Grazie anche ai caduti di Sesto Imolese l’Italia seppe riscattarsi e «fu vittoria dei buoni contro i cattivi»

Grazie anche ai caduti di Sesto Imolese l’Italia seppe riscattarsi e «fu vittoria dei buoni contro i cattivi»

Quest’ultimo sabato, 20 aprile, la popolazione di Sesto Imolese ha ricordato con una partecipata cerimonia i propri concittadini Caduti in guerra, ed in particolare i propri partigiani e antifascisti morti per la libertà e la democrazia.

«Oggi siamo qui per non dimenticare – ha esordito l’assessore Piarangelo Raffini, in rappresentanza dell’Amministrazione comunale di Imola –. Siamo qui per non dimenticare le giornate di aprile e settembre 1944 vissute da Sesto Imolese, che rappresentano un potente messaggio di coraggio e determinazione che risuona non solo attraverso le generazioni, ma anche nelle sfide attuali».

Durante l’occupazione nazifascista, il 10 aprile 1944, lunedì di Pasqua, a Sesto Imolese oltre trecento donne, provenienti anche dalle vicine località di Balìa, Bettola ed Osteriola, manifestarono «contro le precettazioni degli operai per il servizio del lavoro in Germania», per reclamare «un aumento di salario in favore dei lavoratori agricoli e delle mondariso» e per rivendicare la fornitura dei generi alimentari razionati e di copertoni per biciclette. Le autorità fasciste giunte da Imola intimarono loro di obbedire a quanto ordinato dai tedeschi, ma le manifestanti risposero «fuori i nazisti dall’Italia».

Qualche mese dopo, il 14 settembre, a Sesto si tenne poi una grande manifestazione preinsurrezionale organizzata dal Cln di Imola assieme ai sappisti e ai gappisti locali. Dopo aver dichiarato «lo sciopero generale politico», i partigiani avevano tagliato le linee telefoniche e telegrafiche e bloccato le strade d’accesso al paese. Circa duemila persone, soprattutto donne, erano poi confluite in piazza inneggiando alla liberazione e alla pace. Un rappresentante del Cln, Ezio Serantoni, il popolare «Mezanòt», aveva tenuto un accorato comizio, seguito da un corteo con canti della tradizione socialista e comunista.

Colti di sorpresa, fascisti e nazisti non reagirono subito. Ma già nel pomeriggio, a manifestazione ormai finita e mentre i partecipanti iniziavano a sfollare, si ebbero i primi scontri sulla San Vitale. Calato il buio, un reparto tedesco si avvicinò al paese e in via del Tiglio una pattuglia intercettò e uccise il sappista Enea Suzzi, di Osteriola, che stava rientrando a casa dopo aver smobilitato dalla manifestazione.

Ma non era finita. Il successivo 9 ottobre truppe speciali, appartenenti alla 305 Infanterie division della Wehrmacht, alle 6 del mattino mossero dalle località di Balìa, Bettola e Sterlina e, passando di casa in casa, portano via con la forza tutti gli uomini che trovarono. Ben 269 civili vennero così radunati nella piazza di Sesto. I più anziani furono rimandati a casa, mentre i restanti, un centinaio circa, vennero condotti a Medicina per una ulteriore selezione.

L’intervento di un reggente del Fascio, infiltrato dalla Resistenza, consentì la liberazione della metà di essi. Gli altri, oltre una cinquantina, furono avviati al sammellager di Fossoli e infine tradotti, assieme a molti altri prigionieri italiani, nei campi di lavoro del Terzo Reich.

Ebbene – ha continuato Raffini – «questi episodi storici rimandano alla resilienza umana di fronte all’oppressione e alle ingiustizie, incoraggiando le nuove generazioni a trarre ispirazione dal coraggio dimostrato dai partigiani e dalle donne della Resistenza nel combattere per valori fondamentali quali la libertà, la democrazia e la dignità umana».

«Ci ricordano inoltre che la lotta per la libertà e la giustizia sono un impegno costante che richiede coraggio e capacità di sacrificio. Gli stessi coraggio e capacità di sacrificio che hanno saputo dimostrare tutti quelli che hanno pagato con la morte e la tortura, con il carcere e il confino, con il trasferimento nei campi di lavoro e di sterminio ed il cui esempio ci insegna che anche in situazioni di conflitto e oppressione è possibile agire in difesa dei valori universali della pace e della dignità umana. La loro storia – ha esortato Raffini – ci sprona essere vigili difensori dei diritti umani ed a impegnarci per un mondo più giusto e pacifico».

LA POPOLAZIONE DI SESTO IMOLESE HA RICORDATO I PROPRI CONCITTADINI CADUTI IN GUERRA

Sabato 20 aprile, la popolazione di Sesto Imolese ha ricordato i propri concittadini caduti in guerra, ed in particolare i propri partigiani e antifascisti morti per la libertà e la democrazia. Ad aprire la cerimonia, Ettore Bacchilega, responsabile dell’Anpi di Sesto Imolese, il cui zio (suo omonimo) è sepolto nel sacrario posto nel cimitero di Sesto, ove riposano i partigiani e antifascisti della frazione imolese caduti durante la ventennale dittatura e la guerra di liberazione dal nazifascismo.

TRA I PRESENTI ANCHE IL FIGLIO DI DOMENICO RICCI, TRUCIDATO ALLE FOSSE ARDEATINE

Durante la cerimonia ha preso la parola Venanzio Ricci, romano di nascita ma da una decina di anni stabilmente domiciliato a Imola, dove continua a portare avanti la memoria dell’eccidio compiuto dai nazisti (col compiacente aiuto delle autorità fasciste) il 24 marzo 1944, alle Fosse Ardeatine, dove 335 persone vennero assassinate per rappresaglia a seguito dell’attentato partigiano di via Rasella.

Tra le vittime di quella terribile rappresaglia anche Domenico Ricci, suo padre. «Papà – ha raccontato Venanzio con un tono commosso, malgrado il tanto tempo trascorso da allora – aveva 31 anni ed era un partigiano. Uscito di casa, era andato nella piazza di Centocelle. Forse doveva incontrare altri partigiani. In quei giorni, infatti, era in preparazione lo sbarco degli americani ad Anzio. Ma, arrivato in piazza, era stato arrestato dalla polizia fascista, probabilmente per una delazione: era il 12 gennaio 1944. Quel giorno, del suo gruppo ne vennero arrestati undici. Mio fratello più grande, che allora aveva cinque anni, è l’unico che ricorda papà perché era andato a trovarlo assieme a mamma a Regina Coeli, al braccio dei politici, dov’era rinchiuso. Parlando di lui, mamma mi ha poi raccontato che era stato torturato: gli avevano strappato le unghie, aveva il capo bendato… Ma nessuno, né lui né gli altri, hanno parlato».

Venanzio, il più piccolo dei quattro figli di Domenico Ricci, sarebbe nato pochi mesi dopo il ritrovamento del corpo del padre. «La cosa che più mi manca è non avere il ricordo della sua voce. Io non ero ancora nato. Di lui ho solo il ricordo delle fosse Ardeatine, il luogo dove fu ritrovato i suo corpo e quelli degli altri trucidati. Ogni volta che mi reco alle Fosse Ardeatine provo paura e dolore. In quelle grotte sono entrato da piccolo e avevo paura, tanta paura. Paura che ho conservato. E dolore, pensando all’enormità di quel crimine. Io ho ottant’anni. Tra le vittime c’erano persone anziane che certamente pensavano di passare una vecchiaia serena e tranquilla e non ci sono riuscite. Ma tra quei poveri morti c’erano anche due quindicenni e due diciassettenni, le vittime più giovani di quell’eccidio. Erano solo dei ragazzini. La stessa età dei ragazzi presenti qui oggi a questa cerimonia». Poi, volgendosi verso i ragazzi presenti alla cerimonia, l’invito: «State vicino ai vostri genitori».

CONSEGNATE TESSERE E ATTESTATI ANPI AD HONOREM

Subito dopo Gabrio Salieri, presidente dell’Anpi di Imola, ha consegnato le tessere e gli attestati ad honorem ai familiari di Ettore Bacchilega, Rossano Buscaroli, Alfeo Cani, Andrea Contoli, Giovanni Dalla Casa e Gildo Tabanelli, partigiani e antifascisti sestesi caduti durante la lotta di Resistenza e di Liberazione, omaggiandoli del libro «Bruno Solaroli, l’uomo, il politico».

SALIERI: «CONOSCERE LA STORIA E IMPEGNARSI PERCHÉ NON ABBIA A RIPETERSI»

«Noi oggi siamo qui per riaffermare con forza il valore della “memoria viva” – ha tenuto a sottolineare nel suo intervento il presidente di Anpi Imola, Gabrio Salieri –. Che non significa un asettico ricordo commemorativo, ma significa conoscere la storia e impegnarsi perché non abbia a ripetersi o a ripresentarsi in forme mascherate.

Spesso, quando si condanna il fascismo, si pensa alla Repubblichina di Salò, che Mussolini e gli invasori nazisti inventarono per aprire una guerra civile contro il legittimo Stato italiano che si era schierato con gli alleati contro la Germania nazista. Guerra civile che vide il fascismo di Salò e i nazisti macchiarsi di tante e tali e stragi e nefandezze da far inorridire quanti le scoprirono. Basti pensare a Marzabotto, a Sant’Anna di Stazzema, alle Fosse Ardeatine e, a Imola, al pozzo Becca.

Ma il fascismo non fu soltanto la Repubblica di Salò. Fu, a partire da un secolo fa e per venti tragici anni, un sistema basato sulla violenza, sulla sopraffazione, sul razzismo, sull’olio di ricino, sugli assassini degli oppositori, sull’incarcerazione e il confino, sulle torture, sulla soppressione dei partiti, dei sindacati dei lavoratori, delle associazioni e delle persone che lo avversavano. Fu contro la democrazia e contro la libertà di pensiero. E fu il fascismo che trascinò il nostro Paese in guerra.

Fu grazie agli antifascisti e a quanti si ribellarono a quel regime dittatoriale che 80 anni fa si sviluppò la lotta di Liberazione. Quella Resistenza da cui è nata 79 anni fa il libero Stato democratico e da cui è nata 76 anni fa la Costituzione italiana. Qui sta il valore dell’antifascismo quale difesa della Costituzione e impegno per la sua piena attuazione. Qui sta anche la memoria del giorno della Liberazione, che che fu liberazione dalla dittatura e dall’invasione straniera. E che fu vittoria, lasciatemelo dire forte e chiaro, dei buoni contro i cattivi».

I FIORI DELL’ANPI POSATI DA VELIA E GABRIELLA, FIGLIE DI DEPORTATI

A seguire, Velia Galassi (figlia di Domenico Galassi, sopravvissuto ai campi di lavoro in Germania ove era stato deportato assieme al fratello Angelo, che invece vi morì) e Gabriella Tabanelli (figlia del sappista Gildo Tabanelli, catturato dai tedeschi con il fratello Luigi, deportato in Germania e morto nel campo di Kalha) hanno poi posato un mazzo di fiori rossi e fiori bianchi sul monumento ai Caduti in guerra in rappresentanza dell’Anpi.

CORONA E LE NOTE DEL «SILENZIO» INTONATE DA UN TROMBETTIERE

E, subito dopo, l’assessore Raffini ed il partigiano novantatreenne Vittorio Gardi (figlio del partigiano Armando Gardi, fucilato alle fosse di San Ruffillo) hanno posato la corona di alloro dell’Amministrazione comunale.

Posa della corona di alloro seguita dalle note del «Silenzio» intonate, com’è consuetudine, da un trombettiere, con autorità e forze dell’ordine sull’attenti.

FIORI ANCHE PER VANNINI E FANTINI, ANTIFASCISTI SESTESI UCCISI DURANTE IL VENTENNIO

Ogni anno, alla fine della cerimonia commemorativa dedicata ai Caduti in guerra, si svolge una seconda deposizione di fiori alla lapide, posta anch’essa nel centro dell’abitato della frazione di Sesto Imolese, che ricorda due martiri antifascisti sestesi: Attilio Vannini, che «cadde sotto il feroce piombo fascista nel 1925», ed Enea Fantini, che «nella sua tempra ferma e tenace di combattente antifascista morì nel reclusorio di Castelfranco Emilia nel 1931». Oltre al pubblico numeroso, presenti anche studenti della scuola di Sesto Imolese.