vicino alla mamma”. Dopo di che li trascinarono via. Disperato, chiesi di andare in bagno e, uscendo, vidi una motocarrozzetta che si accingeva a partire con un tedesco alla guida, un altro seduto dietro e nel carrozzino laterale, legato e ammanettato, c’era Otello. Più in là un’altra moto, con mio padre nel carrozzino, anch’egli legato e ammanettato. Li portavano a Bologna. Tentai di avvicinarmi per un ultimo saluto, ma mi venne impedito. Quella fu l’ultima volta che vidi mio padre, vivo».
Anche la salma di Armando Gardi sarà riconosciuta tra quelle portate al cimitero della Certosa provenienti dalle fosse di San Ruffillo, luogo dove le SS dell’Aussenkommando Bologna avevano ucciso segretamente e fatto sparire i corpi di ben 94 detenuti del carcere cittadino. «Visionando gli oggetti personali rinvenuti su quei poveri resti mia madre riconobbe un pezzo di velluto scuro della giacca di mio padre e – conclude Vittorio – fu chiara la terribile sorte toccata ai partigiani di Osteriola arrestati: erano stati uccisi».
Assieme a Filippo Samachini, consigliere comunale delegato a rappresentare l’Amministrazione comunale di Imola, e a Vittorio Gardi, figlio del partigiano Armando Gardi, presenti alla cerimonia anche Vilder Volta e i fratelli Mauro e Angelo Volta, nipoti di un altro partigiano di Osteriola, Angelo Volta, anch’egli arrestato durante il rastrellamento del 25 febbraio 1945 e anch’egli trucidato a San Ruffillo.