Roma era stata liberata dagli eserciti alleati il 4 giugno 1944 e le forze tedesche di occupazione erano in ritirata. La fine della guerra in Italia pareva ormai vicina. Per cui il comando partigiano decise di riorganizzare le proprie forze combattenti operanti nell’Appennino imolese-faentino.
La 36ª brigata Garibaldi, intitolata al partigiano imolese Alessandro Bianconcini, forte ormai di 1.600 effettivi, dal settembre 1944 fu divisa in quattro battaglioni di quattro compagnie ciascuno con l’obiettivo di scendere verso Bologna, Imola e Faenza e liberarle prima dell’arrivo delle truppe alleate.
Venne poi creata una nuova unità, il battaglione Sap montano, col compito di operare sulle colline alla sinistra del Santerno e servire da collegamento coi reparti della 36ª brigata e altri gruppi di combattimento della Resistenza per la liberazione della città di Imola.
Il 5 ottobre i sappisti del battaglione montano attaccarono con successo un autocarro carico di vettovaglie e munizioni in transito sulla Codrignanese, la strada che collega Borgo Tossignano a Codrignano, presso Ca’ Bella Rosa, scatenando la rabbiosa reazione dei tedeschi. Per sfuggire ad eventuali azioni di rastrellamento i partigiani decisero di abbandonare la zona. E per coprire la ritirata dei compagni e controllare i movimenti dei nemici, due giovani partigiani imolesi, Rino Ruscello e Marino Dalmonte («Petit»), 17 anni l’uno e 21 anni l’altro, si attardarono a Ca’ Genasia, nei pressi della chiesa di Ghiandolino.
Ricorda la staffetta partigiana Virginia Manaresi: «Emilio Fuochi mi disse che il 5 ottobre dovevamo consegnare dei documenti. Andammo in due, per maggior sicurezza. Ci si muoveva in bicicletta stando distanziati, così, se succedeva qualcosa, uno poteva aiutare l’altro o salvarsi e dare l’allarme. Ci fermammo a casa di Battista Zanotti, che Fuochi conosceva bene, per avere informazioni sul tragitto. Noi sapevamo che gran parte del gruppo era andato via e che, nella costruzione di fianco alla casa, erano rimasti solo i due ragazzi. Consegnammo i documenti a due partigiane, Pina Codrignani e forse, ma non ricordo bene, Laura Zaccarini. Poi sapemmo che quei due ragazzi erano stati uccisi dai tedeschi».
All’alba del 6 ottobre soldati della Wehrmacht, guidati da spie, avevano circondato il podere di Ca’ Genasia e poi avevano iniziato a perlustrarlo, portando con loro una giovane del luogo, Elisa Gambassi. Vistisi ormai scoperti, i due partigiani nascosti nel fienile avevano cominciato a sparare, dando così inizio ad uno scontro furibondo, di cui la ragazza fu tra le prime vittime.
Non un centimetro di muro venne risparmiato dalle esplosioni delle bombe a mano e dalle raffiche dei mitra. Nonostante la disparità di forze i due partigiani non si arresero. Non riuscendo a catturarli, per la loro disperata resistenza, i tedeschi cercarono di stanare Rino e «Petit» appiccando il fuoco al fienile. I due amici inseparabili saranno trovati «uno vicino all’altro che stringevano ancora tra le braccia i resti bruciacchiati delle armi con le quali si erano difesi fino alla fine». Entrambi saranno insigniti della Medaglia d’oro al valor militare alla memoria.
NELLA FOTO: I DUE GIOVANI PARTIGIANI IMOLESI RINO RUSCELLO E MARINO DALMONTE («PETIT»), 17 ANNI L'UNO E 21 ANNI L'ALTRO, UCCISI A CA' GENASIA