Pubblico numeroso e partecipe quello che ha assistito alla presentazione del nuovo libro (Bacchilega editore) che lo scrittore imolese Benito Benati ha voluto dedicare a Carlo Nicoli, partigiano comunista «troppo bravo per non essere cacciato» dalla reazione politica e datoriale anti-partigiana e anti-comunista del dopoguerra, malgrado i meriti acquisiti sul campo di battaglia, il carisma di cui godeva presso le maestranze e le indubbie doti di progettista e manager.
Benito Benati ha lavorato per molti anni alla Sacmi, ricoprendovi il ruolo di direttore amministrativo e avendo avuto proprio Carlo Nicoli come collega di lavoro. «Ho incontrato Nicoli per la prima volta alla fine di maggio 1967. L’ingegner Villa mi chiamò nel suo ufficio. Mi disse: “Questo è Carlo, Carlo Nicoli. Puoi dargli del tu. Da lunedì lavora con noi all’ufficio tecnico”. Il mio libro – ha spiegato Benati – è un piccolo omaggio ad una persona speciale alla quale sono debitore di tanti colloqui, quelli del venerdì sera, a fine orario di lavoro, che certamente conserverò a lungo nella mia memoria».
E ancora: «”Imola non fu mai ingrata a chi la servì”. Se questo motto è ancora valido, e mi auguro che lo sia, esistono almeno due ragioni, fra le molte, perchè Imola sia grata a Carlo Nicoli. La prima: Nicoli, coi 60 ragazzi che portò in montagna, diede un contributo decisivo ad evitare lo sfaldamento della 36ªbrigata Garibaldi, che si era costituita da poco. La seconda: nel dopoguerra Nicoli ha dato un contributo decisivo alla ricostruzione della Cogne devastata dai bombardamenti alleati, stabilimento che nei decenni successivi darà lavoro e stipendi a centinaia di lavoratori della città».
La 4ª brigata partigiana che nell’aprile del 1944 si era costituita nell’Appennino tosco-romagnolo nella primavera di quell’anno aveva subìto due duri colpi: il 10 maggio il suo capo carismatico, Giovanni Nardi, il partigiano «Caio», era caduto in una imboscata tesa dai repubblichini nei pressi di Casetta di Tiara ed era stato ucciso assieme ai sette compagni che erano con lui; il successivo 14 giugno, in uno scontro con un reparto tedesco, era stato ucciso il comandante della brigata, Libero Lossanti, il «capitano Lorenzini».
«La brigata, privata dei suoi comandanti, fu sul punto di sfaldarsi – ha ricordato Benati –. Ma a ridare fiducia fu l’arrivo di 60 giovani guidati da Carlo Nicoli, ai quali, due settimane dopo, se ne aggiunsero altri 40 guidati da Vico Garbesi». La formazione partigiana, poi ribattezzata 36ª brigata Garibaldi «Alessandro Bianconcini», in onore dell’antifascista e partigiano imolese fucilato il 27 gennaio del 1944 al tiro a segno di Bologna, diventerà una delle brigate più forti e agguerrite dell’Appennino tosco-romagnolo e il comando di uno dei suoi quattro battaglioni verrà affidato proprio a Nicoli.
All’indomani del 25 aprile 1945 Carlo Nicoli venne incaricato dal Cln di ricostruire la Cogne, l’azienda più importante della città. «La Cogne di Aosta, appartenente allo Stato, proprietaria dell’azienda imolese – ha raccontato l’autore –, si rifiutava di farsene carico. Allora Nicoli, con l’aiuto dei suoi partigiani, dei sindacati, dei partiti che facevano parte del Cln, della Cassa di Risparmio e della grande maggioranza dei cittadini, riuscì egualmente nell’impresa. In tempi molto rapidi, che oggi appaiono quasi incredibili, ricostruì l’azienda e la dotò di una nuova produzione, accolta con favore dal mercato».
«Di fronte alla rinascita dell’azienda, la proprietà, che fino ad allora se ne era totalmente disinteressata, decise di riprendersela, sottraendola alla gestione del gruppo dei “ricostruttori” guidati da Nicoli. Ne nacque un’aspra contesa al termine della quale la “Nazionale Cogne”, facendo valere i suoi diritti “proprietari”, trasferì Nicoli a Milano in un ufficio-confino, isolato dal suo ambiente e dalla base operaia. Oggigiorno verrebbe chiamato mobbing e lo scopo era di stremarlo, di portarlo alla disperazione e alle dimissioni, cosa che poi avvenne».
«La sua espulsione dalla Cogne di Imola, l’azienda che egli aveva fatto rinascere, è uno dei tanti episodi di repressione anti-partigiana, anti-operaia e anti-sindacale che in Italia caratterizzò i 15 anni successivi al 1945, durante i quali le forze del Capitale e la destra politica tentarono, spesso riuscendovi, di riconquistare il potere perduto durante la Resistenza. Da tutto ciò e dal brutale ostracismo ricevuto, Nicoli venne duramente colpito nella sua personalità e nelle sue prospettive esistenziali. Si aggiunga infine l’acuta percezione del “tradimento” di molti degli ideali della Resistenza e del progressivo venir meno dei presupposti della sua militanza politica e sociale ai quali aveva dedicato tanto lavoro e sopportato tanti sacrifici».
Carlo Nicoli ha posto fine alla sua vita il 24 aprile 1969, alla vigilia della Festa della Resistenza e della Liberazione, una data scelta non a caso. «Avendo avuto il privilegio di conoscerne la elevata statuta di intellettuale, il suo rigore morale e i suoi alti ideali umani – ha concluso Benati, non nascondendo la commozione – penso di avere compreso, almeno in parte, la sua “fatica di vivere”».
Benito Benati ha ricoperto incarichi di amministratore e revisore dei conti in imprese cooperative, società di capitale ed enti pubblici. Nel 1965 è stato nominato direttore amministrativo della Sacmi di Imola, carica che ha mantenuto fino al 1993, quando ha assunto la funzione di controllore del gruppo cooperativo, ruolo ricoperto fino alla fine del 1998.
Si è dedicato allo studio della Economia della partecipazione (imprese partecipate dai lavoratori), approfondendo in particolare gli aspetti giuridici, economici e sociali delle cooperative industriali italiane, dell’azionariato dei dipendenti negli Stati uniti d’America e della codeterminazione tedesca. Negli ultimi tempi si è dedicato allo studio e alla divulgazione della storia locale, dell’antifascismo e della Resistenza.