Giuseppe Baffé, straordinaria figura di antifascista e partigiano

Giuseppe Baffé, straordinaria figura di antifascista e partigiano

La strage di case Baffé-Foletti, in cui furono uccise 22 persone, tra cui donne, anziani e giovinetti, fu voluta e compiuta dai fascisti locali, aiutati da quelle belve sanguinarie che erano le schutzstaffel tedesche, meglio conosciute come SS. Ma non può essere compresa appieno se non si prende in considerazione la straordinaria figura di Giuseppe Baffé, antifascista e partigiano, assassinato anch’egli in quel triste giorno.

Giuseppe Baffé, detto Pippo, era nato a Balìa, località vicina a Sesto Imolese, il 12 febbraio del 1894, da Davide Baffé e Maria Lullini, ultimo di sei fratelli. All’inizio del 1900 la famiglia si era poi trasferita nella vicina Massa Lombarda, al confine con Sant’Agata sul Santerno, per coltivare un podere delle Opere pie.

Giovanissimo Giuseppe milita nelle file del partito socialista e poi, in seguito alla scissione del gennaio 1921, aderisce al Partito comunista d’Italia, divenendone l’esponente principale a Massa Lombarda, dove guida un gruppo di una cinquantina di componenti, uno dei più numerosi della provincia assieme a quelli di Mezzano, Conselice e Lavezzola.

Dotato di intelligenza viva, di una solida preparazione politica e di un notevole coraggio, nella seconda metà del 1921 costituisce una squadra di antifascisti per contrastare la violenza delle camice nere locali, che terrorizzano gli abitanti di Massa Lombarda. Atto di coraggio che lo porterà in carcere una prima volta per diversi mesi nella primavera del 1922.

Nonostante la sorveglianza dei carabinieri e dei fascisti, riesce a tessere una tela di rapporti clandestini con altri antifascisti che si estende anche ai paesi vicini: Conselice, Lavezzola, Ca’ di Lugo, Voltana, Lugo… Nel 1925 ospiterà nella sua casa tutta la documentazione della Federazione provinciale del Pcd’I.

Nell’agosto del 1927 viene arrestato una seconda volta: tutto nasce da un dirigente del Partito comunista arrestato ad Ancona a cui viene sequestrato un appunto che accennava ad una riunione da tenersi a Massa Lombarda organizzata da Baffé. Il processo, «celebrato«» davanti al Tribunale speciale, lo vede condannato a 4 anni di carcere per cospirazione, associazione comunista e propaganda sovversiva e alla interdizione perpetua dai pubblici uffici ed alla vigilanza speciale per 3 anni.

Quando torna, nel 1931, riprende il suo posto di combattente antifascista: la sua opera sarà volta all’incontro con i giovani, a cui trasmette il suo impegno per la libertà e la democrazia, ed ai valori che debbono caratterizzare l’uomo, quali l’onestà, la rettitudine e l’altruismo.

Alla fine del 1938 viene scoperta a Bologna una rete antifascista che ha diramazioni anche nella provincia di Ravenna. L’ondata di arresti, partendo da Bologna, si irradia fino a Massa Lombarda e Baffé viene arrestato per la terza volta, assieme ad altri, nel gennaio del 1939. Processato di nuovo dal Tribunale speciale verrà condannato a 3 anni di carcere (tutti espiati) per ricostituzione del Pcd’I, appartenenza al medesimo e propaganda sovversiva.

Quando tornerà nel 1942, a guerra già iniziata, Baffé troverà una nuova leva di giovani antifascisti politicamente preparata e molto determinata a combattere il regime mussoliniano, frutto del suo instancabile insegnamento e della sua opera antifascista. E sarà proprio questa nuova generazione che prenderà su di sé l’onere di dirigere la resistenza armata contro il nazifascismo a Massa Lombarda.

Dopo l’8 settembre, con la costituzione della Repubblica di Salò, l’occupazione nazista dell’Italia e la nascita della resistenza armata anche i figli di Baffé faranno una scelta coerente divenendo partigiani e la figlia Lalla, staffetta.

Il vecchio Giuseppe, però, non demorde e nel luglio 1944, con i tedeschi ovunque in paese e in campagna, è l’anima della «battaglia per il grano», che impedirà che il grano trebbiato venga requisito dagli occupanti e portato in Germania. I fascisti massesi della brigata nera schiumano di rabbia verso colui che per oltre vent’anni li ha combattuti e non si è mai piegato.

Il 22 settembre 1944 Rimini viene liberata dagli alleati. Qualche giorno dopo i fascisti massesi, presi dal panico, fuggono da Massa Lombarda. Ma poi, inaspettatamente, ai primi di ottobre ritornano con propositi di vendetta.

Si susseguono i rastrellamenti alla ricerca di partigiani. Il mattino del 17 ottobre 1944 i fascisti conducono le SS alla casa dei Baffé, in via Martello, la circondano e vi entrano: saccheggiano, picchiano gli uomini, li radunano nel cortile.

Pippo Baffé, ignaro di quanto sta accadendo (dormiva infatti in posti sempre diversi per motivi di sicurezza), si avvicina alla casa, viene catturato e portato assieme agli altri nella prigione di palazzo Armandi, sede delle brigate nere massesi, dove vengono imprigionati e interrogati per ore.

Nel frattempo, a circa un chilometro dalla casa dei Baffé ha luogo uno scontro a fuoco fra alcuni partigiani e un tedesco, che rimane ucciso assieme a un partigiano (Gastone Scardovi, «Lampo»). Questo sarà il pretesto per compiere la strage.

Alle 11 i prigionieri vengono riportati nel cortile della loro casa. Ci sono i dieci Baffé (Alfonso, Angelo, Davide, Domenico, Federico, Giuseppe, Maria, Osvalda, Pio e Vincenza), i loro garzoni Severino Gollo e Giuseppe Canori, gli sfollati Germano e Giulio Aderito Baldini, l’amico Augusto Maregatti e i coloni Leo e Antonio Landi.

Alcuni sono fucilati sull’aia. Gli altri vengono stipati in casa, insieme ai cadaveri dei loro parenti e amici appena uccisi. Poi i tedeschi fanno brillare alcune mine, che provocano il crollo della casa, e, non paghi, danno fuoco alle macerie. Dopo la strage il brigatista nero Mario Renier apporrà un cartello con su scritto «Qui abitava una famiglia di partigiani e assassini».

Ma la sete di morte, però, non si è ancora placata. Un’altra casa e un’altra famiglia diventano vittime dei criminali nazifascisti. Si tratta dei Foletti, la cui unica colpa è quella di abitare nella casa di fronte, al di là della strada. «Andarono in fondo al podere a prelevare i miei familiari e il garzone», racconterà Annunciata Foletti, scampata al massacro.

Vengono catturati i fratelli Adamo, Angelo e Antonio, insieme al loro lavorante, Giuseppe Cavallazzi di Mordano. «Li portarono nel cortile: volevano che dicessero dov’erano partigiani. Loro non rispondevano, forse non sapevano e se qualcuno sapeva, taceva. Erano furenti. Li minacciavano e li colpivano, poi vennero allineati con la schiena contro la porta della stalla… Vennero falciati a raffiche di mitra e il fienile fu incendiato sopra di loro. Spararono tedeschi e fascisti. Morirono così anche i due ragazzi che erano stati costretti a scavare le buche per gli esplosivi nella casa dei Baffé».

Ma l’orrore non è ancora finito. «Mio zio, Giuseppe Foletti, di novant’anni – racconta ancora Annunciata – era rimasto in casa nascosto. Venne trovato e portato fuori. Alla vista del massacro tentò di inveire, ma uno di quei delinquenti lo infilò in cima ad un forcale e lo buttò vivo in mezzo alle fiamme dove morì orrendamente».

Quel tragico 17 ottobre 1944, alla morte del partigiano Gastone Scardovi si sono così aggiunte le vite dei Baffé e dei Foletti e di chi era con loro. In un solo giorno 23 persone morirono a causa della spietata rabbia nazifascista. Pochi giorni dopo i carnefici, alla notizia della liberazione di Cervia (distante meno di 50 chilometri), fuggiranno di nuovo da Massa Lombarda per non tornare mai più.

NELLE FOTO: GIUSEPPE BAFFE' E LA POSA DI UNA CORONA ALLA LAPIDE
CON L'ELENCO DEI CADUTI POSTA NELL'ATTUALE CASA BAFFE'