Si è svolta sabato mattina, 30 marzo 2024, una breve cerimonia in ricordo di don Giulio Minardi quale simbolo autentico di solidarietà e coraggio. Il presidente del Consiglio comunale di Imola, Roberto Visani, e il presidente dell’Anpi imolese, Gabrio Salieri, hanno deposto corone presso il busto eretto nel 2000 nel giardino dell’Istituto di Santa Caterina, in via Cavour. Presenti alla cerimonia, fra gli altri, il vicesindaco Fabrizio Castellari, Filippo Samachini, consigliere comunale con delega ai Progetti di recupero e valorizzazione di eventi e luoghi della storia della Città di Imola, e Francesca Albonetti, in rappresentanza della Fondazione Santa Caterina.
Il presidente di Anpi Imola, Gabrio Salieri, aprendo la cerimonia, ne ha ricordato i motivi. Durante la seconda guerra mondiale don Minardi, parroco «di poche parole ma di grandi fatti», diede asilo a partigiani, perseguitati politici, ebrei e a militari disertori, ospitandoli nelle grandi cantine della canonica della chiesa del Carmine e in altre strutture religiose, salvando così loro la vita, ma mettendo a rischio la propria: se i nazifascisti lo avessero scoperto, infatti, lo avrebbero certamente ucciso.
«La figura di don Giulio Minardi – ha poi aggiunto il presidente del Consiglio comunale, Roberto Visani – rappresenta una tessera di quel mosaico che è stata la Resistenza antifascista, un movimento plurale costituito da tante anime diverse. E il ricordo della sua vita – ha tenuto a rimarcare Visani – rappresenta un monito per vivere il nostro tempo con coraggio stando dalla parte dei più deboli, della giustizia e della pace».
«E’ giusto ricordare la storia – ha convenuto Francesca Albonetti, presidente della Fondazione di via Cavour –. E per chi opera a “Santa Caterina” la storia da ricordare è quella del luogo in cui si lavora quotidianamente, assieme ai motivi per i quali ci si impegna in ciò che si fa. Il lavorare per un ente che a Imola ha una storia così lunga e una finalità così importante costituisce infatti per tutti noi motivo di orgoglio. I ragazzi che accogliamo qui vengono da situazioni difficili, spesso di violenza, ed è per questo – ha tenuto a rimarcare a sua volta Albonetti – che una delle cose che cerchiamo di fare è proprio educare alla pace e alla non violenza».
Com’è noto, L’Istituto degli Artigianelli di Santa Caterina venne fondato, allo scoppio della «grande guerra», dal canonico don Angelo Bughetti per accogliere i profughi e gli orfani in una casa con annessa cappella (dedicata a Santa Caterina d’Alessandria d’Egitto) donatagli dal cardinale Della Volpe. Don Bughetti, minato da problemi fisici fin da giovane e stremato dall’intensa fatica per l’opera, prima di morire designò come suo successore il parroco del Carmine di Imola, don Giulio Minardi, che reggerà con fermezza l’istituto durante il secondo conflitto mondiale e ne aumenterà, anche con nuove edificazioni la capacità d’accoglienza.
Nel 1937 nascerà la succursale di Conselice: la Casa di Sant’Antonio, che chiuderà nel 2005 dopo aver accolto oltre 450 tra ragazzi e migranti. Tra questi anche Ugo Baldrati, oggi novantaduenne, presente ogni anno alla cerimonia commemorativa. «A Conselice stavamo veramente bene – ha ricordato lui, nativo di Voltana –. Eravamo solo una ventina, mentre qua, a Imola, le persone aiutate erano veramente tante, tantissime. Mi si permetta la battuta: facevano veramente i miracoli per andare avanti! L’Istituto di Santa Caterina mi ha accolto, dato da mangiare e vestito, mi ha fatto studiare e trovato un lavoro e io, di don Minardi, non posso che parlar bene».
E durante la cerimonia, lo scrittore imolese Mauro Casadio Farolfi ha anticipato l’uscita di un suo libro dedicato proprio a don Minardi: «La salvezza nell’Arca di Noè» (Bacchilega Editore). Realizzato grazie al ritrovamento di un piccolo libro («Il Carmine di Imola in tempo di Guerra», edito e stampato dalla tipografia Galeati) che Paolo Schweitzer Santarcangeli, ebreo nato a Fiume nel 1909 e ricercato per motivi razziali da fascisti e tedeschi, ha dedicato al parroco della chiesa del Carmine. Un report che racconta nei minimi dettagli le vicissitudini di Schweitzer Santarcangeli, che dopo un’odissea fatta di carcere e confino in diverse città italiane era approdato fortunosamente a Imola nei primi mesi del 1944 per chiedere asilo a don Giulio.
Nelle cantine del carmine Schweitzer Santarcangeli troverà altri 250 rifugiati di tutte le opinioni politiche e religiose, mentre nelle soffitte venivano custoditi animali che permetteranno di sfamare così tante persone per 16 lunghi mesi. «Don Giulio – ha detto Casadio Farolfi – fu l’artefice di tutto ciò. Con coraggio costruì questo “miracolo” aiutato dalla divina Provvidenza, sfidando con audacia e determinazione le brigate nere ed i tedeschi».