Negli elenchi posti sul cippo che ricorda i lavoratori della Cogne «caduti per la libertà, il lavoro e l’indipendenza» manca però un nome, forse il più importante, che merita di essere ricordato: quello di Carlo Nicoli.
A guerra finita, la risistemazione dello stabilimento gravemente danneggiato dalle bombe vide la partecipazione corale della cittadinanza, con il lavoro spesso gratuito e volontario di centinaia e centinaia di ex operai. I macchinari scampati al conflitto perché nascosti nelle campagne furono riportati in fabbrica e rimessi in funzione. Nel 1946 molti reparti erano già attivi e fabbricavano pezzi di ricambio per biciclette e per moto, lame per affettatrici, ma soprattutto componenti elementari di automazioni industriali. In particolare, nel 1947 fu messa in produzione una filatrice per lana.
Questa fase fu per lo più autogestita, con le maestranze che agirono di propria iniziativa e nella più completa indipendenza dai vertici societari, che stavano a Torino e Aosta e che sembravano disinteressarsi della sorte della fabbrica imolese. Alcuni operai più preparati, che avevano avuto un ruolo nel Cln o che lo avevano in seno ad alcuni partiti di massa come il Pci o il Psi, guidarono questa fase. E tra costoro assunse un ruolo di primo piano proprio Carlo Nicoli.
Dopo avere conseguito il diploma di perito industriale, Nicoli era stato assunto dalla Copparo di Ferrara, poi nel 1940 era passato alla Cogne di Imola in qualità di progettista e vicecapo officina del reparto artiglieria, dove ben presto si era messo in luce per il carisma e le grandi doti tecniche.
Subito dopo l’8 settembre 1943 aveva preso parte alla guerra di liberazione nelle file della Resistenza imolese. Essendosi dimostrato un esperto organizzatore della lotta armata nel 7° Gap, era stato nominato comandante di un battaglione della 36ª brigata Garibaldi, formazione partigiana operante sull’Appennino tosco-romagnolo. E anche in tale ruolo ebbe modo di distinguersi per coraggio e acume militare.
Nel settembre del 1944, quando gli alleati si avvicinarono alla linea gotica, Nicoli aveva occupato coi suoi partigiani della «Bianconcini» le importanti posizioni di Tossignano e Borgo Tossignano. Costretto ad abbandonarle dalla pressione dei nazifascisti, molto superiori in numero e armamento, si era attestato sul monte Battaglia, resistendovi sino al congiungimento con le truppe alleate della V Armata (e per i meriti conseguiti sul campo di battaglia gli era stata conferita la medaglia d’argento al valor militare). Per poter continuare a combattere si era poi arruolato come volontario nella divisione Cremona del rinato esercito italiano, prendendo parte a tutti i combattimenti che il suo reparto aveva sostenuto nell’inverno 1944-45 e nella primavera seguente.
Dopo la Liberazione, Carlo Nicoli era tornato alla Cogne, di fatto andandovi a ricoprire il ruolo di direttore grazie alle proprie indubbie capacità manageriali e organizzative ed al prestigio di cui godeva presso le maestranze e nel territorio, diventando così protagonista indiscusso della rinascita dell’importante azienda meccanica. Ma la «guerra fredda» tra blocchi ideologici, politici e militari contrapposti divenne ben presto dominante, facendo sentire i suoi effetti anche alla Cogne.
Nel 1949 la direzione torinese riprese in mano la conduzione dello stabilimento di Imola, dando avvio a un’ondata di trasferimenti e di licenziamenti che andranno a colpire quella parte di maestranze più legata a quel mondo partigiano e comunista che era stato artefice della lotta di Liberazione.
E l’epurazione politica iniziò proprio da Nicoli, che venne trasferito nel polo produttivo che la Cogne aveva a Milano, assegnandogli un ruolo dequalificante, e dai collaboratori a lui più vicini. Fino ad arrivare al licenziamento di ben 162 lavoratori il 7 ottobre 1953, quasi tutti militanti comunisti, socialisti, ex partigiani e iscritti alla Cgil. in ossequio a quella «immunizzazione dal virus comunista» voluta dalla direzione generale del gruppo industriale. La sera del 24 aprile 1969 Carlo Nicoli si toglierà la vita. Per ricordarlo, Imola gli ha intitolato una via della città.