Dalla Spagna a via Agucchi, la tragica epopea di Alessandro Bianconcini

Dalla Spagna a via Agucchi, la tragica epopea di Alessandro Bianconcini

Bianconcini Alessandro, da Ugo e Lucia Bacchilega, era nato il 7 agosto 1909 a Imola. Diplomatosi alla scuola di musica «Baroncini» di Imola, era divenuto il «professore» in quanto insegnante di violoncello.

Tra il 1935 e il 1944 nel casellario politico centrale viene schedato come «pericoloso comunista». Nel 1929 infatti Bianconcini si era iscritto al Partito comunista d’Italia e aveva iniziato a svolgere attività antifascista clandestina tra i giovani lavoratori, divenendo segretario della Gioventù comunista imolese. Poi, per sfuggire alle rappresaglie fasciste, nel settembre 1935 era dovuto emigrare in Francia, ove svolse attività nelle strutture antifasciste del Fronte popolare e del Soccorso rosso internazionale.

Il 28 settembre 1936 Bianconcini entra in Spagna per sostenere il Governo legittimo della Repubblica democratica spagnola dopo il colpo di Stato avvenuto il 17 luglio di quell’anno ad opera di forze nazionaliste guidate da una giunta militare. Dall’inizio di settembre era infatti cominciata la costituzione delle «brigate internazionali» composte da volontari provenienti da tutti i continenti. Nell’ottobre Alessandro si arruola nel battaglione italo-spagnolo Garibaldi, uno dei quattro battaglioni che compongono la 12ª brigata internazionale, e viene inquadrato col grado di sergente nella 2ª compagnia «Fernando De Rosa».

I volontari italiani della 12ª brigata internazionale entrano in azione il 13 novembre 1936 sul fronte di Madrid. La situazione è disperata, i difensori faticano a reggere l’urto dei nazionalisti. Così, mentre si stanno ancora addestrando all’uso delle mitragliatrici, per i garibaldini arriva l’ordine di partire subito. E’ necessario alleggerire la pressione nemica sulla capitale.

Così, nel pomeriggio, il battaglione Garibaldi parte all’attacco del Cerro de los Angeles, un’altura di 659 metri, sulla cui sommità sorge un santuario fortificato dai militari ribelli. I garibaldini salgono il pendio correndo sotto un violento fuoco di mortai e mitragliatrici, raggiungono il muro di cinta, ma lì sono bloccati.

L’attacco è fallito, ma un risultato è stato ottenuto: i nazionalisti hanno fatto affluire rinforzi sottraendoli dalle colonne che assediano Madrid, diminuendo così la pressione sulla capitale. Dopo aver soccorso i feriti e dato sepoltura ai morti, il battaglione riceve l’ordine di raggiungere Madrid, dove i nazionalisti stanno scatenando un’offensiva nel settore nord e nord-est ed hanno occupato il sanatorio di Bellas Vistas alla periferia della città.

La brigata viene schierata a Pozuelo de Alarcón, municipio prossimo alla capitale nel cui territorio si trova la città universitaria, in parte già occupata dai franchisti. I garibaldini prendono posizione nel convento di Sant’Anna di Pozuelo, ancora abitato da suore francesi. Il 15 novembre iniziano i combattimenti.

I volontari garibaldini respingono gli attaccanti e contrattaccano all’arma bianca obbligando i veterani delle truppe nordafricane a ritirarsi sulle posizioni di partenza. Il generale Kléber, comandante della 12ª brigata internazionale, invia un telegramma al comandante di battaglione Randolfo Pacciardi per complimentarsi con lui, ove afferma di essere «particolarmente fiero di comandare un’unità come il battaglione Garibaldi».

Il 23 novembre il generalissimo Franco sospende gli attacchi alla capitale. I difensori, per ora, hanno vinto. Le forze repubblicane assieme alle brigate internazionali e allo stoicismo della popolazione madrilena sono riuscite a fermare l’Armata d’Africa nei pressi della città universitaria, a pochi chilometri dal centro città. Per la prima volta dall’inizio della guerra le truppe venute dal Marocco sono state bloccate.

Vittoria che merita ai garibaldini italiani il pubblico encomio del commissario politico Luigi Longo: «Grazie alle splendide azioni effettuate dal battaglione Garibaldi noi possiamo dire che, dopo quattro giorni di resistenza, i violenti attacchi del nemico sono stati nettamente spezzati e le nostre linee sono più solide che mai. Lo spirito d’iniziativa dimostrato dal battaglione Garibaldi, il quale ha saputo cementare intorno a sé tutte le altre forze di Pozuelo, comprova l’alta capacità rivoluzionaria delle masse popolari italiane».

Nella battaglia di Pozuelo, Bianconcini viene però ferito gravemente al torace ed è costretto alla degenza. Ma non riesce a stare fermo. Nel dicembre un suo discorso indirizzato ai compagni imolesi viene trasmesso da radio Barcellona, l’emittente repubblicana dove lavora il concittadino Ezio Zanelli.

Dopo alcuni mesi di ospedale in terra di Spagna, nell’aprile 1937 Alessandro rientra in Francia per la prosecuzione delle cure necessarie. Ed anche lì, infaticabile, si impegna per la Spagna repubblicana collaborando col locale Comitato di aiuto. Nel gennaio 1939 viene ricoverato per nuove cure nel sanatorio di Fontainbleau, nei pressi di Parigi, da dove viene dimesso un anno dopo.

Nella capitale francese incontra Adelfa Rondelli, antifascista di Bentivoglio, dirigente dei Gruppi di difesa della donna, che verrà insignita della Croce di guerra al Valor militare e che diventerà sua moglie. «Ho conosciuto Alessandro a Parigi, a una festa popolare – racconta lei in un’intervista pubblicata sul libro “La Resistenza a Imola e nel suo circondario” -. Era al centro dell’attenzione perché era appena tornato dalla Spagna, dove aveva combattuto come volontario. Mi avvicinai e mi invitò a ballare. Poi, al mattino, mi accompagnò a casa. Dopo qualche tempo venne a vivere con me. Era un reduce e non possedeva niente. Guadagnava qualcosa facendo ciò che gli capitava. Non aveva nemmeno i documenti, così ogni tanto lo arrestavano».

Per lui, infatti, la libertà durerà poco. Nel febbraio viene arrestato e sconta un mese di carcere duro. Poi i tedeschi occupano Parigi e alla vigilia di Natale del 1941 viene nuovamente arrestato, stavolta dalla polizia nazista, e rinchiuso per 7 mesi nel carcere di La Tourel. «Non posso dimenticare la solidarietà quando il giovedì e la domenica andavamo a trovare i prigionieri – ricorda la compagna -. Tanta gente portava del cibo, che poi dividevamo, così tutti riuscivano a mangiare. Addosso nascondevo dei biglietti, così potevo fornirgli delle informazioni. Che paura quando mi perquisivano!».

Nel luglio 1942 Bianconcini venne tradotto in Italia e rinchiuso prima nel carcere piemontese di Susa e poi in quello di San Giovanni in Monte, a Bologna, dove subisce vessazioni di ogni tipo.

Nel settembre successivo gli vengono inflitti 5 anni di confino. «Lo seguii a Ventotene, dove il 15 maggio del ’43 ci siamo sposati – racconta ancora la moglie -. C’erano Nella Baroncini e la figlia di Cicalini. Una bambina mi portò i fiori. La gente del posto pensava fossimo ebrei perché non andammo in chiesa. Con la scusa di un mal di pancia prolungai il soggiorno di una settimana, ma poi fui costretta a tornare a Imola».

Caduto Mussolini, Bianconcini venne liberato il 23 agosto 1943. Torna a Imola, dove partecipa alla ricostruzione della sezione del Partito comunista e di altri organismi antifascisti. Dopo l’8 settembre 1943 è tra i primi organizzatori della Resistenza, prima nella Guardia nazionale, poi nei Gap, i Gruppi di azione patriottica. Catturato fortunosamente dalle brigate nere, il 9 gennaio 1944 viene incarcerato nella rocca sforzesca di Imola. «Quando andai a portargli da mangiare non c’era più», racconta ancora Adelfa. Assieme ad altri detenuti era stato trasferito nel carcere di San Giovanni in Monte. «Così – continua – andai da Fernanda. Volevamo recarci a Bologna per intercedere a favore dei nostri uomini. Ma quando sapemmo del federale morto, capimmo che le speranze di salvezza erano poche. Con lui c’erano anche il professor D’Agostino e i fratelli Bartolini».

Infatti, mentre si trovava ancora detenuto nella rocca di Imola, il 26 gennaio 1944 tre gappisti bolognesi avevano ucciso in un agguato il federale Eugenio Facchini, riuscendo poi a fuggire. Il giorno stesso, a scopo di rappresaglia, dieci antifascisti tra quelli già incarcerati a Bologna e Imola vengono così sottoposti ad un giudizio sommario da parte di un «tribunale speciale di guerra», costituito appositamente, che emette dieci condanne a morte. Una di queste è a carico di Bianconcini.

Alessandro Bianconcini, che risulta immatricolato a San Giovanni in Monte il 26 gennaio 1944, con la matricola 9288, a disposizione dell’Ufficio politico della Questura di Bologna, viene scarcerato il 27 gennaio 1944 per essere condotto alla fucilazione al poligono di tiro cittadino assieme a sette degli altri condannati, in quanto per i restanti due la pena capitale era stata tramutata in una lunga pena detentiva.

Adelfa Rondelli lo ricorda così: «Era una persona intelligente e molto dolce. A Parigi spesso suonava per me il violoncello. Era anche una persona semplice. Un giorno mentre passeggiavamo per Imola qualcuno lo ha salutato: “Buonasera professore”. “Ma come Sandro, tu sei professore?”. “Sì, di musica”. “Perché non me lo hai mai detto?”… La sera mi leggeva i libri di Lenin e poi ne discutevamo insieme. Io avevo fatto solo la quarta elementare e vivevo in campagna. Ma lui non mi faceva mai sentire inferiore, approfittando della sua istruzione. Non mi ha mai trascurato per la politica. E io ho cercato di sostenerlo nei momenti difficili e sono stata tanto orgogliosa di lui. Dopo la sua morte sono tornata a Bologna, la mia città. La sua ultima lettera me l’ha portata tanto tempo dopo un prete che ha assistito alla sua fucilazione. Cosa si sono detti non lo so, ma se conosco mio marito hanno discusso di politica. Dopo la liberazione l’ho riconosciuto tra i morti dalle scarpe che si era risuolato da solo unendo due cuciture».

In suo onore, quella che era nata come 4ª brigata Garibaldi, operante sulle montagne imolesi, dall’agosto 1944 assumerà il nome di 36ª brigata Garibaldi «Alessandro Bianconcini». Dopo la fine della guerra, l’apposita commissione regionale riconoscerà la sua partecipazione attiva alla Resistenza dall’1 ottobre 1943 al 27 gennaio 1944. E’ ricordato nel sacrario di piazza del Nettuno, a Bologna, e in sua memoria l’Amministrazione comunale di Imola gli ha dedicato una strada della città.

NELLE FOTO: ALESSANDRO BIANCONCINI CON ALTRI VOLONTARI GARIBALDINI IN SPAGNA