La rocca sforzesca è un castello di età medievale che sorge nel centro della città di Imola. L’edificio, costruito sui resti di un torrione preesistente, durante il XV secolo assunse la struttura attuale, caratterizzata dai quattro torrioni perimetrali e dal mastio. Oltre agli scopi difensivi, quelle mura già allora servirono anche come prigione.
Funzione di prigione che divenne predominante dopo il passaggio di Imola sotto il diretto dominio pontificio, quando la rocca perse la sua originale funzione difensiva, divenendo carcere. Funzione che fu mantenuta anche dopo il passaggio di Imola al Regno d’Italia.
Durante il secondo conflitto mondiale, e in particolare dopo l’8 settembre 1943, le celle della rocca sforzesca furono utilizzate per incarcerare gli oppositori politici e come luogo di tortura. Da qui vennero prelevati prigionieri che furono poi uccisi a Imola, presso il podere «La Rossa» e nello stabilimento «Becca», e a Bologna, presso il poligono di tiro e i ruderi della stazione ferroviaria di San Ruffillo. La rocca rimase in funzione come carcere fino al 1958.
Nel cortile interno, subito dopo l’ingresso, una lapide – lì apposta il 14 aprile 2005 in occasione del 60° della Liberazione – ricorda ai visitatori che «in questa Rocca, allora carcere, 278 uomini e donne per mani nazifasciste subirono persecuzioni e torture o furono avviati a fine atroce al poligono di tiro e a San Ruffillo di Bologna, al podere “La Rossa” e a “Pozzo Becca” di Imola, nei lager di sterminio».
Le celle della rocca durante la guerra – scriverà in un suo libro lo storico e partigiano Nazario Galassi – «non erano più luogo di espiazione e segregazione punitiva, ma un luogo di martirio al comando di feroci inquisitori che disponevano a loro agio e piacere dei malcapitati. (…) Per ottenere confessioni o delazioni, gli arrestati erano sottoposti a gravi atti di tortura, quali vergate sul corpo, essere costretti a camminare nudi all’aperto in pieno inverno, bagni in acqua bollente o ghiacciata, ferimenti con armi da taglio e così via. Un altro strumento di tortura era poi la fame».
E diversi prigionieri non resistettero. A fianco della prima lapide c’è infatti una seconda lapide con su scritti i nomi dei cinque partigiani morti nella rocca stessa a seguito delle torture loro inferte dagli aguzzini nazifascisti e la data del loro decesso «Qui sono caduti: / Luciano Gardelli / il 28 novembre 1944 / Celso Silimbani / il 28 novembre 1944 / Giosuè Bombardini / il 28 novembre 1944 / Guido Bianconcini / il 12 febbraio 1945 / Alfredo Stignani / il 7 aprile 1945».
NELLE FOTO: LA ROCCA SFORZESCA DI IMOLA E LE LAPIDI CHE RICORDANO CHE,
DURANTE LA GUERRA, FU CARCERE E LUOGO DI TORTURA E DI MORTE.