Oltre alle gesta di babbo Vico, la storia della giornalista imolese Marina Garbesi si intreccia con le gesta anche di un altro antifascista: quelle del dottor Armando Businco, professore universitario, nonno materno di Giovanni Maria Bellu, il compagno con il quale la giornalista imolese ha avuto un figlio, Ludovico.
Di origini sarde (era nato l’11 giugno 1886 a Jerzu, Nuoro), il nome di Armando Businco è ben noto e rispettato a Cagliari. Nel 1972, a cinque anni soltanto dalla sua scomparsa, a lui è stato infatti intitolato l’ospedale regionale oncologico, intendendo così onorare uno scienziato ed un clinico di straordinario livello, ma anche l’uomo di educazione mazziniana, fedele sempre a quegli ideali di giustizia e libertà che l’hanno portato a schierarsi contro i nazifascisti durante la lotta di liberazione.
Direttore dell’Istituto di Anatomia patologica dell’Università di Bologna durante gli anni di guerra, il 27 agosto 1944 Businco venne prelevato dai tedeschi insieme ai colleghi Teodoro Posteli e Angelo Novaro in quanto ritenuti tra i colpevoli del trafugamento della parte residua di radio in dotazione all’ospedale Sant’Orsola, sostanza utilizzata nelle cure antitumorali e ricercata dagli scienziati del Terzo Reich per la fabbricazione di nuove armi segrete (una prima metà del preziosissimo materiale radioattivo era già stata requisita dalle autorità germaniche il precedente 10 luglio).
Incarcerato nella casa del fascio di via Manzoni fino al 30 agosto 1944, Businco venne poi trasferito nella sede delle SS di via Santa Chiara, ove fu interrogato a lungo, infine portato nelle prigioni di San Giovanni in Monte, ove rimase un mese. Condannato a morte, fu internato nel campo di prigionia di Fossoli, principale campo di smistamento dall’Italia verso i campi di lavoro del Terzo reich. Caricato su un carro bestiame, partì verso la Germania nazista, ma giunto nei pressi di Peschiera sul Garda il treno fu bombardato, permettendogli la fuga assieme a Posteli. I due trovarono ospitalità in una canonica e poi ripararono nel bresciano, dove furono ospitati da amici sino alla liberazione del nord Italia.
Il professor Businco riprese già nel 1945 l’insegnamento e l’attività di corsia a Bologna, dando alle stampe una testimonianza dal titolo «Il tributo di sangue per la liberazione dell’Istituto di Anatomia patologica di Bologna», anche come coronamento della militanza partigiana nell’8ª brigata «Massenzio Masia» di Giustizia e Libertà, riconosciutagli a partire dall’armistizio e fino alla liberazione del 25 aprile.
Il prezioso materiale trafugato e nascosto dai partigiani venne poi riconsegnato ufficialmente l’8 maggio 1945 al professor Gian Giuseppe Palmieri, direttore dell’Istituto del radio dell’Ospedale Sant’Orsola e padre di Giovanni Battista, nome di battaglia «Gianni», medaglia d’oro al valor militare alla memoria. Studente universitario del 6° anno di Medicina, il giovane Palmieri aveva lasciato Bologna diretto a Imola per aggregarsi alla 36ª brigata Garibaldi Bianconcini, la formazione partigiana operante nell’alta valle del Santerno, assumendone in breve tempo la direzione del servizio sanitario.
La sera del 27 settembre, durante una sosta in una casa colonica a Ca’ di Guzzo, in località Belvedere, frazione di Castel del Rio, la compagnia comandata da Umberto Gaudenzi venne circondata da paracadutisti e SS tedeschi. Dopo aver resistito per tutta la notte, infliggendo gravi perdite al nemico, la mattina del 28 i superstiti riuscirono, sia pure a costo di gravi perdite, ad aprirsi un varco e a mettersi in salvo. Palmieri, invece, preferì rimanere coi partigiani feriti, che però vennero trucidati. Quando i tedeschi abbandonarono Ca’ di Guzzo, lo portarono con loro, forse per continuare a fargli curare i propri feriti. Alcuni giorni dopo, quando gli alleati liberarono la zona, il suo cadavere venne trovato in un bosco, in località Le Piane, a pochi chilometri di distanza. Si ritiene che sia stato ucciso il 30 settembre 1944.