Durante la seconda guerra mondiale la bassa imolese, come i territori limitrofi di Medicina, Massa Lombarda e Conselice, fornì un contributo importante alla Resistenza. La lunga dittatura fascista e la feroce occupazione straniera non ne avevano infatti fiaccato lo spirito democratico e libertario storicamente radicato tra le sue genti.
Basi partigiane erano sorte così un po’ ovunque: a Villa Serraglio era nascosta una tipografia clandestina; a Giardino i partigiani feriti ricevevano le prime cure prima di venire ricoverati nell’ospedale di Imola come se fossero civili; Osteriola, piccolo borgo agricolo situato vicino a Sesto Imolese, era luogo ove si tenevano spesso riunioni clandestine, malgrado occorresse organizzare ogni volta un servizio di vigilanza per evitare brutte sorprese da parte dei nazifascisti.
Le azioni di guerriglia e di sabotaggio a cui parteciparono partigiani di Osteriola furono numerose. E purtroppo tra le loro fila si contarono diversi caduti, sette dei quali sono appunto ricordati nella lapide inaugurata il 26 febbraio 2017. Come Enea Suzzi, ucciso dai militi tedeschi in occasione dell’importante manifestazione preinsurrezionale promossa dal Comitato di liberazione nazionale di Imola che si svolse il 14 settembre 1944, durante la quale la vicina frazione di Sesto Imolese fu «liberata» dai partigiani per un’intera giornata.
Manifestazioni analoghe erano in programma in quel mese anche in altri centri della provincia di Bologna, allo scopo di verificare la capacità di mobilitazione e di coordinamento delle formazioni partigiane combattenti e la partecipazione delle popolazioni locali. Una sorta di prova generale in previsione dell’avanzata angloamericana, ritenuta ormai imminente.
Tramite l’«insurrezione popolare armata» il comando regionale partigiano si poneva infatti l’obiettivo strategico di liberare autonomamente i centri abitati, in particolare le città, in modo da agevolarvi l’ingresso delle truppe alleate, evitando combattimenti prolungati e le conseguenti distruzioni e lutti tra i civili. Così da poter far valere, a guerra finita, il peso politico del movimento partigiano italiano dovuto all’indubbio contributo militare dato alla liberazione dell’Italia da fascismo e nazismo.
Nelle prime ore di quel 14 settembre 1944 i partigiani locali, supportati da sappisti e gappisti provenienti dalle vicine Sasso Morelli, Mordano, Castel Guelfo e Medicina, interruppero i collegamenti telegrafici e telefonici, bloccarono le strade di accesso a Sesto Imolese e occuparono il centro cittadino. Gli abitanti, in prevalenza donne e anziani, iniziarono a radunarsi nella piazza principale del paese inneggiando alla liberazione e il presidente del Cln di Imola, Ezio Serantoni (nome di battaglia «Mezanot»), tenne un accorato discorso, al termine del quale si svolse un corteo con canti antifascisti e della tradizione socialista e comunista. Colti di sorpresa, fascisti e nazisti non reagirono subito. Ma nella notte un reparto tedesco circondò il paese e in via Tiglio una pattuglia intercettò e uccise il sappista Enea Suzzi, che stava rientrando a casa dopo aver smobilitato dalla manifestazione.
Tedeschi e fascisti erano furenti per l’accaduto e intensificarono perquisizioni e controlli. Quattro giorni dopo la manifestazione di Sesto Imolese, il 18 settembre 1944, anche Claudio «Candido» Contoli, residente in località Balìa, tra i primi attivisti della Resistenza imolese in pianura, cadde sotto il fuoco nemico durante una missione condotta insieme a due compagni gappisti, il bubanese Graziano «Mirco» Zappi e il medicinese Fileno «Lupo» Gardelli.
I tre stavano tornando da Imola in bicicletta quando nella zona di Cantalupo, in prossimità di via Budriese (la strada che partendo da via Fornace Guerrino collega la San Vitale alla Selice), furono intercettati dai militari tedeschi, che aprirono il fuoco. Gardelli riuscì a fuggire in bicicletta, mentre Zappi e Contoli cercarono di scappare attraverso i campi. Zappi inciampò e cadde, ma gli inseguitori, credendolo morto, lo oltrepassarono, consentendogli così la fuga; Contoli, invece, cercò scampo nel canale Gambellara, ma fu raggiunto e colpito mortalmente.
Il corpo senza vita, abbandonato sulla riva del corso d’acqua, fu poi raccolto dai contadini della vicina Casa di Ghiaia e nascosto nel capanno degli attrezzi fino alla sera successiva, quando i familiari e i compagni partigiani lo andarono a prendere per trasferirlo a Balìa. Per il suo eroismo gli è stata poi conferita la medaglia d’argento alla memoria.
Ma il tributo di sangue non si fermò lì. Il mese successivo, il 22 ottobre 1944, a cadere in combattimento a Osteriola fu Lino Afflitti, partigiano molto attivo e che era divenuto responsabile per i collegamenti con le Sap (Squadre di azione patriottica) e i Gap (Gruppi di azione patriottica) operanti nella bassa imolese dopo l’arresto, avvenuto il 24 maggio di quell’anno, del suo predecessore, Ernesto Gardelli.
Nel febbraio 1945, su delazione di una spia, le Ss tedesche effettuarono rastrellamenti nella zona compresa tra Castel San Pietro e Imola, durante i quali vennero catturati i sappisti Armando Gardi (medaglia di bronzo al valore militare e padre di Vittorio) e Angelo «Silvano» Volta (caponucleo Sap) e i gappisti Zelino Frascari e Otello Cardelli, tutti poi incarcerati, torturati ed infine fucilati insieme ad altri imolesi nei pressi dei ruderi della stazione ferroviaria di San Ruffillo, a Bologna, e i cui corpi, sommariamente occultati in alcuni crateri provocati dalle bombe, vennero rinvenuti solo nel maggio successivo, a guerra finita.
Le fosse di San Ruffillo sono uno dei tanti simboli del martirio a cui vennero sottoposti partigiani e antifascisti. Ogni giorno, all’imbrunire, un autocarro partiva dalle carceri di San Giovanni in Monte o dalla caserma Masini, percorreva via Murri, viale Toscana e si fermava nella piccola stazione ferroviaria di San Ruffillo, situata nella periferia sud-est di Bologna, in quel tempo abbandonata dalla popolazione in quanto gravemente danneggiata dai bombardamenti alleati, che avevano prodotto ampi crateri nel terreno circostante e che ne facevano il luogo ideale ove nascondere i corpi delle vittime trucidate. I prigionieri venivano così disposti sul bordo di quelle buche e mitragliati, facendo sì che i cadaveri vi cadessero dentro, per poi ricoprirle a mo’ di fosse comuni.
La notte del 16 marzo 1945, quando già si approssimava la fine della guerra, la tragica sorte toccò a nove partigiani imolesi: Otello Cardelli, Ugo Coralli (medaglia di bronzo al valor miliare alla memoria), Zelino Frascari, Armando Gardi (medaglia di bronzo al valor militare alla memoria), Wladimiro «Miro» Gollini (medaglia di bronzo al valor miliare alla memoria), Walter Grandi, Enea Loreti, Angelo «Silvano» Volta e Vittorio Zotti. Assieme a loro venne fucilato anche il partigiano bolognese Francesco «Ciclone» Cristofori.
Ugo Coralli e Wladimiro Gollini erano stati catturati da un reparto tedesco nel pomeriggio del 31 ottobre presso la chiesa di Goccianello; Enea Loreti era stato arrestato dal brigatista nero Ravaioli la mattina del 18 febbraio nel forno Piani, in via Appia; mentre Walter Grandi era stato fermato casualmente il 28 febbraio in piazza Duomo, di ritorno da una visita alla moglie, incinta, una ragazza jugoslava che aveva sposato durante la sua permanenza nelle brigate partigiane di Tito. Vittorio Zotti, meccanico all’azienda Cogne, era stato arrestato invece mentre era impegnato nella raccolta di viveri e armi per le formazioni partigiane attive in montagna. Le loro salme furono trovare per pura coincidenza, identificate tramite brandelli di stoffa, e oggi si trovano nel famedio del cimitero del Piratello.
Quindici giorni prima, l’1 marzo, in quello stesso luogo era stato fucilato un altro partigiano imolese, Rocco Marabini (anche lui insignito di medaglia di bronzo al valor militare alla memoria), arrestato la sera del 13 dicembre nella canonica della chiesa dei Servi da una squadra di brigatisti neri. La sua salma non è mai stata identificata, confusa tra innumerevoli altre, e ora è sepolta nel cimitero dei partigiani ignoti alla Certosa di Bologna.