Otto steli metallici che si protendono verso il cielo spuntando da un prato che, a guardarlo bene, ha la forma di un cratere di bomba. Otto steli alle cui basi sono poste delle targhe riportanti nomi di persone, uno per ogni stelo. I nomi scritti sono dei partigiani, otto per l’appunto, che furono trucidati in questo luogo durante la seconda guerra mondiale. E gli steli metallici, uscendo dal tappeto di erba e protendendosi verso il cielo, simboleggiano l’anelito di libertà che spinse questi otto giovani alla lotta contro la barbarie e l’oppressione nazifascista, fin all’estremo sacrificio.
Quegli otto partigiani erano tutti giovani riolesi: Lorenzo Baldisserri (bracciante, di anni 20), Emilio Benedetti (bracciante, di anni 20), Paolo Farolfi (bracciante, di anni 20), Dante Giorgi (colono, di anni 20), Sergio Ragazzini (bracciante, di anni 20, Medaglia d’argento al Valor militare alla memoria), Antonio Roncassaglia (bracciante, di anni 21) e suo cugino Paolo Roncassaglia (bracciante, di anni 22) e Attilio Visani (bracciante, di anni 28).
«Partigiani delle Sap che erano stati catturati il 5 febbraio 1945 durante un rastrellamento attuato dai nazifascisti nella zona collinare di Toranello e successivamente rinchiusi nelle celle della rocca sforzesca di Imola, allora adibita a carcere, dove erano stati sottoposti a orrende torture. Il successivo 10 marzo 1945 erano stati prelevati dai militi fascisti e poi condotti nel podere “La Rossa”, nei pressi dell’allora fornace Gallotti, posta nella periferia ovest della città. E lì, ancora “grondanti di sangue per le torture subite”, erano stati barbaramente uccisi e i loro cadaveri gettati “uno sull’altro” in un grande cratere di bomba d’aereo colmo d’acqua», ha ricordato il presidente di Anpi Imola, Gabrio Salieri, introducendo la cerimonia commemorativa in loro ricordo, svoltasi quest’ultimo sabato mattina, 9 marzo 2024.
I corpi di quei giovani partigiani verranno ritrovati soltanto un mese e mezzo dopo, con Imola ormai libera. E il verbale redatto dalla squadra che effettuerà il recupero evidenzierà che i volti di quelle povere vittime erano orrendamente sfigurati a causa dei pestaggi subiti, con fratture al viso e al cranio, ovunque segni lasciati da corpi contundenti e fori da arma da fuoco alla testa.
Sul luogo dell’eccidio (corrispondente all’attuale area verde posta lungo il viale del Piratello, all’altezza della rotonda Altiero Spinelli, vicino al Centro Leonardo) oggi si trova il monumento che li ricorda, progettato dall’architetto Gian Piero Martinoni e inaugurato nel 1988.
«Tutte le volte che mi accade di passare da questa rotonda penso: “Quello è il monumento “La Rossa” – ha raccontato Francesca Merlini, vicesindaca del Comune di Riolo Terme, intervenuta alla cerimonia –. Attorno a noi abbiamo tanti monumenti, che però tendiamo ad ignorare presi, come siamo, dalla frenesia quotidiana delle cose da fare. Invece ogni monumento rappresenta storie che vanno ricordate, che vanno raccontate, che vanno tramandate. Come quanto accaduto nel podere “La Rossa” in quel 10 marzo 1945. Monumento che ricorda quei nostri ragazzi che hanno sacrificato la loro vita affinché si potessero affermare anche nell’Italia oppressa dal nazifascismo i valori di libertà, di democrazia, di pace, di fratellanza tra i popoli. Valori che noi cerchiamo di ricordare alle nostre comunità, di insegnare nelle scuole alle giovani generazioni».
«E’ giusto e importante tramandare a noi, nuove generazioni, la conoscenza di queste vicende, ricordare questi nostri compaesani che hanno combattuto per garantire a tutti noi la libertà e la democrazia – ha aggiunto subito dopo Viola Grandi, giovanissima sindaca del Consiglio comunale dei ragazzi e delle ragazze di Riolo Terme –. Ma noi siamo qui oggi anche per ricordare e per richiamare l’attenzione sull’importanza e sul valore della parola “pace”. Pace che – ha stigmatizzato – dopo tanti anni, purtroppo, non abbiamo ancora raggiunto».
Appello subito raccolto da sindaco di Imola, Marco Panieri: «Noi dobbiamo essere operatori di pace. Il mondo ne ha bisogno, oggi più che mai. Perché nel mondo i conflitti si stanno moltiplicando. Ma la pace inizia non dimenticando cosa ha rappresentato la guerra, gli orrori, i lutti, le sofferenze che ha causato. E, in questo sforzo di non dimenticare, i monumenti e i luoghi ci possono essere d’aiuto. Per questo Imola da tempo porta avanti con successo il progetto “Quando un posto diventa un luogo”. Progetto che più volte ha portato i giovani, in occasione delle cerimonie commemorative come quella di oggi, in luoghi della nostra città come appunto “La Rossa”, come la rocca sforzesca, luogo di carcerazione, come i tanti luoghi del nostro territorio legati alla lotta diffusa contro l’oppressore nazifascista».
Così come – ha aggiunto il sindaco – «dobbiamo essere riconoscenti verso coloro che in quegli anni di oppressione e di guerra hanno sacrificato la loro vita per permetterci di godere oggi di democrazia, di libertà, di diritti. Quello dove oggi stiamo celebrando la cerimonia è un luogo di passaggio, vicino al centro della città, ma allora fu luogo di tragedia, di orrore. E giusto non dimenticarlo, perché così facendo – ha concluso Panieri – ricordiamo anche coloro che hanno sacrificato gli affetti familiari e la loro vita per quello che era un bene più grande, cioè il bene di tutti».