Imola, sabato 13 maggio 1944, ore 12.50. Le sirene e la campana del municipio avvertono la popolazione dell’imminente passaggio di aerei sulla città del Santerno. Non è la prima volta che accade. Anzi. Il 10 giugno 1940, col celebre discorso dal balcone di palazzo Venezia, il cavaliere Benito Mussolini aveva annunciato al popolo plaudente l’entrata in guerra dell’Italia fascista a fianco della Germania nazista di Adolf Hitler. E dal 14 giugno 1940, data del primo allarme, al 13 maggio 1944, le sirene di Imola avevano già suonato oltre 250 volte. Ma non era mai accaduto nulla, se non il fuggi-fuggi degli abitanti impauriti verso le cantine dei palazzi od i rifugi nel frattempo allestiti dal Comune.
Nella primavera del ’44 la guerra sembrava ancora molto lontana malgrado gli angloamericani l’anno prima fossero sbarcati in Sicilia e stessero risalendo la penisola. Il fronte s’era fermato nei pressi di Cassino, dove infuriava la battaglia. In cielo si vedevano spesso passare stormi di bombardieri diretti verso nord. Insomma, l’eventualità di una incursione aerea su Imola sembrava ancora remota ai suoi abitanti, tant’è che molti ignoravano gli allarmi e proseguivano nelle loro attività quotidiane senza recarsi sollecitamente nei rifugi.
Non sarà così quel fatidico giorno del 1944, come testimonia il cippo eretto nel 1945, poche settimane dopo la Liberazione, nel giardino pineta, nei pressi dell’ex macello (ove in tempo di guerra era stato costruito un rifugio antiaereo), a ricordo delle vittime civili del primo bombardamento aereo di Imola.
Prima incursione di bombardieri alleati che è stata oggetto di una particolare e scrupolosa ricerca condotta dallo scrittore Gilberto Negrini, da cui è emerso che la città del Santerno, quel giorno, non figurava tra gli obiettivi strategici dell’Usaaf, l’aviazione statunitense. Ricerca poi divenuta il leitmotiv del libro «Imolesi tra bombe e granate 1944-1945», edito nel 2019 da Bacchilega editore (collana Argomenti di storia).
«Questo libro – avverte l’autore nella presentazione della sua opera – non è, e non vuole essere, la storia romanzata degli avvenimenti che hanno portato lutti e dolori in tante famiglie, ma piuttosto una cruda e veritiera cronaca degli avvenimenti così come si sono verificati, senza aggiungere note che non fossero corroborate da documenti».
Quel giorno, infatti, obiettivo degli aerei del 15° Usaaf decollati dalle basi pugliesi di Cerignola e Torretta erano una serie di scali ferroviari da Piacenza a Cesena, tra cui quello di Faenza, utilizzato dalla Wehrmacht per trasportare uomini, mezzi e munizioni fino a Firenze. Ma, giunti all’altezza di Marradi, il capo bombardiere, pur avendo come riferimento le immagini scattate dai ricognitori nei giorni precedenti, sbagliò ad interpretare la topografia del territorio e diresse i B-24 su Imola invece che su Faenza. E giunti in vista del presunto obiettivo i 40 bombardieri pesanti, divisi in due ondate, aprirono i portelli delle stive e cominciarono a sganciare bombe da 500 libbre (227 chilogrammi).
A questo punto del libro, Negrini attinge alle parole di Elio Gollini (il partigiano «Sole»), testimone diretto di quanto accadde quel 13 maggio 1944 (racconto pubblicato nel 2007 su «Terza pagina», il giornale di Università Aperta). «Ho udito le formazioni di aerei ronzare più cupamente del solito verso la città e, uscito perché era suonato l’allarme, guardando in alto verso il monte Castellaccio, li ho visti avanzare in formazione e sganciare le prime bombe», racconta Gollini.
Il bombardamento durò una ventina di minuti. L’area colpita, a nord-est della città, comprendeva la stazione ferroviaria e diversi stabilimenti industriali. «Questa volta – continua Gollini – non è stato un falso allarme ma un disastro. Ovunque si respira aria mista a polvere ed esalazioni di esplosivo, le strade sono impraticabili, con crateri profondi e alberi abbattuti, il sottopassaggio della Selice è allagato dall’acqua del canale squarciato sul Pincio, il fabbricato della stazione è spezzato a metà e si intravvedono i binari contorti, pezzi di traversine sono disseminate ovunque, una colonna di fumo nero si leva dai capannoni della Cogne, un’altra colonna verso la Ceramica».
Tragico il bilancio. In totale si conteranno 55 morti (53 civili e 2 militari), 150 feriti e 260 persone rimaste senza casa. Da questa data fino all’aprile del 1945 si verificheranno 150 incursioni aeree che sganceranno 1.700 bombe, di cui 200 incendiarie. Moriranno 218 persone e 400 rimarranno ferite.