Don Giulio Minardi, simbolo autentico di solidarietà e coraggio

Don Giulio Minardi, simbolo autentico di solidarietà e coraggio

Lo scorso sabato 1 aprile si è svolta una cerimonia in ricordo di don Giulio Minardi, quale simbolo autentico di solidarietà e coraggio, avendo il sacerdote imolese, durante la seconda guerra mondiale, anteposto la vita degli altri alla propria incolumità.

Nell’occasione il vicesindaco di Imola, Fabrizio Castellari, ed il presidente della sezione imolese dell’Associazione nazionale partigiani d’Italia, Gabrio Salieri, hanno deposto corone presso il busto eretto nel giardino dell’Istituto di Santa Caterina, in via Cavour. Ed hanno ricordato, insieme a don Massimo Martelli, direttore dell’istituto, come don Minardi diede asilo a partigiani, perseguitati politici, ebrei e a militari disertori, ospitandoli nelle grandi cantine della canonica della chiesa del Carmine e in altre strutture religiose, salvando così la loro la vita.

Giulio Minardi era nato il 24 aprile 1898 a Zagonara, nel lughese, in una famiglia di contadini. Ordinato sacerdote nel 1923, inizialmente aveva esercitato il ministero nella frazione di Sesto Imolese; poi, nel 1927, gli era stata assegnata la parrocchia di San Giovanni Battista di Imola, dove era rimasto fino al 1934, quando era divenuto parroco del Carmine. E nel 1935 era stato nominato direttore dell’Istituto artigianelli Santa Caterina di Imola, ente fondato allo scoppio della «grande guerra» dal canonico don Angelo Bughetti per accogliere i profughi e gli orfani.

Don Giulio, uomo «di poche parole, di molti fatti», dotato di grande audacia, ha dedicato tutta la sua vita a favore dei più deboli, in particolare dell’infanzia e dei giovani. L’avversione verso ogni sopruso, inculcatagli dai genitori, si è poi rafforzata in lui durante gli anni della dittatura fascista, quando ogni libertà venne negata.

A partire dal novembre 1943 incominciò così ad ospitare perseguitati e ricercati da nazisti e fascisti. La canonica del Carmine, l’ex convento delle Carmelitane, il monastero delle Clarisse, l’Istituto artigianelli, la colonia agricola di Ortodonico, divennero luoghi sicuri per soldati disertori, prigionieri fuggiti ed ebrei.

Non solo. Nelle strutture dirette da don Minardi vennero accolte anche intere famiglie, sfollate a seguito dei continui bombardamenti, con le relative masserizie. Inoltre, per paura delle confische fasciste, diversi contadini nascosero dentro la canonica i propri animali (vacche e vitelli, cavalli e somari, maiali, galline oche e tacchini), assieme a verdure, grano e macine. Riserve alimentari che permisero ai rifugiati del Carmine di avere pane fresco, uova e latte per tutta la durata del conflitto, senza soffrire la fame.

Nell’autunno-inverno 1944, con la stasi delle operazioni militari da parte delle truppe alleate ed il contemporaneo acuirsi delle persecuzioni nazifasciste, anche molti partigiani vennero ospitati negli spazi del Carmine, dove peraltro ebbero luogo molte riunioni del Comitato di liberazione locale. Nel periodo di maggiore affluenza la chiesa ospitò circa 350 persone.