E’ l’8 dicembre 1944. Da qualche giorno i soldati inglesi della 1ª Brigata guardie e della 6ª Divisione corazzata hanno cacciato i tedeschi e liberato Fontanelice. In paese c’è un po’ più di animazione. Da tempo immemore si usa festeggiare la Madonna dell’Immacolata concezione con una messa solenne e un rito pubblico, il falò in piazza. Dalle montagne circostanti sono scesi giù gli sfollati, con l’ansia di ritrovare un abito, una coperta, qualche utensile, la loro casa.
Ma nell’aria c’è la sensazione di vivere un momento importante. La sede dell’asilo parrocchiale è stata ripulita dai calcinacci, dai resti dei bivacchi dei soldati di passaggio, dalla desolazione. Si è riempita in fretta. La comunità si è data appuntamento per infondersi coraggio, per ritrovare la forza di ricominciare. Ci sono i rappresentanti del Cln locale (escluso don Bianconcini, sfollato altrove), il segretario comunale Angelo Guerrini, un gruppo di partigiani, contadini, operai del comune, qualche artigiano.
Sono le ore 10. Ecco, arriva il governatore alleato, il maggiore George Burbury, l’autorità a cui spetta l’arduo compito di risolvere i problemi della popolazione civile. Si sistema al centro. Al suo fianco il maggiore Mucklow, l’ufficiale responsabile della sicurezza di questo territorio. Alto, massiccio, dai tratti aristocratici, fiero della sua appartenenza al Corpo dei granatieri, un corpo scelto che nell’Inghilterra della monarchia ha il privilegio unico di fornire le guardie della regina.
Il Cln locale, in quanto legittimo rappresentante del governo di Roma, per bocca del suo presidente propone al Governatore di eleggere il sindaco di Fontanelice col compito di coadiuvare le autorità alleate a mantenere l’ordine e ad iniziare l’opera di ricostruzione del paese secondo le legittime aspirazioni della popolazione. Silvestrini fa il nome del candidato: Giulio Pallotta. Dalla sala giungono segni di approvazione.
Burbury si alza in piedi, apre una Bibbia che tiene sul tavolo e nel suo italiano impreciso pronuncia una formula che suona più o meno così: «Giulio Pallotta, giura nel nome di Dio di essere degno di questa nomina, di rispettare la legge e di servire il tuo paese al di sopra di ogni spirito di parte».
«Era una procedura anomala per noi – racconterà poi lo stesso Pallotta rievocando quegli avvenimenti –. Ma, per riguardo alla loro tradizione, mi alzai in piedi, posai la mano sulla Bibbia e giurai. Burbury scrisse il mio nome su un foglio, appose un timbro, la firma e me lo consegnò. Erano le mie credenziali. Ero sindaco. Al mio fianco, Giuseppe Silvestrini e Luigi Casadio».
Giulio Pallotta, figlio di Antonio e Bianca Collina, era nato il 7 aprile 1911 a Fontanelice. Falegname, aveva prestato servizio militare in artiglieria a Roma con il grado di sergente dal marzo 1941 al settembre 1943.
Formatosi politicamente alla scuola degli antifascisti locali, Domenico Grilli e Cleto Mainetti, i quali, nonostante le persecuzioni, gli arresti, i soprusi, avevano continuato instancabilmente ad opporsi alla dittatura, dopo l’8 settembre 1943 insieme con alcuni compagni aveva recuperato le armi abbandonate, aiutato i militari italiani sbandati, e nascosto i prigionieri alleati fuggiti. Tra cui 3 militari che, con l’aiuto di Paolo Baruzzi, erano stati condotti alla banda Corbari.
Pallotta aveva poi fatto parte del Cln di Fontanelice, organismo al quale, durante l’occupazione nazifascista, era stato assegnato il compito di provvedere al vettovagliamento dei nuclei partigiani operanti lungo la Montanara. E dal settembre al 29 novembre 1944, giorno dell’arrivo degli alleati, era spettato al Cln provvedere anche alla direzione della vita amministrativa e pubblica di Fontanelice «divenuta terra di nessuno» dopo la partenza del nucleo dei carabinieri per la morte del maresciallo.
«A fine novembre Libero venne ad avvisarmi che Fontanelice era stata liberata. Dovevo correre a Castel del Rio, presentarmi dal governatore civile, offrire la mia collaborazione ed organizzare gruppi di operai che ripulissero il paese. E ricordo che mi disse: “Giulio, mi raccomando, non dire che sei un comunista. Se ti chiederanno di che partito sei, rispondi che sei solo un lavoratore».
L’8 dicembre 1944 Giulio Pallotta viene nominato sindaco con l’approvazione dell’Allied military government. «Fu il primo incarico che gli alleati diedero ai componenti del Cln nella valle del Santerno a cui fu affidata la gestione amministrativa». A partire dal Natale 1944, a causa dei continui bombardamenti tedeschi, gli abitanti e gli uffici comunali vennero trasferiti nella zona di Boschi di Gaggio, dove rimasero sino all’aprile del 1945.
Alla Giunta fu affidato il compito di provvedere al vettovagliamento della popolazione. Racconta lo stesso Pallotta nel libro «… per essere libere…», scritto dalla partigiana Livia Venturini: «Eravamo una massa di gente: 3.200 abitanti del paese e altri 1.500 sfollati di Borgo Tossignano e della vallata del Santerno. Malgrado ciò avemmo la possibilità di vivere, sia pure in modo precario, in tutte le case e in tutti i rifugi, grazie allo spirito di collaborazione, di abnegazione, di sacrificio, di comprensione della popolazione rurale, che si prestò in ogni modo possibile».
«Facemmo il censimento delle granaglie e dei capi di bestiame per avere un riferimento sicuro. I contadini diedero di buon grado i viveri dietro consegna del “buono” rilasciato dall’amministrazione comunale. Per la macellazione dei maiali avevamo poi mantenuto la regola della consegna dei grassi. Non si sottrasse nessuno e raccogliemmo ben 23 quintali di lardo. In tal modo si poté provvede al razionamento dei viveri da destinare alla popolazione, consentendo in tal modo di giungere all’aprile senza sopportare fame e disagi».
Ed al riguardo – continua Pallotta – «voglio raccontare l’episodio dello zucchero. Gli alleati lo facevano giungere da Livorno per la popolazione locale in ragione di cento grammi a testa: erano tre quintali e duecento per le 3.200 unità del paese. E allora dissi: “E a quelli di Borgo Tossignano non diamo niente? Possiamo lasciare donne e bambini senza zucchero? Invece di cento grammi, ve ne do settanta. Siete d’accordo? Nessuno disse di no. Sono cose che non puoi dimenticare».
Un giorno, tornando da Casola Valsenio, Burbury si girò verso Pallotta e gli chiese a bruciapelo: «Ma lei è italiano? E’ italiano lei?». «Certo che sono italiano, sono nato qui!», rispose interdetto Pallotta. «Strano, molto strano», commentò il governatore seguendo i suoi pensieri. E aggiunse a chiosa finale: «Qui è un’altra Italia!». Quel giorno iniziò una lunga amicizia.
Giulio Pallotta, a guerra finita, verrà riconosciuto partigiano del 4° Battaglione della 36ª Brigata Garibaldi «Bianconcini» dal 9 settembre 1943 al 4 ottobre 1944. E verrà confermato sindaco nel 1946, in occasione delle prime elezioni amministrative che si svolgeranno nell’Italia libera.
L’ANPI ED IL COMUNE DI FONTANELICE NEL 2011, IN OCCASIONE DEL CENTENARIO DELLA NASCITA, HANNO COLLOCATO UNA LAPIDE COMMEMORATIVA SUL MURO ESTERNO DI QUELLA CHE ERA STATA LA CASA DI GIULIO PALLOTTA, NEL CENTRO DEL PAESE, DOVE L’EX SINDACO AVEVA VISSUTO E LAVORATO COME FALEGNAME GIULIO PALLOTTA AL SUO TAVOLO DI LAVORO IN MUNICIPIO A FONTANELICE NEL 1983