A Ca' di Malanca per ricordare i caduti della 36esima

A Ca’ di Malanca per ricordare i caduti della 36esima

Veramente una bella giornata, quella trascorsa a Ca’ di Malanca quest’ultima domenica, 27 agosto, per onorare il ricordo dei partigiani della 36ª Brigata Garibaldi «Alessandro Bianconcini». Bella climaticamente parlando, con le nuvole e un venticello gradevole a mitigare il caldo asfissiante dei giorni precedenti, peraltro senza regredire – come si temeva alla vigilia – fino al cattivo tempo.

Bella per la così tanta gente – in verità inaspettata – fin lì giunta fiduciosa in auto malgrado la strada andasse percorsa con estrema prudenza (liberata dai detriti franati, ma col fondo ancora bisognoso di interventi). O come i camminatori-camminatrici del Cai arrivati a piedi per i sentieri ritenuti percorribili in sicurezza.

Bella per la santa messa in ricordo dei Caduti officiata dal sempre presente e disponibile don Otello Galassi e per la musica coinvolgente (persino «Romagna mia») e ribelle dei «Briacabanda».

Ma anche una giornata buona come l’ottima piadina imbottita col formaggio o con l’affettato e annaffiata da un bicchiere di buon rosso. E interessante come il dibattito sul presente e sul futuro di quel territorio, e delle sue genti, dopo il disastro ambientale causato dal maltempo di maggio. Dibattito a cui hanno preso parte l’Amministrazione comunale, con l’assessore Gian Marco Monti, sia abitanti della parte brisighellese che della parte casolana, perché i confini amministrativi sono una cosa, ma le valli, i crinali e le vie di comunicazione un’altra, e non sempre gli uni sono coerenti con gli altri.

E per finire, una giornata intrigante come il romanzo «Sale di pietra», presentato dalla sua autrice, Maria Federica Baroncini (lì presente con tutta la famiglia, marito compreso, Eugenio Ghiozzi, in arte – ma è lui o non è lui? Certo che è lui!! – il famoso comico, cabarettista, conduttore televisivo e scrittore Gene Gnocchi). Un romanzo che la neoscrittrice, alla sua prima opera, ha ambientato durante gli anni della seconda guerra mondiale nella sua Faenza, in cui la trama popolare si sviluppa e si integra con gli eventi storici.

Con il fuori tema finale – col libro ma non con la giornata – di lei che in chiusura ha voluto ricordare ai presenti chi era quell’Alessandro Bianconcini il cui nome è stato aggiunto a metà del 1944 a quello della gloriosa 36ª Brigata Garibaldi operante sull’Appennino tosco-romagnolo: imolese, insegnante di violoncello, antifascista comunista fin da giovane, emigrato in Francia per sfuggire all’arresto, combattente repubblicano nella guerra di spagna, ferito gravemente a Pozuelo, nella battaglia in difesa di Madrid, incarcerato e poi confinato, comandante della 7ª Brigata Gap Imola fino al tragico epilogo. Il 9 gennaio 1944 venne catturato dalle Brigate Nere e condannato a morte insieme ad altri sette partigiani di Bologna ed Imola, in rappresaglia per l’uccisione del federale fascista Eugenio Facchini. L’esecuzione avvenne al poligono di tiro di Bologna il 27 gennaio 1944.