Dopo i rastrellamenti dell’ottobre 1944, la vita dei cittadini imolesi è cambiata radicalmente. Pattuglie tedesche, fiancheggiate dai militi della brigata nera, girano continuamente per le strade di Imola, città divenuta retrovia del fronte. E se incontrano qualche giovane o qualche uomo valido lo prelevano immediatamente per impiegarlo coattivamente nella costruzione di approntamenti difensivi. Per questo gli uomini cercano di farsi vedere il meno possibile.
E come non bastasse, le notizie che arrivano dalla Trentaseiesima, impegnata in battaglie campali a Purocielo e a Ca’ di Guzzo, non sono buone. «Particolarmente gravi le perdite subite dai battaglioni di Bob e di Ivo, coi quali era il comando di brigata, che risulta quasi completamente distrutto – scrive Elio Golini, il partigiano «Sole», nel suo diario –. Le nostre speranze sono che le informazioni ricevute siano esageratamente pessimiste, cosa che potrebbe essere in quanto fornite da uomini sbandati, terrorizzati dalle battaglie e che praticamente hanno “disertato” le formazioni. Da successive notizie pervenute dai faentini sembra però che le cose siano comunque assai gravi. L’unica soddisfazione, se così si può dire, è che il grosso dei vari battaglioni ha varcato le linee e ha preso contatto con gli alleati, per cui altre perdite non ci dovrebbero essere. Per noi qua, però, questo vuol dire che d’ora in poi dovremo fare affidamento sulle sole nostre forze, che dovremo salvaguardare e mantenere efficienti».
Ma nel novembre 1944 le fila della Resistenza imolese vengono scompaginate per la delazione di una spia (Mario Attardi, pseudonimo «Chieti»). Nei giorni 23, 26 e 29 numerosi partigiani vengono arrestati. Tra essi Augusto e Franco Dall’Osso, Luciano e Oreste Gardelli, Virginia Manaresi, Eros Marri, Antonio Morini, Sante Noferini, Cleo Ricchi, Vero Vannini, Vittoriano Zaccherini.
Il colpo è durissimo. Il 29 novembre, in via Cavour, è arrestato anche Walter Tampieri, impiegato della Cogne e militante delle Sap, che ha aderito alla Resistenza subito dopo l’armistizio, impegnandosi nella redazione de «La Comune», giornale del Partito comunista imolese, e di «Vent’anni», periodico del Fronte della gioventù.
«Appena appresa la notizia – racconta ancora Gollini – mi sono recato, con notevole rischio, da “Gina” (Virginia Manaresi), poco distante dall’abitazione di Walter, perché tentasse di portare via la macchina da scrivere e il materiale riprodotto e mi aiutasse a trasferire anche l’archivio che sapevo Walter teneva in cantina. Ma ormai era troppo tardi, tutta la casa era piantonata dalla brigata nera, che aveva scoperto tutto, fra cui il materiale base per l’ultimo numero della “Comune” che avevo consegnato a Walter il giorno prima per la riproduzione sulle matrici».
Rinchiusi nel carcere della rocca, i partigiani imolesi catturati saranno a lungo torturati. Intanto le granate alleate cadono senza sosta sulla città, giorno e notte, provocando morti e feriti. Una granata alleata, caduta sul torrione della rocca sforzesca, dove erano le celle, ucciderà poi Luciano Gardelli e ferirà gravemente il fratello Oreste.
Luciano Gardelli, «Bagarêta», era nato il 2 aprile 1923 a Imola da Armando e Augusta Turicchia. Diplomatosi all’Istituto tecnico industriale, meccanico, aveva prestato servizio militare negli autieri a Roma dal 10 gennaio all’8 settembre 1943. Tornato a casa, era entrato nella fila della Resistenza, militando nel Battaglione «Rocco Marabini» della Brigata Sap Imola con funzione di comandante di plotone.
Riconosciuto partigiano dall’1 agosto 1944 al 28 novembre 1944, giorno della sua morte, il corpo di Luciano Gardelli è oggi tumulato nel sacrario ove riposano i Caduti della Resistenza, nel cimitero di Piratello, ed il suo nome è ricordato nel sacrario di piazza Nettuno, a Bologna.
Il nome di Luciano Gardelli compare in una delle quattro lapidi che fanno parte del monumento al Partigiano posto in piazzale Leonardo da Vinci, ad Imola, ed in una delle due lapidi murate nel primo cortile interno della rocca sforzesca, poste nel 1974 a ricordo di quanti subirono carcere, torture e morte in quel luogo durante gli anni del fascismo.
Il nome di Luciano Gardelli è ricordato anche nel cippo monumentale che ricorda i lavoratori della Cogne «caduti per la libertà, il lavoro e l’indipendenza» nella sua nuova collocazione di via Serraglio, all’angolo con via Cogne, cioè nell’area occupata in passato proprio dalla storica azienda meccanica e oggi in buona parte riconvertita ad uso abitativo e integrata col resto della città grazie al sottopasso che la collega con la vicina stazione ferroviaria e col centro urbano.