Appennino tosco-romagnolo: civili vittime innocenti dei rastrellamenti nazifascisti

Appennino tosco-romagnolo: civili vittime innocenti dei rastrellamenti nazifascisti

15 luglio 1944. Un soldato tedesco viene ucciso nei dintorni di Crespino sul Lamone, piccola località dell’Appennino tosco-romagnolo, situata lungo due importanti arterie di comunicazione tra la Toscana e la Romagna: la strada 302 Brisighellese-Ravennate e la ferrovia Faentina. In conseguenza della morte del militare l’abitato viene perquisito dai nazisti in cerca di partigiani.

Nel pomeriggio del 17 luglio una pattuglia tedesca viene presa a fucilate da un gruppo di civili non inquadrati in nessuna formazione resistenziale. Nel corso dello scontro a fuoco rimane ucciso un altro militare germanico, mentre un secondo riesce a fuggire e ad avvisare i propri commilitoni di quanto accaduto. Parte la rappresaglia verso la comunità locale.

Poche ore dopo la sparatoria la frazione di Crespino sul Lamone viene attaccata dagli uomini del 3° Polizei freiwilligen bataillon Italien, un reparto di polizia militare composto da graduati tedeschi e soldati italiani che nel giugno precedente si era reso responsabile della strage di Niccioleta, costata la vita complessivamente ad 83 persone. Poco dopo il loro arrivo i nazifascisti rastrellano il paese e fucilano 21 persone sul greto del fiume Lamone. Una volta compiuto questo primo eccidio i nazifascisti marciarono verso alcuni poderi situati negli immediati dintorni di Crespino uccidendo altri civili.

Il giorno seguente, 18 luglio, il reparto nazifascista prosegue verso nord, sconfinando nel territorio limitrofo del comune di Palazzuolo sul Senio dove nelle frazioni di Fantino e Lozzole assassinano un’altra decina di persone.

Poi si dirigono verso la vicina Casetta di Tiara. «I tedeschi si impossessano dei muli che riescono a trovare, li caricano con tutto quello che trovano e poi danno fuoco alle case, senza risparmiarne neppure una. In poche ore Casetta è distrutta dalle fiamme», racconterà don Rodolfo Cinelli nel suo libro «Per non dimenticare Casetta di Tiara».

Ma non è ancora finita. «Mentre una fila di muli scende giù per Tiara, carichi di tutto quello che i soldati sono riusciti a rubare, un gruppetto di tedeschi, staccatosi dalla colonna, si dirige verso il Mulinaccio, dove abitano quattro poveri vecchi, ignari di quello che sta succedendo».

Sono i componenti della famiglia Livi: Livi Assunta, di 62 anni, Livi Domizio, di anni 68, Livi Giovanni, di anni 58, e Giorgi Livi Massima, di 56 anni. «I soldati tedeschi sfondano la porta, li uccidono col calcio dei moschetti e poi, non contenti di averli massacrati, li coprono con fasci di legna e vi appiccano il fuoco».

I nomi di quelle povere vittime è scolpito nella lapide marmorea del monumento che nella frazione di Casetta di Tiara ricorda i caduti civili della guerra, assieme ai nomi dei tre membri della famiglia Milanesi, uccisi nella loro abitazione da un cannoneggiamento tedesco il predente 2 luglio, per la locale festa del patrono.

NELLE FOTO: IL MONUMENTO POSTO NELLA FRAZIONE DI CASETTA DI TIARA
CHE RICORDA L'«EROICO PASTORE» DON RODOLFO CINELLI 
E LE VITTIME CIVILI DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE