Dal 1922, anno dell’avvento al potere di Mussolini e dell’instaurazione di un regime dittatoriale, gli antifascisti italiani conobbero per un ventennio sconfitte ed emarginazione, mentre il Duce toccava le massime vette di popolarità e di consenso. E la conquista dell’Etiopia, retoricamente esaltata come vittoria della civiltà sulla barbarie (non erano certo di dominio pubblico l’uso dei gas ed il genocidio razziale perpetrato contro la popolazione indigena), aveva ulteriormente isolato gli ultimi dissidenti politici, che languivano nelle carceri o subivano le afflizioni dell’emigrazione.
Fu la guerra di Spagna a ridare dignità e vivibilità agli oppositori del regime instauratosi in Italia. Infatti quattromila di loro accorsero in difesa della legittima Repubblica democratica spagnola e per tre anni contrastarono in armi i generali golpisti ed i loro sostenitori palesi (Mussolini ed Hitler) ed occulti (democrazie europee e statunitense), pagando il riscatto del popolo italiano con circa seicento caduti.
Quando nell’ottobre 1938 il Governo repubblicano spagnolo concordò con la Società delle nazioni il ritiro dei combattenti stranieri delle Brigate internazionali, i volontari statunitensi, canadesi, inglesi, francesi, svizzeri e scandinavi poterono ritornare nei rispettivi Paesi di provenienza, mentre i volontari antifascisti tedeschi, austriaci, italiani ed europei dell’est dovettero restare ancora in Spagna, perché nei loro Paesi di origine sarebbero stati perseguitati.
Passarono in Francia soltanto nel febbraio 1939, al momento dell’occupazione franchista della Catalogna, a guerra ormai persa. I volontari in fuga, una volta passata la frontiera, furono però rinchiusi in campi di internamento, per essere poi precettati nelle Compagnie de travailleurs étrangeres, le compagnie di lavoro per l’esercito francese o da utilizzare nell’economia di guerra dopo l’inizio delle ostilità con la Germania. E’ quanto accadde all’antifascista imolese Alberto Andreini.
Andreini era nato ad Imola nel 1907. Comunista, era arrivato in Spagna nel gennaio 1937, dove era stato subito inquadrato nella batteria Antonio Gramsci, facente parte dell’artiglieria internazionale. Anche lui aveva dovuto lasciare la Spagna nel febbraio 1939. Infatti un mese dopo, il 28 marzo, dopo che Francia e Inghilterra avevano già riconosciuto il nuovo Governo spagnolo, l’esercito nazionalista era entrato a Madrid e Franco aveva annunciato la resa dell’esercito repubblicano. In Francia, Andreini era poi stato internato nel campo di Gurs e arruolato in una compagnia di lavoro straniera destinata a lavori di fortificazione del fronte francese. Poi, di lui, si perdono le tracce.
Nel frattempo era iniziata la seconda guerra mondiale. Alle 4.45 dell’1 settembre 1939 la Germania aveva infatti dato inizio alle operazioni militari contro la Polonia. Mentre a est la Polonia finiva annientata, la situazione sul fronte occidentale rimaneva invece fondamentalmente tranquilla: a parte qualche scaramuccia, tanto i francesi (affiancati dopo pochi giorni da un corpo di spedizione britannico) quanto i tedeschi avevano adottato una strategia difensiva. Poi la «strana guerra» era finita.
Il 9 aprile 1940 la Germania hitleriana invade Danimarca e Norvegia, il 10 maggio 1940 la Wehrmacht sferra la lungamente pianificata offensiva sul fronte occidentale attaccando simultaneamente Paesi Bassi, Belgio e Lussemburgo. Dal 26 maggio al 4 giugno le forze anglo-francesi circondate a Dunkerque vengono in gran parte evacuate in Inghilterra. La Francia capitola.
Il 22 giugno 1940 nella foresta di Compiégne, a Rethondes, sullo stesso wagon-lit su cui i tedeschi sconfitti nella prima guerra mondiale avevano firmato l’armistizio l’11 novembre 1918, la delegazione del Governo francese firma la convenzione d’armistizio con la Germania la cui clausola più odiosa e disonorevole è quella che prevede la consegna da parte francese di tutti i profughi tedeschi antinazisti. Il generale Weygand protesta: la clausola lede «l’onore della Francia» in quanto viola lo storico principio del diritto d’asilo e ne domanda la cancellazione.
I tedeschi rifiutano. I francesi chiedono allora di modificare la clausola in «La posizione dei cittadini stranieri che hanno cercato asilo in Francia formerà oggetto di un successivo accordo sulla base dell’onore e dell’umanità». Forse inconsciamente per salvare i fuoriusciti tedeschi, i francesi introducono il concetto di «cittadini stranieri», che finisce per comprendere tutti gli esuli. Così, sulla base del trattato, i nazisti pretenderanno la consegna di tutti i tedeschi, austriaci e cecoslovacchi internati. E la stessa richiesta verrà avanzata dalle autorità militari occupanti i Dipartimenti marittimi nei confronti dei nostri connazionali privi del permesso di residenza in Francia. Essi verranno tradotti in patria e, di massima, condannati al confino nell’isola di Ventotene, da cui saranno liberati soltanto dopo la caduta del fascismo del 25 luglio 1943.
Dopo l’armistizio dell’8 settembre quegli antifascisti saranno tra i primi organizzatori delle formazioni partigiane che si andranno costituendo per combattere i tedeschi ed i repubblichini di Salò. Molti cadranno sul campo o saranno fucilati, altri, catturati dai tedeschi, conosceranno la terribile esperienza dell’internamento nei campi di sterminio. Uguale sorte toccherà a quanti, rientrati nei Paesi europei di provenienza, in seguito occupati dai nazisti, verranno arrestati per appartenenza alla Resistenza.
In base alle «biografie degli antifascisti italiani in Spagna» riportate sul volume «La Spagna nel nostro cuore – 1936/1939», edito dall’Associazione italiana combattenti antifascisti di Spagna, si rileva che ben 111 (tra cui due donne) furono i deportati nei campi di sterminio nazisti, dai quali 38 (pari ad un terzo) non fecero ritorno. Tali biografie peraltro, tenuto conto delle difficoltà derivanti dal tempo trascorso, non hanno potuto essere esaurientemente complete malgrado il consistente lavoro di ricerca effettuato, per cui di molti non si conosce dove furono arrestati ed i lager in cui furono internati in Germania.
NELLE FOTO: ALBERTO ANDREINI E ALCUNE FOTOGRAFIE DELLA BATTERIA GRAMSCI,
OVE FU INQUADRATO L'ANTIFASCISTA IMOLESE DURANTE LA GUERRA DI SPAGNA