Fiori per i partigiani che persero la vita a Fiumane di Modigliana

Fiori per i partigiani che persero la vita a Fiumane di Modigliana

Sabato 21 ottobre si è svolta una deposizione di fiori al cippo che a Fiumane di Modigliana ricorda i partigiani Andrea Gualandi, Angela Giovannini e Stefano Svesch, che persero la vita in quel luogo 79 anni fa. Qui di seguito pubblichiamo il racconto di quanto accadde allora, tratto da «Partigiani nella linea Gotica», libro scritto da Nazario Galassi, «Rullo», partigiano nella 36ª Brigata Garibaldi «Alessandro Bianconcini» col ruolo di commissario politico di compagnia.

L’antefatto è la sfortunata battaglia di Purocielo, dove due battaglioni della 36ª Brigata Garibaldi, guidati dal comandante Luigi Tinti, «Bob», e forti di 700 effettivi, per tre giorni tentarono vanamente di sfondare la prima linea tedesca e raggiungere così le truppe alleate. Poi, per evitare l’annientamento, decisero di sottrarsi all’accerchiamento nemico intraprendendo una lunga ed estenuante marcia notturna tra i monti e le valli dell’Appennino tosco-romagnolo. Marcia che, purtroppo, costerà loro la perdita di altre vite.

Racconta Galassi nel capitolo «Il passaggio del fronte»: «La sera del 13 ottobre, quando fu buio, i due battaglioni partirono da Cavina nel più assoluto silenzio: in testa il comando, poi le compagnie una dopo l’altra in fila indiana.

L’equipaggiamento faceva pena, ridotto ormai a degli stracci laceri e fangosi. In quelle condizioni non ci poteva difendere nemmeno dal freddo. Quando si cammina è difficile avere freddo, il problema grosso erano le scarpe. Dire che molti le avevano a pezzi non si esagera. Due della mia compagnia, scalzi, si erano fasciati i piedi con non so cosa.

Perduta la parte maggiore del bestiame da soma, si erano distribuite le cibarie fra i singoli. I feriti erano stati caricati sui cavalli rimasti, mentre quelli che potevano reggersi si aiutavano con bastoni o si aggrappavano ai compagni.

Alla Torre di Fognano, poco prima di mezzanotte incontrammo Palì, il più pratico di quei luoghi, a farci da guida. Il passaggio della strada di Faenza non dette problemi, ma il guado del Lamone, quasi in piena per le recenti piogge, ci portò l’acqua sopra i ginocchi e consegnò i piedi alla melma.

Intanto la quartana era rientrata nel corpo di Bob senza chiedergli il permesso. Anche Palì aveva la febbre da giorni. Ma lo sapeva solo Nerio, come sempre pieno di energie, che nei tratti più duri si caricò Bob sulle spalle. Verso l’alba ci distribuimmo per la sosta di giornata nelle case disposte attorno all’altura della chiesa di Casale di Modigliana, in territorio non controllato dai tedeschi.

La seconda notte di cammino, tra il 14 e il 15 ottobre, Bob, spossato, bussò alla porta della canonica di Santa Caterina, chiesa situata sopra la borgata di Fiumane, a 4 chilometri da Modigliana. Il parroco stesso, don Vincenzo Becattini, ha raccontato di quell’incontro.

Subito di là dal punto dove la mulattiera scende sulla rotabile fra Modigliana e Tredozio, via Lutirano, il corso del sottostante torrente Acerreta descrive un’ansa fino a lambire la strada con uno strapiombo verticale di pura roccia, profondo non meno di 20 metri, senza alcun appiglio o sbarramento o indicazione, solo limitato sul ciglio da cespugli che lo nascondono alla vista.

Era attorno alla mezzanotte. C’era nebbia, ma non tanta da impedire una discreta visibilità, tenuto conto dell’ora. Bob, come di consueto, aveva posto due pattuglie di tre uomini a 60-70 metri ai lati del punto di passaggio, dove egli si collocò. Gli altri del comando, affrettatisi sulla testa della colonna, andarono diritti incontro al burrone.

I primi, Andrea Gualandi (Bruno) e Angela Giovannini, precipitati dal punto più alto, morirono subito. Corrado, il dottor Angelo, Topi, Consilia e qualche altro dovettero a una deviazione l’essersela cavata con fatture alle costole o ferite leggere al volto. Uno slovacco, Stefano Svesch, con una gamba spezzata, si nascose nel greto fino a giorno, quando cercò aiuto dai contadini. Ma fu catturato, condotto a Pieve di Tussino e fucilato il giorno stesso».