Dopo l’armistizio e la dissoluzione del regio esercito, nei giorni successivi all’8 settembre 1943 venne costituita anche a Imola la «Guardia nazionale armata» allo scopo di recuperare armi, assistere i militari fuggiaschi e organizzare squadre armate.
All’operazione di recupero delle armi abbandonate dai soldati italiani parteciparono, fra gli altri, Antonio Cicalini, Franco Franchini, Francesco Sangiorgi, Gustavo Morini, Elio Gollini, Vico Garbesi, Luigi Spadoni. Ma tale operazione, di cui il principale animatore fu il ventenne Giovanni Nardi, riuscì soltanto in parte perché il capitano dei carabinieri, informato del deposito di armi presso la caserma Della Volpe, ne ordinò la raccolta, peraltro non prima che Franco Franchini e Gustavo Morini prelevassero una ventina di moschetti con l’aiuto di alcuni militari.
La situazione in cui operarono i patrioti imolesi, però, divenne subito quantomai rischiosa in quanto le forze germaniche occuparono la città del Santerno già dal 13 settembre. Un’operazione di recupero armi all’Istituto agrario fu infatti impedita dalle fucilate delle guardie tedesche. Ebbero invece successo le azioni ai depositi del mercato bestiame e della colonia elioterapica di Montebello, compiute le notti dell’11 e del 13 settembre, quest’ultima quasi sotto gli occhi dei tedeschi di guardia.
«Furono ore che non dimenticherò più – racconterà Elio Gollini, il partigiano “Sole”, nel suo “Diario” –. Strisciando per terra, passando attraverso siepi, risalendo ripe scoscese trasportammo circa 200 moschetti e numerose bisacce di munizioni e bombe a mano dalle baracche della colonia elioterapica, sul fondo del rio, su fino alla strada dei Colli, da dove, caricati su un automezzo, furono trasferiti altrove. Ad un certo punto i tedeschi, che aveano preso possesso della città e si erano sistemati alle Acque minerali, al campo sportivo e alla scuola agraria, messi in sospetto dall’andirivieni lungo la strada, iniziarono a sparare, ma ormai il nostro lavoro era fatto. Alla sera, ritornato in città, mi sentivo orgoglioso di avere reso un servigio, se pur piccolo, alla causa».
Un’altra squadra raccolse armi abbandonate nel rio Rondinella. Altri, con Raffaele Baroni, Franco Franchini, Donato Vespignani, Augusto Caroli, il 12 settembre si recarono a piedi nei pressi di monte Maggiore (Mauro) per prendere accordi con un Reggimento di cavalleria della divisione «Novara», che pareva intenzionato a resistere a Casola Valsenio. Ma trovarono questo unità in via di dissolvimento. Dovettero quindi limitarsi, con una seconda camminata e permanenza di sette giorni a Isola di Riolo Bagni (oggi Terme), a riunire le armi che gente del posto aveva raccolto e nascosto in alcuni pagliai sull’argine di un torrente.
Nei mesi successivi la creazione delle prime formazioni partigiane risulterà quindi tanto più facile quante più armi ed equipaggiamento si avranno a disposizione fin da subito. E lo stesso risulterà nel prosieguo della guerra, in quanto non tutte le formazioni verranno rifornite dagli alleati con gli «aviolanci». La pregiudiziale anticomunista guiderà le scelte, con le formazioni garibaldine che riceveranno meno aiuti o non li riceveranno affatto.
La 36ª Brigata Garibaldi, composta da quattro battaglioni per oltre mille uomini, riceverà rifornimenti solo il 22 giugno sul monte La Faggiola e il 19 luglio alla Bastia. «La fatica fu molta per rintracciare paracadute e contenitori finiti nei valloni e poi per risalire i dossi. Ma riuscimmo a recuperare tutto o quasi, compresa la seta dei paracadute da regalare alle donne del luogo», racconterà Nazario Galassi, «Rullo».
Negli imballi portati a terra dai paracadute i partigiani troveranno mitragliette Sten, mitragliatrici leggere Bren, fucili mitragliatori Breda, cassette di bombe a mano, esplosivo, una gran quantità di munizioni e persino due mortai, divise britanniche oltre a sigarette e alimenti.
Quelle di cui disporranno i partigiani, però, saranno armi per lo più recuperate o strappate al nemico con ardite azioni. Soprattutto gappisti e sappisti si dedicheranno al recupero di armi e munizioni con furti in magazzini e accantonamenti militari, il disarmo di pattuglie di guardialinee, di militi repubblichini e soldati tedeschi, che a loro volta reagiranno inasprendo coprifuoco e vigilanza.
E poi ci sarà l’inventiva dei singoli. A Bologna sarà lo stesso Ilio Barontini, «Dario», comandante generale delle forze partigiane, ad insegnare agli uomini, grazie alla notevole esperienza militare accumulata in tanti anni di battaglie su svariati fronti di guerra, come fabbricare ordigni e micce a scoppio ritardato. Così verranno confezionate bombe utilizzando pezzi di grondaia in ghisa imbottiti di tritolo, panetti di esplosivo avvolti in alluminio (adatti come mine anticarro), bottiglie riempite di zolfo, potassio e zucchero.
Ci si ingegnava poi coi pochi mezzi che si avevano a disposizione per creare o rendere utilizzabili armi danneggiate. Operazione che risulterà fatale a Lino Afflitti, fabbro di Osteriola, partigiano molto attivo e che era divenuto responsabile per i collegamenti con le Sap (Squadre di azione patriottica) e i Gap (Gruppi di azione patriottica) operanti nella bassa imolese dopo l’arresto, avvenuto il 24 maggio 1944, del suo predecessore, Ernesto Gardelli.
Afflitti lavorava nella bottega del fabbro Attilio Volta. Luogo ove Lino e un giovanissimo Vittorio Gardi fabbricavano i pezzi dei chiodi a quattro punte, che, portati a Imola, dove c’era una saldatrice, una volta assemblati, i sappisti avrebbero poi sparso nelle strade.
«Il mio compito – racconterà Vittorio, allora quattordicenne – era di girare la manovella della fucina, mentre Lino tagliava tondini di ferro in pezzi lunghi una decina di centimetri, faceva la punta in entrambe le loro estremità e poi li piegava ad angolo retto. Gli chiesi a cosa servissero e lui mi rispose: “Tu devi solo far andare la fucina, non fare domande”. In seguito imparai a cosa servivano quegli affari lì. Venivano mandati a Imola, dove venivano saldati assieme per ricavarne chiodi a quattro punte. Quei chiodi che poi noi, di notte, buttavamo nelle strade per bloccare le colonne di camion tedeschi in transito».
Purtroppo nell’autunno del 1944, mentre Lino Afflitti cercava di smontare un’arma di fabbricazione tedesca, rinvenuta in un campo, per poterla riutilizzare, questa scoppiò, uccidendolo all’istante.
LINO AFFLITTI
Lino Afflitti era nato il 7 aprile 1915 a Imola, da Domenico e Teresa Marani. Aveva prestato servizio militare in artiglieria a Trieste e in Croazia dal 15 settembre 1940 al 25 luglio 1943. Caduto il regime fascista, dissoltosi il regio esercito, era tornato a casa, riprendendo l’attività di fabbro.
Durante la Resistenza ha militato nel distaccamento imolese della 7ª Brigata Gap «Gianni». Riconosciuto partigiano dall’1 maggio 1944 al 22 ottobre dello stesso anno, giorno in cui ha perso la vita per lo scoppio dell’arma che stava smontando. Aveva 29 anni.
SACRARIO DI PIAZZA NETTUNO
Il gappista Lino Afflitti è ricordato nel memoriale di piazza del Nettuno, dedicato ai partigiani di Bologna e provincia che hanno sacrificato la propria vita durante la guerra di Liberazione dal nazifascismo. Il sacrario, composto da tre grandi cornici contenenti più di duemila formelle in vetroceramica, è collocato sulla parete di palazzo d’Accursio, sede del Comune, che affaccia su piazza del Nettuno, sul fronte della biblioteca Salaborsa.
MONUMENTO AL PARTIGIANO
Il monumento al Partigiano di piazzale Leonardo da Vinci (la rotonda di viale Dante) è uno dei luoghi di Imola ove si svolgono le celebrazioni per l’anniversario della Liberazione e in memoria dei caduti della Resistenza, organizzate dal Comune e dalla locale sezione dell’Associazione nazionale partigiani d’Italia.
L’Anpi di Imola fin dal 1945 decise la realizzazione di un monumento commemorativo della Resistenza, per ricordare i tanti partigiani imolesi morti per la Libertà. Monumento che venne finanziato tramite una sottoscrizione popolare. Della sua ideazione fu incaricato lo scultore Angelo Biancini, famoso artista di Castel Bolognese, che realizzò una statua in bronzo. L’opera venne inaugurata con una cerimonia molto partecipata il 12 maggio 1946.
Nel 1973 l’Anpi di Imola decise di promuovere una nuova raccolta fondi per corredare il monumento al Partigiano di quattro lapidi a libro con riportati i nomi dei 107 caduti imolesi nella lotta di Liberazione, tra i quali Lino Afflitti. L’occasione fu il trentesimo anniversario dell’8 settembre, data simbolo per l’inizio della Resistenza.
SACRARIO DI SESTO IMOLESE
Dopo la fine della guerra, nel cimitero di Sesto Imolese venne realizzato un sacrario dedicato ai caduti della Resistenza, ove sono poi stati tumulate le salme di antifascisti e partigiani morti durante la guerra di Liberazione dal nazifascismo, tra le quali anche le spoglie di Lino Afflitti.
SACRARIO DI PIRATELLO
Nel cimitero di Piratello, all’ingresso del sacrario sotterraneo dedicato «Ai caduti della Resistenza», vi sono le fotografie dei partigiani imolesi caduti durante la guerra di Liberazione. Tra queste anche la foto di Lino Afflitti.
LAPIDE DI OSTERIOLA
Il nome di Lino Afflitti compare anche nella lapide commemorativa che si trova nella frazione imolese di Osteriola, sulla parete esterna della casa (numero civico 190) posta in prossimità dell’incrocio tra le vie San Vitale e Correcchio Inferiore. Inaugurata il 26 febbraio 2017, in sostituzione di precedenti lapidi lì poste, ricorda i partigiani di Osteriola, o caduti in tale frazione imolese, durante la guerra di Liberazione dal nazifascismo.