E’ il 10 maggio 1944, una bella giornata di primavera dal cielo luminoso. Una pattuglia di otto partigiani della 4ª brigata Garibaldi (che nei mesi successivi diventerà la 36ª Brigata Garibaldi, intitolata all’antifascista imolese Alessandro Bianconcini, fucilato per rappresaglia al poligono di tiro di Bologna) sta rientrando in brigata da una missione a Imola. A guidarla è Giovanni Nardi, «Caio».
La pattuglia sta seguendo il crinale dal monte Faggiola al Cimone della Bastia, ma, superata la Bastia, ad attenderli sul sentiero del Poggio Roncaccio, sopra la casa dell’Otro, ci sono oltre cento militi della Guardia nazionale repubblicana guidati dalle Schutzstaffel tedesche (le SS). Il contingente è salito da Firenzuola per un rastrellamento a seguito della clamorosa azione partigiana di alcuni giorni prima, che aveva visto l’occupazione per alcune ore della cittadina.
Il precedente 6 maggio 1944 la compagnia di Luigi Tinti, «Bob», era entrata nel cinema di Firenzuola dopo averlo circondato. I partigiani avevano un elenco dei fascisti locali. Fatte uscire le donne e i bambini, fermarono quattro fra i presenti nel cinema che comparivano in quell’elenco. E fu chiesto ai militi della Guardia nazionale repubblicana asserragliati nella caserma vicina al cinema di consegnare le armi in cambio della vita degli ostaggi. Per tutta risposta dalla caserma partì una sventagliata di mitra. Nello scontro a fuoco che seguì morirono tre ostaggi, uno rimase ferito, come un giovane partigiano che fu raccolto e curato nella vicina casa di riposo che fungeva da ospedale. Malgrado il suo fallimento, l’azione suscitò molto clamore.
Tre giorni dopo 120 militi repubblichini, insieme a graduati e ufficiali tedeschi, su indicazione precisa di spie locali, si dirigono verso la piccola frazione di Casetta di Tiara. All’altezza della casa dell’Otro i nazifascisti piombano sui «ribelli», che praticamente non hanno il tempo di difendersi. E’ un inferno di spari e di esplosioni. I partigiani vengono colpiti uno dopo l’altro e cadono a terra, chi ferito, chi ormai senza vita.
Nella valle a poco a poco l’eco della battaglia si affievolisce. «Uno solo, laggiù, spara ancora col mitra, resiste benché ferito. Se ha il mitra è certamente Nardi. Poi anche Caio resta sulla pietra del sentiero, immobile». Moriva così, in una mattina piena di sole, l’organizzatore del movimento giovanile comunista imolese e tra i promotori della brigata partigiana in montagna.
Spentosi l’eco dell’ultima scarica, i nazifascisti completano la loro vendetta. Trascinano quelli ancora vivi dietro la casa, li allineano contro la parete rocciosa e li mitragliano. Un partigiano agonizzante tra le braccia del parroco di Casette di Tiara, il sacerdote Rodolfo Cinelli, subito accorso sul luogo del massacro per dare conforto ai morenti, viene ucciso con un colpo di pistola da un graduato tedesco. Poi lo scempio dei cadaveri con le baionette.
Quel giorno muoiono «combattendo per la libertà» Sebastiano Bertozzi, Dino Casalini, Adelmo Collina («Delmo»), Angelo Merlini, Anselmo Morini («Salam»), Giovanni Nardi («Caio»), Giorgio Vigetti. Tutti verranno sepolti, fino alla Liberazione, nel piccolo cimitero di Casetta.
L’ottavo componente della pattuglia, Giuseppe Maccarelli («Beppe»), creduto morto dai fascisti, invece respira ancora, seppur flebilmente. Verrà poi soccorso da don Cinelli e trasportato prima nella canonica e poi nell’ospedale di Palazzuolo sul Senio. Ma nonostante le cure ricevute, morirà due giorni dopo e verrà sepolto nel cimitero di Palazzuolo.
La tragica notizia dell’imboscata verrà comunicata da Sante Vincenzi, coordinatore dell’attività partigiana nel territorio bolognese, nella riunione del Comitato di zona del 14 maggio, ma sarà tenuta segreta per non scoraggiare il movimento resistenziale.
L’imolese Giovanni Nardi riceverà la medaglia d’argento al valor militare alla memoria con la seguente motivazione: «Valoroso ed eroico combattente, fra i primi organizzatori del locale Movimento Partigiano, veniva per i suoi meriti eletto Comandante di compagnia. Sorpreso con pochi compagni in una imboscata tesa dal nemico, accettava l’impari lotta e dopo aver lanciato l’ultima bomba a mano, cadeva gloriosamente colpito al petto».
NELLE FOTO: LA LAPIDE COI NOMI DI 11 CADUTI DELLA 36ª BRIGATA GARIBALDI E LA CASA DELL'OTRO, DOVE AVVENNE L'IMBOSCATA OVE MORIRONO OTTO PARTIGIANI