16 marzo 1945, nove imolesi verngono trucidati a San Ruffillo

16 marzo 1945, nove imolesi verngono trucidati a San Ruffillo

Durante l’occupazione nazifascista, Bologna è senz’altro una delle città che hanno avuto il più alto numero di partigiani e detenuti politici fatti sparire dopo essere stati prelevati dal carcere o da una caserma in cui erano stati reclusi a seguito di una loro cattura da parte delle forze militari e di polizia.

Le ragioni dell’alto numero di vittime di esecuzioni in territorio bolognese sono da ricercarsi, innanzitutto, nella rilevanza raggiunta dal movimento di resistenza emiliano e romagnolo tra la primavera e l’estate del 1944, per fronteggiare il quale, come altrove, le forze nazifasciste misero in atto feroci rappresaglie.

L’apice del ricorso alle rappresaglie sarà raggiunto tra l’agosto e il settembre-ottobre 1944, quando anche la risalita del fronte dalla Toscana e dall’Adriatico indurrà ad una più vasta mobilitazione partigiana in vista di una possibile liberazione di Bologna.

Luogo di esecuzioni fu soprattutto il poligono di tiro di via Agucchi 98, ove vennero uccisi nel corso del 1944 non meno di 130 partigiani e antifascisti. Ma nell’estate altre decine di patrioti trovarono la morte nelle esecuzioni sommarie eseguite nelle piazze cittadine, e in particolare nella centralissima piazza del Nettuno, qui fucilati al muro che i brigatisti neri avevano denominato «posto di ristoro per gappisti» (dove oggi c’è il sacrario dedicato ai partigiani caduti). Esecuzioni pubbliche che, anche attraverso l’esposizione per più giorni dei corpi martoriati, volevano scoraggiare la crescente solidarietà popolare verso chi si opponeva attivamente al regime di occupazione.

Ma l’arresto invernale dell’avanzata alleata a solo pochi chilometri dalla città, proprio nel momento in cui le formazioni della Resistenza si stavano dispiegando, in attesa dell’ordine di insurrezione generale, le espose a rastrellamenti e retate che, fino alla vigilia della Liberazione, trascineranno in carcere e in altri luoghi di detenzione migliaia di persone, tra partigiani, loro fiancheggiatori e civili. E molti di questi, dopo essere stati torturati, verranno uccisi.

Con una differenza. Che se fino all’autunno del 1944 le esecuzioni di detenuti ebbero il carattere prevalente di rappresaglia, e quindi eseguite in luoghi pubblici e enfatizzate tramite l’affissione di manifesti e comunicati sulla stampa, le fucilazioni del periodo successivo avverranno invece quasi sempre in segreto, facendo poi credere ai parenti che il motivo della sparizione dei loro congiunti era l’avvenuta deportazione in campi di lavoro.

Soltanto dopo la Liberazione e il ritrovamento dei luoghi di occultamento delle salme, con la loro esumazione, si verrà a conoscenza delle dimensioni assunte da tale pratica di eliminazione silenziosa degli oppositori catturati. Modalità, peraltro, che appare come una specificità del territorio bolognese, o meglio dell’area bolognese-ferrarese e romagnola, ovvero della zona sottoposta al controllo dell’Aussenkommando Bologna della Sipo-SD, la Polizia di Sicurezza e Servizio di Sicurezza tedeschi, di cui facevano parte anche gli uffici della Gestapo.

Già in ottobre la fucilazione dei partigiani feriti nella battaglia di Santa Maria di Purocielo, e dei loro medici e infermieri, catturati nella canonica di Cavina, era avvenuta al poligono di tiro senza che ne fosse data comunicazione con manifesti o sulle pagine de «Il Resto del Carlino», com’era stata prassi corrente sino ad allora.

Ma è dopo l’annuncio radiofonico del «proclama Alexander» del 13 novembre 1944, ed il conseguente arresto del fronte appenninico, che matura definitivamente il cambio di strategia. Consci della vicinanza del fronte e che gli alleati, con l’arrivo della bella stagione dopo la stasi invernale, avrebbero lanciato una nuova offensiva, e quindi dell’eventualità di dover abbandonare in fretta la città, tedeschi e fascisti decisero di far «scomparire» per tempo, senza pubblicità e senza lasciare tracce, il maggior numero possibile di ebrei e di avversari politici ancora nelle loro mani.

Così, trascorsa la pausa di gennaio 1945, gli «eccidi occultati» di detenuti prelevati da San Giovanni in Monte ripresero con cadenza quasi settimanale. E tra i luoghi individuati per le esecuzioni vi fu anche la piccola stazione ferroviaria di San Ruffillo, situata nella periferia sud-est di Bologna, allora circondata da campi e non più in uso in quanto gravemente danneggiata dai bombardamenti alleati, che avevano prodotto nel terreno circostante ampi crateri. Il luogo ideale quindi ove occultare i corpi delle vittime. I prigionieri venivano infatti disposti sul bordo di quelle buche e mitragliati o uccisi con un colpo alla nuca, facendo sì che i cadaveri vi cadessero dentro, per poi ricoprirli con uno strato di terra a mo’ di fosse comuni.

A San Ruffillo il primo eccidio di prigionieri prelevati da San Giovanni in Monte avvenne il 10 febbraio 1945, quando – secondo i registri del carcere – 55 detenuti furono consegnati alle SS. Altre esecuzioni di massa ebbero poi luogo ancora lì, con le stesse modalità, il 20 febbraio, l’1, il 2, il 16 e il 21 marzo.

Tra le vittime anche dieci imolesi, uccisi i due date. Rocco Marabini, fucilato l’1 marzo insieme ad altri detenuti. Mentre il 16 marzo vennero fucilati e seppelliti in una buca di bomba dieci partigiani, di cui nove imolesi: Otello Cardelli, Ugo Coralli, Zelino Frascari, Armando Gardi, Vladimiro Gollini, Valter Grandi, Enea Loreti, Angelo Volta e Vittorio Zotti.

Gli eccidi di San Ruffillo rimarranno ignoti fino al termine della guerra. Solo ai primi di maggio, fortuitamente, un vigile urbano di passaggio nella zona vedrà un corpo umano affiorante dalla terra sconquassata, fatto riemergere dagli ulteriori bombardamenti effettuati dagli alleati durante l’offensiva finale. L’opera di scavo inizierà subito: verranno estratti 94 corpi. La difficile opera di identificazione, anche col dolorosissimo apporto di familiari, non riuscirà però a dare il nome a 23 salme.

Ma il bilancio complessivo degli eccidi sarà tragicamente molto più alto. Fino all’aprile 1945 circa 220 partigiani saranno uccisi a Bologna e dintorni in tredici esecuzioni di gruppo. Quasi tutte le vittime erano state prelevate dalle carceri di San Giovanni in Monte da un reparto di SS del comando della Sicherheitspolizei e del Sicherheitsdienst (Sipo-SD) di via Santa Chiara.

NELLE FOTO: I RILIEVI NELL’AREA CIRCOSTANTE LA STAZIONE FERROVIARIA
DI SAN RUFFILLO, LUOGO DI FUCILAZIONI DI MASSA, DOPO IL RITROVAMENTO
DI ALCUNI CORPI AFFIORANTI DAL TERRENO.