Il 29 aprile 1944, quale preludio dello sciopero generale nelle fabbriche fissato per il 1° maggio successivo, sulla piazza grande di Imola si svolse una grande manifestazione organizzata dai Gruppi di difesa della donna per reclamare generi alimentari e la fine della guerra (una manifestazione analoga ebbe luogo contemporaneamente anche a Mordano). I militi repubblichini, intervenuti per impedire l’accesso al palazzo comunale, spararono sulle dimostranti, uccidendo Maria Zanotti e ferendo gravemente Livia Venturini, che morirà dopo alcune settimane di agonia.
Il comitato sindacale clandestino proclamò subito uno sciopero di protesta. «Non era ancora mezzogiorno di quel 29 aprile – scrive lo storico Nazario Galassi – che le staffette avevano trasmesso alle fabbriche la notizia dell’eccidio con l’ordine di scendere immediatamente in sciopero. Dapprima si fermarono gli edili, poi via via incrociarono le braccia gli operai, malgrado le minacce dei dirigenti delle fabbriche e dei militi repubblichini. Ma nessun richiamo o minaccia riuscì a scuotere la decisione degli operai sorretti dalle compagne di lavoro. Fu anzi la partecipazione femminile a dare forza all’agitazione diffondendola tra i reparti fino allo scadere dei turni».
La città era percorsa da pattuglioni tedeschi e fascisti e la tensione era palpabile. «Il comando tedesco – continua Galassi – fece affiggere sui muri della città dei manifesti preannuncianti gravi misure repressive, mentre l’intero apparato del fascio veniva mobilitato per intensificare l’opera di dissuasione allo sciopero».
Ma nella popolazione montavano l’esecrazione e l’odio. Così la mattina del 30 aprile, domenica, venne deciso di continuare lo sciopero spontaneo già iniziato il giorno precedente e di collegarlo con quello già previsto per la data simbolica del 1° maggio. E la giornata festiva venne impiegata dei comitati sindacali clandestini a raccogliere le forze per sostenerlo.
A Casola Canina il presidente del Cln della zona imolese, Ezio Serantoni, incontrò Franco Serantoni, Massimo Villa, Egidio Martignani, Giovanni Zanelli e Nerio Cavina, i responsabili di reparto delle Sap della Cogne, allora importantissima industria bellica di Imola, per decidere il piano di lavoro da svolgere prima e durante lo sciopero.
La mattina di lunedì 1 maggio tutti i lavori nel territorio imolese si fermarono. Anche i braccianti della bassa posarono le vanghe. Prima che si facesse luce i Gap avevano divelto tratti di rotaia della ferrovia per Massa Lombarda e Fontanelice, allo scopo di fornire un pretesto all’assenza dei pendolari.
«Alla Cogne – racconta ancora Galassi – l’astensione dal lavoro iniziò alle 8 nel reparto Opc2, cui seguì l’Artiglieria, poi tutti gli altri reparti. I dirigenti ritentarono l’azione dissuasiva, mentre attorno ad essi si formavano dei capannelli che coniugavano le rivendicazioni economiche con i problemi di democrazia interna. Ad un certo momento, anzi, la discussione prese una piega politica. Dove gli interventi delle guardie o dei capi reparto erano riusciti a convincere gli operai timorosi, entrarono in campo le donne, decise ad impedire qualsiasi cedimento.
Chiamata dalla direzione, alle 10, una formazione di SS tedesche e italiane prese possesso della portineria e vi piazzò due mitragliatrici, mentre alcune camionette scorrazzavano per le strade interne. Poi le pattuglie, accompagnate dal commissario di PS e dal direttore, entrarono nei reparti e,fermandosi con le armi puntate di fronte ad ogni singola macchina, intimarono agli addetti di rimetterle in moto. Ma accadde che non appena la pattuglia passava alla macchina successiva, la precedente si fermava. Così, finito l’intero reparto, i tedeschi si ritrovarono al punto di partenza.
Sbraitando, si diressero tutti insieme in mezzo agli operai, ma così facendo riaccesero la tensione. Furono ancora le donne a gettarsi in avanti per prime, gesticolando di fronte alle armi per farsi intendere. Presto anche gli uomini si fecero attorno ai gendarmi che, presi nel mezzo, non ebbero altra scelta che prestare ascolto a quel tumulto di parole per loro incomprensibili. Capì invece il commissario di PS, che si trovò circondato da un gruppo di donne infuriate e gridanti.
L’agitazione si protrasse per l’intera giornata. Nel pomeriggio intervennero anche il questore e un gruppo di funzionari del fascio bolognese. Ci fu l’arringa con uno dei soliti discorsi infarciti di populismo e di retorica patriottica, ma – conclude Galassi – nulla ormai poteva smuovere la compattezza degli operai».
Analoga fu l’agitazione nelle altre fabbriche del territorio imolese. Si calcolò che avessero partecipato all’astensione dal lavoro circa 4 mila lavoratori. La stessa radio fascista e il notiziario della Gnr ammisero che erano state attuate «due ore di sciopero con la partecipazione di 1.100 operai».
(testo tratto dal libro «Imola dal fascismo alla liberazione 1930-1945», scritto dallo storico partigiano Nazario Galassi ed edito da University Press Bologna)
NELLA FOTO: IL REPARTO DI PRODUZIONE E CALIBRATURA PROIETTILI DELLA COGNE