Durante gli anni di guerra, la scrittrice-partigiana Renata Viganò si trasferì da Bologna a Imola assieme al marito e al figlio, ove restò per alcuni mesi. Nel 1937 Renata aveva sposato lo scrittore ferrarese Antonio Meluschi, uno dei più bei nomi dell’antifascismo italiano. Meluschi nel settembre 1943 si era unito ai partigiani e anche la moglie era entrata nella Resistenza. E nel dicembre 1943 la famiglia era sfollata a Imola, trovando ospitalità nella villa di Alfredo Mongardi, in viale Carducci, tramite il barbiere Emilio Zanardi, la cui bottega era uno dei luoghi di smistamento dei primi partigiani.
Dopo l’8 settembre 1943 il gruppo dirigente del Pci imolese si era reso conto che la stampa nazionale era insufficiente per sollecitare l’adesione della popolazione al movimento resistenziale. Così ai primi di dicembre si svolse una riunione nel negozio di Claudio Montevecchi, «Ido», tra lui, Aldo Cucchi e Antonio Meluschi, nel corso della quale si definì la struttura redazionale e organizzativa del foglio clandestino «La Comune», il cui primo numero dattiloscritto uscì l’1 gennaio 1944, con tiratura di sole 25 copie, che saliranno a 80 nel maggio, a 150 nel giugno e a 250 in agosto. E Renata Viganò vi parteciperà scrivendo cinque articoli, tutti dedicati alle donne: «Le donne e i tedeschi», «Le donne e i fascisti», «Le donne e i partigiani», «La giornata della donna», «Alle donne».
Poco dopo il trasferimento a Imola, il marito viene però inviato a Belluno, zona in cui operava una brigata bolognese. Lì viene arrestato dalle SS e torturato, ma riesce a fuggire fortunosamente e a ricongiungersi alla moglie, che nel frattempo aveva continuato da sola l’attività partigiana, tenendo con sé il figlio Agostino di soli sette anni.
Antonio e Renata resteranno a Imola fino all’aprile del 1944, per poi recarsi prima in Romagna e poi nelle valli di Comacchio a organizzare formazioni partigiane. Tra la fine di ottobre 1944 e la primavera 1945, Meluschi (alias «Il dottore») comanderà la 35ª bis brigata Garibaldi «Mario Babini», con base operativa nella casa colonica della Piguréra (la Pecorara), tra Mulino di Filo e le valli. Mentre Renata (col nome di «Contessa») sarà staffetta e infermiera nella 28ª brigata Garibaldi «Mario Gordini» operante in Romagna e nella valle di Campotto.
«Ho scritto “L’Agnese va a morire” come un romanzo – dirà poi Renata -, ma non ho inventato niente. E’ la mia testimonianza di guerra. E’ la ragione per cui la Resistenza rimane per me la cosa più importante nelle azioni della mia vita. L’ho vissuta prima di scriverla, e non sapevo di viverci dentro giorno per giorno».