La cerimonia commemorativa svoltasi il 2 maggio, dedicata ai lavoratori dell’azienda Cogne morti durante il secondo conflitto mondiale, con deposizione di corone e fiori presso il cippo monumentale che li ricorda, è stata anche l’occasione per riallacciare il passato di questa azienda storica di Imola al presente. Un presente che, purtroppo, vede i pochi lavoratori rimasti chiamati ancora alla lotta.
La storia della Cogne inizia nel 1938. «In previsione della guerra – scrive Andrea Pagani sul suo libro «Cogne Imola. Storia di un movimento operaio» – alla realtà di Imola viene assegnato un ruolo importante e imprevisto. La Società nazionale Cogne, con direzione a Torino ma con centro operativo ad Aosta, sceglie Imola per impiantarvi una nuova fabbrica di armi.
Certamente – continua Pagani – in quel momento la gente di Imola e del comprensorio non se ne rende conto, ma la costruzione di quella fabbrica avrebbe cambiato profondamente l’assetto economico e sociale della città, ponendo le basi di quella fisionomia industriale avanzata che ancora oggi caratterizza la realtà economica imolese».
Si trattava di un poderoso complesso meccanico attrezzato con impianti modernissimi per quegli anni, capace di creare occupazione per i diplomati della scuola Alberghetti, che per trovare lavoro erano costretti ad emigrare verso centri più a nord, maggiormente industrializzati. Per la città di Imola si determinò dunque una svolta decisiva.
La produzione cominciò il primo settembre 1939. La Cogne era un’azienda bellica: produceva su commessa parti di cannone e proiettili. Il 13 maggio 1944 venne pesantemente bombardata dall’aviazione alleata assieme alla vicina stazione ferroviaria e all’abitato di Imola. Cesserà la produzione il successivo 7 luglio quando una bomba distruggerà tutta l’apparecchiatura elettrica della cabina di trasformazione e le schegge danneggeranno seriamente i trasformatori. All’avvicinarsi delle truppe alleate i militari tedeschi tenteranno di portare via i macchinari ancora funzionanti, ma vi riusciranno solo in parte perché i lavoratori ne avevano già nascosta la maggior parte nei fienili e in altre strutture rurali circostanti.
A guerra finita, la risistemazione dello stabilimento gravemente danneggiato dalle bombe vide la partecipazione corale della cittadinanza, con il lavoro spesso gratuito e volontario di centinaia e centinaia di ex operai. I macchinari scampati al conflitto perché nascosti nelle campagne circostanti furono riportati in fabbrica e rimessi in funzione. Abbandonata la produzione di armi, nei decenni successivi l’azienda raggiungerà la leadership a livello internazionale nella progettazione e produzione di macchine per la filatura.
La ricostruzione post-bellica fu per lo più autogestita, con le maestranze che agirono di propria iniziativa e nella più completa indipendenza dai vertici societari, che stavano a Torino e Aosta e che sembravano disinteressarsi della sorte della fabbrica imolese. Alcuni operai più preparati, che avevano avuto un ruolo nel Cln o che lo avevano in seno ad alcuni partiti di massa come il Pci o il Psi, guidarono questa fase. E tra costoro assunse un ruolo di primo piano il comandante partigiano Carlo Nicoli.
Dopo la Liberazione, Nicoli era tornato alla Cogne, di fatto andandovi a ricoprire il ruolo di direttore grazie alle proprie indubbie capacità manageriali e organizzative ed al prestigio di cui godeva presso le maestranze e nel territorio, diventando così protagonista indiscusso della rinascita dell’importante azienda meccanica. Ma la «guerra fredda» tra blocchi ideologici, politici e militari contrapposti divenne ben presto dominante, facendo sentire i suoi effetti anche alla Cogne.
Nel 1949 la direzione torinese riprese in mano la conduzione dello stabilimento di Imola, dando avvio a un’ondata di trasferimenti e di licenziamenti che andranno a colpire quella parte di maestranze più legata a quel mondo partigiano comunista e socialista che era stato artefice della lotta di Liberazione.
E l’epurazione politica iniziò proprio da Nicoli, che venne trasferito nel polo produttivo che la Cogne aveva a Milano, assegnandogli un ruolo dequalificante, e dai collaboratori a lui più vicini. Fino ad arrivare al licenziamento di ben 162 lavoratori il 7 ottobre 1953, quasi tutti militanti comunisti, socialisti, ex partigiani e iscritti alla Cgil. in ossequio a quella «immunizzazione dal virus comunista» voluta dalla direzione generale del gruppo industriale.
E siamo all’oggi. «In questi mesi stiamo vivendo una vertenza che rischia di chiudere definitivamente quel poco che è rimasto della Cogne ad Imola – ha spiegato Marco Valentini, segretario della Fiom-Cgil di Imola, intervenendo durante la cerimonia commemorativa –. La Sant’Andrea di Novara, l’azienda che ha acquisito il marchio e lo stabilimento di Imola, ha deciso infatti di chiudere definitivamente il magazzino rimasto, dove sono occupati gli ultimi sei lavoratori. E’ l’ennesimo colpo per la città, e non solo dal punto di vista occupazionale, perché – ha rimarcato Valentini – stiamo parlando non solo dell’azienda Cogne, ma di un intero movimento industriale ed operaio ad Imola».
«Più volte – ha continuato Valentini – la Fiom ha ricordato alla dirigenza della Sant’Andrea che dietro a quei lavoratori che rischiano il posto c’è la storia della Cogne di Imola, con le sue donne e uomini, che siamo qui oggi a commemorare con questa cerimonia, che con il loro sacrificio hanno donato a tutti noi, compresi gli stessi dirigenti dell’azienda, la possibilità di vivere in un Paese libero e democratico.
E tra questi uomini – ha concluso Valentini – ricordiamo Bruno Sangiorgi, storico delegato di fabbrica scomparso qualche giorno fa. Tutta la Fiom di Imola, insieme alla Cgil, abbraccia la famiglia e ricorda l’attivismo di Bruno, onorando chi ha speso passione, forza, saggezza e intelligenza per le lavoratrici, i lavoratori e il sindacato. Grazie “Broni”».
E mentre si svolgeva la cerimonia commemorativa in ricordo dei lavoratori della Cogne caduti durante la guerra, presso la camera mortuaria cittadina era in corso proprio il funerale di Bruno Sangiorgi, lungamente delegato sindacale in tale azienda.
«Entrare alla Cogne non è che fosse facile perché c’erano centinaia e centinaia di domande. Io fui assunto il 4 febbraio del 1948, avevo 19 anni – ha raccontato Sangiorgi in un’intervista pubblicata sul libro “Cogne Imola. Storia di un movimento operaio” –. La Cogne era allora un’azienda prestigiosa che ti dava una prospettiva lavorativa. Poi il salario era discreto. L’ambiente interno era buono, si facevano amicizie e c’era solidarietà. Quindi ero contento di entrare in questa fabbrica, anche perché, essendo io senza genitori, ero stato nove anni in un orfanotrofio. Alla Cogne vi erano molti ex partigiani che avevano già una loro preparazione politico-sindacale e che discutevano spesso dei problemi. E sentendo i discorsi di questi miei compagni di lavoro ho cominciato a maturare anch’io un’idea. Così dopo un anno mi chiesero se volevo iscrivermi al Partito comunista».
Sangiorgi, per le sue idee, sarà tra i tanti che vennero licenziati nel 1953. «Imparai di essere stato licenziato – ha racontato ancora nell’intervista – quando tornai a casa dopo una giornata di lavoro. Era arrivata una lettera dell’azienda. Ci rimasi molto male perché quel posto di lavoro era molto importante per me, anche se la paga era già calata un bel po’. In quel periodo per mangiare a mezzogiorno andavo all’Eca (l’Ente comunale di assistenza che ad Imola gestiva le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza generica), dove mi davano un piatto di minestra. Mi ricordo che tante volte andavo a letto con una gran fame perché non avevo una lira.
Sono rimasto disoccupato per sei mesi. Per fortuna l’anno dopo riassunsero una cinquantina di operai, quelli più giovani, e tra questi c’ero anch’io. Mi ricordo che ci chiamò il colonnello Borla, un ex ufficiale dei carabinieri che era stato messo a capo del personale. Ci fece una romanzina. Ci disse che con noi erano stati comprensivi, però dovevamo dimenticarci gli scioperi, che bisognava finirla con agitazioni e proteste. Bisognava lavorare e basta. Il clima interno si fece insopportabile. La gente aveva paura. Un clima che cambierà solo nei primi anni Sessanta, quando vennero assunti nuovi giovani e la direzione fu costretta ad essere meno dura. In quel periodo si può parlare di risveglio della Cogne».
Il 2 maggio si è svolta la cerimonia di deposizione di corone e fiori al cippo monumentale posto all’incrocio fra via Cogne e via Serraglio, ad Imola, area che in passato fu sede della storica fabbrica. Cippo che ricorda i lavoratori dell’azienda Cogne caduti durante la lotta di liberazione dal nazifascismo, in conseguenza degli eventi bellici e del lavoro.
Alla cerimonia sono intervenuti Valter Attiliani, componente del Comitato direttivo dell’Anpi di Imola, il vicesindaco Fabrizio Castellari e Marco Valentini, segretario della Fiom di Imola, la categoria della Cgil che organizza i lavoratori del settore metalmeccanico.
Come ha ricordato il vicesindaco Fabrizio Castellari, la cerimonia è stata l’occasione per onorare la memoria dei lavoratori della Cogne caduti durante la lotta di Liberazione dal nazifascismo e del contributo di tutti i lavoratori alla Resistenza. Per Castellari è stata anche l’occasione per riflettere sulla situazione attuale, con i troppi morti sul lavoro, il lavoro precario o sottopagato. Una situazione che impone la necessità di ripensare al mondo del lavoro, per garantire condizioni di massima sicurezza e prospettive occupazionali certe in particolare per i giovani, nel segno della Costituzione.
«Imola ha ricevuto la Medaglia d’oro al valor militare per l’attività partigiana condotta dalla sua popolazione – ha ricordato Valter Attiliani, componente del Comitato direttivo dell’Anpi di piazzale Giovanni dalle Bande Nere –. Durante il secondo conflitto mondiale un attivo movimento di resistenza si oppose infatti a persecuzioni e uccisioni, alle carcerazioni e alle deportazioni nei campi sterminio, sorti queste riservate a chi si opponeva al regime fascista e all’occupazione nazista. Una generazione di ragazzi e ragazze che con la loro lotta, i loro sacrifici, in molti casi perdendo la vita, ci hanno regalato la libertà. Quella libertà da cui sono poi scaturiti, finita la guerra, il suffragio universale alle elezioni, l’adozione, tramite referendum, della Repubblica e l’adozione della Carta costituzionale, la legge fondamentale dello Stato nella quale sono rappresentati al meglio i valori dell’uguaglianza, della solidarietà, della libertà, della pace. Un patrimonio ideale, questo e tanto altro, di cui noi cittadini dobbiamo essere consapevoli e che va difeso ogni giorno dai tentativi di revisionismo, di censura e dalla svolta autoritaria configurata dalle proposte di Premierato e di autonomia differenziata tra Regioni».